Giovanni Maria Angioy
a cura di ORNELLA DEMURU
“Chi fu Giovanni Maria Angioy? “Virtuosissimo eroe” o “il nulla più nulla”, come ebbe a dire nel volgere di pochi anni Matteo Luigi Simon?
La machiavellica e giacobina mente dietro l’“emozione popolare” del 28 aprile 1794, la successiva uccisione di Pitzolo e Planargia, la sollevazione repubblicana e antifeudale di metà Sardegna, come sostennero in presa diretta i suoi avversari politici, o un magistrato ingenuo e incapace di pensiero strategico, un borghese timoroso di una guerra civile, un leader casuale e impreparato a guidare una rivoluzione, tanto da dover riparare in esilio senza neanche aver mosso veramente guerra alla sovranità sabauda e ai suoi zelanti servitori sardi?
O ancora un leale Alternos del potere sabaudo, tanto da chiedere di inneggiare al re anche mentre “marciava” verso Cagliari, o la punta avanzata delle idee repubblicane francesi, tanto da coltivare contatti anche familiari con i rappresentanti della Francia e circondarsi dei più aperti e ferventi giacobini sardi?
Chi fu dunque Giovanni Maria Angioy?
Certamente fu un bambino nato a Bono nel 1751 presto orfano della madre e del padre; fu una mente acutissima se non geniale, tanto da ottenere già a 22 anni la cattedra di Diritto e a 30 occupare le più alte cariche della magistratura sarda.
Fu un marito e padre tormentato; fu un borghese coraggioso e innovatore, ammirato per la sua intraprendenza e la sua capacità negli affari; fu un giudice della Reale Udienza del Regno di Sardegna che nel momento della tentata invasione da parte della Francia appoggiò timidamente la resistenza anti-francese e si mostrò magnanimo con i sostenitori delle idee rivoluzionarie.
Fu figura appartata negli eventi del 28 aprile 1794 mentre divenne in seguito il leader del “partito patriottico”, anche detto “democratico”; fu “novatore” circondato da amici giacobini che col passare del tempo ostentavano sempre più apertamente la loro fede cantando canzoni rivoluzionarie, portando in pubblico la coccarda rosso-bianco-blu mentre inneggiavano all’abbattimento del feudalesimo, alla Nazione sarda e alla Repubblica di Sardegna.
Fu Alternos del viceré, inviato nel Capo di Sopra per fermare la secessione controrivoluzionaria ma forse ancor più per allontanarlo strategicamente da Cagliari; fu accolto come un salvatore a Sassari e infuse speranza nei paesi del Logudoro attraverso i patti civici confederativi che di fatto abolivano il feudalesimo.
Fu colui che condusse un’ambigua marcia su Cagliari, iniziata senza portare con sé i suoi più valorosi generali rivoluzionari, come Gioachino Mundula e Francesco Cilocco, e finita a Tramatza si dice in lacrime e con la percezione di essere stato tradito da tutti.
Fu colui che nell’esilio, e in particolare fra 1798 e 1800, perorò davanti a Napoleone l’esigenza di invadere la Sardegna per “rompere il giogo della tirannia” e farne una repubblica indipendente, una Nazione sarda eternamente riconoscente alla Nazione francese.
Fu via via un esule sempre più solo, povero, malato, fino alla morte il 22 febbraio 1808.
Tutto ciò può apparire poco per chi cercasse storie lineari, chiare, compiute. Ma vale la pena considerare che ancora negli anni Sessanta del Novecento Angioy era considerato nientemeno che come un precursore del Risorgimento italiano. Precursore certo strambo e periferico ma pur sempre come patriota e repubblicano italiano fu celebrato nel 1896, nel centenario del suo ingresso a Sassari.
Ecco, se c’è una cosa certa oggi è che fu molte cose ma non questa. Angioy non fu certo italiano: non si sentì né si credette né agi come tale. Nelle sue azioni, per quanto contraddittorie, c’era infatti un riferimento e un valore fisso: la felicità e il bene della Sardegna, di volta in volta definita Patria, Nazione, Paese, sempre in maiuscolo. Una Sardegna pensata al pari della Francia e delle altre nazioni dell’epoca.
Se tutto ciò è stato per lungo dimenticato, e anche oggi può apparire sconveniente dirlo, lo si deve alle figlie che ne ripudiarono il nome e lasciarono che la cassa con i suoi scritti andasse persa, lo si deve alla controrivoluzione che distrusse corpi e memorie, alla Perfetta Fusione e all’Unità d’Italia che represse ulteriormente la coscienza di nazione dei sardi.
E a tanti altri traumi di cui siamo figli.
È proprio vero Giuanne Maria, quando non si ha tempo, quando non si domina la memoria e il suo senso, non resta che piangere per le disgrazie proprie e della propria Patria. Ma se la memoria torna, chissà quante altre cose possono tornare.
«Malgrado la cattiva amministrazione, l’insufficienza della popolazione e tutti gli intralci che ostacolano l’agricoltura, il commercio e l’industria, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la sussistenza dei suoi abitanti. Se la Sardegna in uno stato di languore, senza governo, senza industria, dopo diversi secoli di disastri, possiede così grandi risorse, bisogna concludere che ben amministrata sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa, e che gli antichi non hanno avuto torto a rappresentarcela come un paese celebre per la sua grandezza, per la sua popolazione e per l’abbondanza della sua produzione.»
Complimenti Ornella