di SERGIO PORTAS
Galeotto fu il libro: “Abitare la vacanza”, presentato alla “Triennale” di Milano, luogo deputato se mai ce ne sia uno a dibattere d’architetture ( Stefano Boeri che la dirige è senza dubbio architetto di fama internazionale, il suo grattacielo “verde”, il “bosco verticale”, ha fatto scuola in mezzo mondo e vinto una serie di prestigiosi premi) e di “abitare le vacanze” in Sardegna si discute oramai da una vita, con l’eterno dilemma che pare vincolare, come fosse una maledizione biblica, l’uso di spiagge e mari trasparenti perlopiù relegato alla fruizione di tre /quattro mesi all’anno, e l’intento di estendere questo periodo nei restanti mesi e anche alle aree più interne , l’altro corno del dilemma. In questo caso comunque il problema non si pone: costa Paradiso, otto chilometri da Trinità d’Agultu, è, si può dire, caso emblematico: i suoi centocinquanta abituali residenti diventano 14.000 d’estate, con tutti i problemi che questa esplosione demografica si porta dietro. Bei tempi quelli dei primi anni sessanta, quei graniti di Gallura in riva al mare, là la sagoma dell’Asinara come goletta eternamente ferma, e poi la Corsica e le luci di Bonifacio la sera, terre improduttive che i padri avevano da sempre destinato in eredità alle figlie femmine, che mica sapevano di seminagioni e di culture di grano e di vite. E non ti arriva quell’Agha Kan signore degli ismaeliti, ricco che neanche Salomone ai suoi bei dì, che si mette in testa di moltiplicare i suoi già pingui tesori facendosi speculatore immobiliare in Sardegna. Allora non lo sapevamo ma codesti ismaeliti sono una branca (setta) degli islamici sciiti, noti anche come “assassini”, da cui deriva anche l’omonimo termine nostrano, e il primo di loro che si fregiò del titolo apparteneva al clan dei Banu Hashim, tribù dei Quraysh, quella in cui nacque il Profeta Maometto. Natali più prestigiosi non si possono proprio vantare, in terre d’Islam. E se i tuoi sudditi hanno preso quella bella abitudine annuale a corrisponderti in oro e diamanti il tuo peso corporeo, beh sicuramente non ti verrà in mente di metterti a dieta vegana. Sia come sia la costa che si iniziò a rimpolpare di magioni prestigiose divenne ben presto “smeralda”, e lo è tutt’ora, sempre più prestigiosa di yacht che la lambiscono, magari un po’ meno adesso che quelli russi vengono sequestrati agli “oligarchi” ( leggi: i dirigenti comunisti che si sono impossessati delle aziende sovietiche quando con l’89 la gloriosa repubblica collassò nell’intento folle di inseguire il consumismo americano di Ronald Regan) ; oligarchi amici di Putin, il folle bombardatore dell’Ucraina. Per costa Paradiso la figura di riferimento è l’italianissimo milanese Pietro Tizzoni, ahi noi “solo” commendatore, ma dotato anche lui di solidissimo fiuto per gli affari, proprietario allora dell’isola rosa di Budelli che “prestò” a Michelangelo Antonioni per il suo film “Deserto rosso”. Monica Vitti, interprete femminile del film, si innamorò anche degli splendidi luoghi in cui si svolgeva, sino a farsi costruire una villa di avveniristica costruzione, la cosiddetta “Cupola”, realizzata con un’unica colata di cemento gonfiata e sollevata grazie ad una camera d’aria. Che la casa versi oggi in totale abbandono, devastata dai “soliti vandali”, desta naturalmente giusto scandalo soprattutto a livello internazionale, il Fai si è speso per una sua giusta rivalutazione e messa in sicurezza e restauro. Di chiunque siano le responsabilità di tanto stupido abbandono non è chiaro, ma come le autorità politiche sarde siano anche sorde quanto e più di quelle italiane nel gestire (pessimamente) questi beni culturali, che all’estero sarebbero valorizzati come meritano, è sotto gli occhi di tutti coloro che mantengono un minimo di cervello funzionante. Che i luoghi pur belli che siano vivono di una loro narrazione che aumenta il loro valore e ne configura una sorta di leggenda, quasi un mito, che contribuisce a renderli eterni nella memoria delle genti che li abitano e di coloro che, grazie a tali racconti, sono incentivati a visitarli. “Abitare la vacanza” , prima di essere libro che ne racconta lo svolgimento, è stato un festival di architettura nel 2022 che “nasce con l’obiettivo di attivare buone pratiche per la gestione dei territori, formando una coscienza collettiva nelle comunità sulle potenzialità che un’architettura e un’urbanistica di qualità offre nel ridurre gli effetti del cambiamento climatico”. Protagonisti tre siti, tre regioni, tre architetti: progettare la costa (Costa Paradiso), architetto Alberto Ponis, progettare il bosco (Colletta di Castelbianco) architetto Giancarlo De Carlo, progettare tra architettura e scienza (Piombino) architetto Vittorio Piombini. Ovviamente e solo per ragioni di spazio è di questo Ponis che qui andremo ad occuparci, genovese di nascita ( 1933) cresce in un ambito familiare privilegiato, il babbo che ha un’attività che realizza tappeti, tessuti , arazzi d’autore, si avvale della collaborazione dei maggiori artisti dell’epoca, da Giò Ponti, ad Arturo Martini, Fortunato Depero, Mario Sironi, per non citarne che alcuni, laureatosi in architettura a Firenze e dopo una significativa esperienza londinese, nel 1963 si trasferisce a Palau e “fra gli anni ‘60 e ‘90 progetta e realizza oltre 200 edifici residenziali inseriti nel contesto naturale, ispirati alle forme organiche della costa e alle