Enrico Santus
di LUIGI SORIGA
Ne ha fatta di strada, ma gli rimane un grande rammarico: «Mi hanno chiamato alla Casa Bianca a parlare di Intelligenza Artificiale, ma non sono mai stato invitato a farlo nel mio Comune, a Iglesias». Chissà, un giorno Enrico Santus, 37 anni, realizzerà anche questo sogno, ma nel frattempo, a migliaia di chilometri di distanza, dall’altra parte del globo, la sua vita infila un traguardo dietro l’altro: l’ultimo è far parte del management di Bloomberg. Per chi non la conoscesse, si tratta di una multinazionale americana dei mass media con sede a New York. È il principale riferimento per chi opera nel mercato finanziario. Offre un sistema di informazioni e dati in tempo reale su azioni, obbligazioni, valute e materie prime e una gamma di strumenti analitici e di trading. Enrico Santus è a capo del team che si occupa di facilitare la collaborazione tra uomo e intelligenza artificiale.
Come ha fatto un ragazzo di Iglesias ad essere assunto in una delle più importanti società mondiali? Partiamo dall’inizio. «Bambino timido, riservato, almeno sino ai 14 anni. Poi a Calasetta ho fatto il barman di notte, mi sono dato una bella svegliata. Mi sono iscritto all’alberghiero, volevo seguire le orme di un mio zio che gestiva un ristorante in Lussemburgo».
Sembra proprio il percorso perfetto per chi da grande lavorerà all’implementazione di modelli come ChatGpt. «Già. E infatti mi sono iscritto a Lettere, all’Università di Pisa. E facevo scorpacciate di Letteratura e adoravo Manzoni. Non sono mai stato il nerd sempre appiccicato a pc e videogiochi. Sono abbastanza atipico».
Sì, ma qualcosa di informatica avrà pur masticato. «Il merito è di mio fratello. Lui sapeva programmare in C e C++, e anche io ho iniziato a smanettare. Ero portato, ho imparato in fretta. E questa competenza poi è stata la mia chiave di volta. Perché tra le materie studiate a Pisa ce n’è una che mi ha aperto un mondo: Linguistica computazionale. Era il 2008, non esisteva nemmeno il trisavolo di ChatGpt, e io studiavo come modellare la grammatica per il computer. Tutti scappavano a gambe levate da quell’esame, io invece no e ci ho fatto la tesi».
Però siamo ancora in Italia. E in mano c’è una laurea in lettere. Pochino per il grande salto oltreoceano. «Mi sono sempre mantenuto con le borse di studio, perché in famiglia si faticava ad arrivare a fine mese. A 26 anni mi si è presentata la possibilità di fare l’Erasmus a Hong Kong. Non sapevo niente, ho preso e sono partito. Incoscienza pura. Ma è stata la scelta giusta. Primo perché Hong Kong è meravigliosa, una città dentro la giungla, con le coste della Sardegna. E secondo perché ho vinto il dottorato, studi pagati per tre anni, ottimo stipendio. Nel frattempo lavoravo a progetti della Microsoft ed esploravo l’Estremo Oriente».
Sta dicendo che su Word c’è il suo zampino? «Prova ad aprire un documento. Se Word ti cambia le parole, se il suggeritore non si fa i fatti suoi, la colpa è anche mia. Per Word ho creato i correttori grammaticali di Italiano, Inglese, Tedesco e molte altre lingue».
E poi cosa è successo? «Ho vinto una borsa di studio al Mit, ed entrare in questo istituto ti cambia davvero la vita. Ci ho lavorato per due anni. È in quel momento che mi hanno chiamato alla Casa Bianca per fare un corso ai dipendenti sulla Ai. Ho anche chiuso un progetto per la Bayer, e mi hanno assunto per tre anni. Non si stava per niente male, anche se in quel periodo, tra il Mit e la Bayer, lavoravo anche dalle 10 alle 4 del mattino. Ero ambizioso, stavo gettando le fondamenta. Talmente concentrato sull’obiettivo, ma anche appassionato, che nemmeno mi pesava».
Anni a seminare, poi quando ha raccolto? «Un giorno mi arriva una mail su Linkedin. Pensavo alla classica spam. Poi la guardo meglio e mi chiedevano se fossi interessato a una posizione nel management di Bloomberg. Ho risposto, e incredibilmente la mia vita si è spostata negli uffici di New York».
Come vede il futuro dell’Intelligenza Artificiale? «Diventerà sempre più intuitiva e facile da usare. Sarà sempre più utilizzata, ma non distruggerà il lavoro. Anzi lo velocizzerà e lo semplificherà. Ancora l’Ai ha dei limiti, e il principale è che non ha coscienza. Non riconosce le conseguenze delle cose. Però è uno strumento grandioso, del quale non si potrà fare a meno. Ma bisognerà regolamentarne l’utilizzo».
La Sardegna secondo lei potrebbe essere un polo di sviluppo dell’Ai? «Il potenziale è enorme. L’esperienza di Tiscali ne è una prova. E poi l’isola è un luogo bellissimo, che potrebbe attirare cervelli. Ma manca il motore: bisogna far partire una spirale virtuosa, portare professionalità stimolanti, creare contatti, ispirare i ragazzi. Senza questo salto di qualità, sarà difficile crescere».
Bravo Enrico.
Questo giovane igliesiente dovrebbe eesere d’esempio a molti ragazzi sardi che sanno solo lamentarsi e aspettare la “pappa” fatta da altri. Non tutti fortunatamente ma certamente una buona percentuale.
Enrico è un campione.Ha avuto intuizione e si è saputo sacrificare per raggiungere un simile traquardo.
Moltissimi giovani studenti sardi, spesso, non sanno nemmeno scegliere un giusto percorso di tudio adeguato alle loro capacità, ma sono campioni nel riconoscere le varie marche delle birre e degli aperitivi.
Un vero talento
Nel mio commento vi sono due svarioni: “”EESERE”” e “”TRAQUARDO”. Mi scuso con chi legge.