di LUCIA BECCHERE
“Mio nonno Antonio Sebastiano Gabbas (1883-1971) per tutti ciu Corrovacca perché super goloso di lumache, è stato il primo mastru husidore (calzolaio) a realizzare le antiche scarpe del costume di Oliena, trapuntate a filo di seta di vari colori. Quelle indossate dalla sposa il giorno delle nozze, tradizionale dono dello sposo, le impreziosiva con una rosa in seta a fiori (pupusa) e un tacco leggermente pronunciato, mentre per la quotidianità le confezionava basse ornate da una rosa tanada (viola) o nera” Così racconta la nipote Nianna che oggi vive a Siniscola.
Vedovo di Anna Maria Maricosu, aveva sposato in seconde nozze Giovanna Novu (Fancello) e da questa unione erano nati 4 figli.
Alto, magro e di bella presenza, vestiva sempre il costume, berritta compresa e col suo modesto lavoro mandava avanti dignitosamente la famiglia, insegnando i segreti della sua arte a tanti giovani del paese.
A Gargariai possedeva un piccolo fondo dove nel tempo libero curava l’orto, le piante di olivo e da frutta. Appassionato di caccia, faceva parte di una grande compagnia e con innata generosità regalava ad amici e parenti il frutto della cacciagione. Uomo mite e cortese, amava accogliere ospiti e clienti con un buon bicchiere di vino o di acquavite.
Abitava al centro del paese nel rione Santa Rughe, ma aveva la sua umile bottega a sa Bandhita nella parte alta dell’abitato. Si trattava di un piccolo ambiente fatiscente col pavimento in terra battuta preso in affitto da cia Mintonia ‘e Ledda dove riparava e realizzava cinture, cambales, tascheddas e tutti i tipi di scarpe. Quelle da sposa erano la sua specialità, nessun altro avrebbe retto al confronto. Su richiesta le riproduceva identiche anche per le bambine che in determinate occasioni, al pari delle adulte indossavano il costume.
Successivamente aveva trasferito la bottega in su undacru (fondaco) della sua abitazione. Il modesto ambiente privo di pavimentazione che fungeva anche da camera da letto, dava su un vasto cortile comunitario dove vivevano altre due famiglie. In prossimità della porta un modesto deschetto su cui poggiavano gli attrezzi del mestiere: martello, forbici, lesine, trincetto, aghi, fili, semenze e chiodi. Mediante una scala esterna si accedeva al piano superiore (su palathu) che constava di una sola stanza dove dormivano i figli. Lavorava silenzioso chino sulle scarpe, sas acceras (gli occhiali) poggiate sul naso e trattenute con un sottile laccio scuro a su gathile, (la nuca) così da consentirgli di sollevare lo sguardo e accogliere i clienti senza interrompere il lavoro.
A metà degli anni sessanta il Comune di Oliena, volendo migliorare l’assetto urbanistico della zona adiacente al Palazzo Civico, aveva inteso edificare un sito di aggregazione sociale con la realizzazione dell’anfiteatro all’aperto che oggi insiste proprio nello spazio antistante dove un tempo sorgeva l’abitazione Gabbas-Fancello. Per questo intervento di pubblica utilità la sua casa di Santa Rughe era stata acquisita per essere demolita e permutata con una casa popolare nel rione di Predu Murta, dove venne sistemata la famiglia del nostro mastru husidore.
Molti lo ricordano avanti negli anni curvo su se stesso e sul panchetto quando,non disponendo più del suo hundacru e volendo soddisfare qualche richiesta, andava a lavorare nella bottega di ciu Juvannanghelu Colli a Santa Maria, uno dei suoi primi apprendisti molto stimato dalla comunità olianese, al quale era rimasto legato da una profonda amicizia e bonariamente qualcuno osservava che “dae mastru idi torrau a therahu”.
“E’ stato un nonno dolcissimo – prosegue Nianna -, sempre felice di giocare con noi quando io e i miei fratelli andavamo a trovarlo”.
“Unu homine de Deus che tutti volevano un gran bene –, racconta Ciccedda oggi 88enne che lo ha conosciuto fin da piccola -. Noi bambine andavamo a rubare in un campo di fave vicino alla sua bottega. Un giorno il padrone ci inseguì minaccioso per averci sorpreso e mentre terrorizzate ce la davamo a gambe levate, ciu Corrovacca, chiesto all’uomo il perché di tanta collera, “lassalas chietas mischineddas – lo redarguì -. Hello, pro duas avas las curriglias”!
Antonio Sebastiano Gabbas morì a 87 anni per ictus cerebrale.