architetture tradizionali rurali, gli “stazzi galluresi”. Le architetture sono celate e integrate dalla vegetazione mediterranea e dalle rocce granitiche di Gallura, diventando esse stesse parte del paesaggio in cui si inseriscono…Accosta all’architettura la pratica del disegno, della pittura, della fotografia, della scrittura” (fonte: Wikipedia). Dei due curatori del libro è presente solo Emanuele Piccardo, architetto, critico di architettura, fotografo e filmmaker. La sua ricerca si è concentrata molto sull’architettura radicale italiana e sulle sperimentazioni nel deserto nordamericano a cavallo tra architettura e Land Art. Dal 2009 realizza film sull’architettura. Le sue fotografie sono conservate al Maxi Museo di Roma e alla Biblioteque Nationale de France a Parigi. L’altra curatrice è Maria Pina Usai , di Ozieri classe ‘75, un “cursum onori” che parte dal liceo ozierese Duca degli Abruzzi, fa tappa all’università di Genova per una laurea in architettura e poi al Politecnico di Milano per un Master in “Paesaggi Straordinari”. E di progetti riferentesi a codesti paesaggi la Usai nella nostra isola ne ha diretti davvero tanti, dalla riqualificazione dell’ex ospedale e asilo infantile di Buggerru per la realizzazione del primo Eco-Ostello della Regione Sardegna, al recupero della ex direzione di Cala d’Oliva sull’isola dell’Asinara ai fini della realizzazione di una struttura ricettiva, dal ripristino del percorso storico di collegamento tra il paese di Borore e il monte Sant’Antonio, alla rete dei musei del mare e della navigazione delle isole minori della Sardegna. Tutt’ora collabora come architetto e paesaggista con la Conservatoria delle coste della Regione Sardegna. A tenere alto il vessillo sardo in sua vece sono qui presenti Andrea Maspero e Paola Serrittu, rispettivamente Presidente e “Project manager” dell’associazione LandWorks, oltre a illustrare con dovizia di particolari alcune delle realizzazioni abitative dell’architetto Ponis, mettendo in rilievo che mai un albero è stato abbattuto per la loro edificazione, ma quanta è stata la sua cura nell’armonizzare i vari edifici con le rocce di granito che più che circondarli sembrano volerli abbracciare, riconoscendoli come facenti parte di una stessa famiglia. Persino una delle poche piscine pare ricavata da uno spazio formatosi per un caso fortuito, a cui vento e pioggia hanno contribuito alla possibilità di incastrarsi seppure con pareti sghembe e irregolari, di color cilestrino, niente che possa comunque paragonarsi all’azzurro del mare che si prende gran parte dell’orizzonte. Ponis a seconda delle situazioni lui sceglie di fare, di orientare, sempre con la cura di non violentare il paesaggio circostante. Costruisce per i privati. Questi di LandWork hanno voluto proiettare i privilegi che Ponis riservava alle case private in uno spazio pubblico. L’idea di luogo intimo e riservato, insito nel concetto di casa, traslato in un progetto condiviso e partecipato immerso nella Costa e destinato alla collettività e all’incontro. Coinvolgendo studenti e abitanti in laboratori di progettazione e costruzione partecipata hanno realizzato su di un tratto roccioso di costa, casa Li Baietti aka Casa Ponis una piattaforma in legno, una piazza sul mare, spazio di condivisione e socialità, capace di trasformare il privilegio privato di una casa per le vacanze in privilegio comune. Dice Andrea Maspero: “Vivere in un’isola è proprio una cosa diversa, dal progettarlo a realizzarlo c’è stata una difficoltà pazzesca”. Risultato: uno spazio nascosto, un percorso di stanze, la libreria, stanza della notte e un soggiorno con una vista strepitosa sul mare.Quando l’ha vista la moglie di Ponis si è messa a piangere, perché le sembrava di entrare in una delle case progettate dal marito. Cinque anni fa Paola Serrittu e Andrea Maspero hanno fatto quella che si chiama “una scelta di vita”: investire le loro energie in un progetto di rigenerazione urbana: lavorare su Argentera. Persino Honorè de Balzac aveva fatto un pensierino sull’argento che si produceva dalla miniera e nel 1838 sognò di rimettere in sesto le proprie magre finanze investendovi denaro. Già i romani sfruttarono il giacimento di piombo e zinco argentifero, gli scavi continuarono anche in epoca medievale, l’attività di estrazione riprese nel 1867 e ebbe fine nel 1963. In seguito alla chiusura la borgata andò spopolandosi, tanto che a tutt’oggi conta solo 54 abitanti. Noi, dice la Serrittu, collezioniamo la memoria degli abitanti, sfruttando appieno le nuove tecnologie digitali. L’intento è di lavorare come fossimo una comunità, un progetto di autogestione dal basso. Non solo architetti quindi, ma anche giovani del posto e artisti, “performer” di teatro. Una delle sfide principali è quella di trasformare il borgo in un museo liquido in continuo sviluppo, che mette in dialogo gli spazi chiusi e aperti e li trasformi in luoghi non solo dedicati alla cultura e all’apprendimento, ma anche in luoghi di relazione e condivisione, socialità e confronto. Parole che sanno di miele per me che ho nel cuore un altro sito minerario sardo: Montevecchio.
L’Argentiera è affacciata sul mare, il posto è di una struggente bellezza, merita che venga abitato non solo per una fuggevole vacanza, ma perché riviva e si possa nuovamente respirare la cultura con cui, i minatori che lo hanno popolato per secoli, hanno impastato i muri delle loro case.