di SERGIO PORTAS
Se c’è un posto, a Milano, dove il libro di Pietrina Oggianu: “Avrei voluto urlare” (Del Faro edizioni) pensavo mai avrebbe messo piede è proprio il “Wow Museo del fumetto” di viale Campagna. Eppure è lì che, inserito nel programma del “Fringe Festival MilanOff”, l’autrice del libro ne ha parlato ad un pubblico in verità non particolarmente numeroso. Gli è che il museo del fumetto nasce il 1° di aprile (come tutti i “pesci” d’origine scherzosa) del 2011, in quello spazio che più milanese non si può, sorge infatti nei luoghi di quello che fu uno dei prodotti identitari del capoluogo meneghino: il panettone “Motta”. In luogo dei capannoni che ancora profumavano di canditi e uva passa, se ne conservò un unico edificio e fu creato un giardino pubblico di oltre 12.000 metri quadri intitolato ora, non a caso, a Oreste del Buono, indimenticabile direttore di “Linus”, che ha espresso la sua creatività in tematiche che spaziano dal giornalismo alla pubblicità, fantascienza e naturalmente fumetti. Un grande valorizzatore della cosiddetta “cultura popolare”. All’interno del museo c’è uno spazio aperto a tutti dove si possono leggere, o semplicemente sfogliare, circa 9.000 pubblicazioni dei fumetti più famosi al mondo, e un “bookshop” dove comprare libri, stampe, poster, gadget, magliette. Al piano di sopra c’è sempre una mostra che dura un qualche mese, sempre a carattere fumettistico. Insomma il posto non fa che alludere al divertimento, al sogno, all’allegria e allo scherzo come componenti non secondari del vivere umano, da qui il contrasto, davvero stridente, col libro dell’Oggianu, che invece ci introduce in una problematica altrettanto ineludibile del cammino che homo sapiens fa nel suo incedere quotidiano: quello del dolore. E in specie di una malattia “fantasma” ma dalle caratteristiche ben delineate, sfuggente per i “livelli essenziali di assistenza” (LEA) , quindi non riconosciuta dal sistema sanitario nazionale, dal nome, che quello già ce l’ha, vagamente minaccioso: fibromialgia. E il dolore che essa causa è davvero totalizzante perché non solo è forte, cronico e persistente, non risparmiando quasi nessuna parte del corpo, ma inevitabilmente , a strascico, si trascina dietro un dolore psichico, altrettanto invalidante, che deriva da una situazione che sembra non avere uscite: non hai segni sul corpo, non hai infiammazioni evidenti, né medicine specifiche, agli occhi di chi ti sta accanto appari “normale” e “svogliato”, sempre troppo “stanco”, incapace degli sforzi anche i più semplici, sei inesorabilmente spinto verso un destino che ti costringe sempre più in una situazione che ti lascia solo, quando più avresti bisogno delle cure degli altri. E’ con la parola “isolamento” che esordisce Pietrina, lasciandosi andare a particolari della sua vita persino imbarazzanti, ma non vuole tacere che , spesso, il terreno dove la malattia è incubata, ebbene esso è stato arato dalla violenza che ha subito. Violenza fisica, quando una donna si trova suo malgrado nel posto sbagliato in un dato tempo della sua vita. “Sono una madre single e ho avuto la sfortuna di incontrare e di innamorarmi di un uomo che ha avuto persino il coraggio di prendermi a calci in pancia. Con mia figlia, Luna, sono finita in una di quelle strutture che danno asilo alle donne in difficoltà di rapporto. Certo non c’era molto spazio, ma assieme a me altre donne che si erano lasciate alle spalle storie ben più tragiche che la mia. Ho avuto anche dei periodi di forte depressione, di rintanarmi a letto anche per due settimane. Senza sapere come fare per frenare le lacrime. Certo non tutte le donne che hanno subito violenza si ammalano dopo di fibromialgia. Anche se i numeri di coloro che si riconoscono nei sintomi sono davvero notevoli, si parla di due milioni di persone, in Italia. E’ subdola la malattia, ti svegli una mattina e ti ritrovi piena di dolori in tutto il corpo. Uno non può che starsene a letto sperando che passino. Il che non avviene anche per mesi e quindi si entra in un vero e proprio “tunnel di sofferenza” provando a utilizzare medicinali che aiutino a lenire il dolore. Ogni giorno che passa non sai mai a cosa andrai in contro , spesso ti svegli rigido come un pezzo di legno. Allora provi a massaggiarti le membra per trovare un qualche sollievo. A buttarti sotto la doccia con l’acqua sempre più calda. E comunque sei consapevole che nonostante le difficoltà, nonostante ogni sforzo pur piccolo ti causi dolore, devi pulire la casa, passare la scopa, fare la spesa. Quando anche vestirti e allacciarti le scarpe ti pare difficile quasi dovessi scalare una montagna. Io cerco di non stare mai ferma, cammino mettendo su un viso che non tradisca lo sforzo che sto facendo. Ogni tanto una panchina mi permette un po’ di riposo e magari di scoppiare in pianto senza ritegno. Ho persino dovuto allontanare molte persone che mi erano vicine. Che mi osservavano dubbiose del mio star male. E fortuna che mia figlia Luna ha preso atto che questa mamma che si ritrova è purtroppo malata, e va accettata per quello che è. Anche se sono consapevole del disagio che le procuro. Ma noi ci vogliamo un mondo di bene. E, nonostante tutto, io mi sento di essere una “Ferrari” racchiusa in un corpo da “Cinquecento”. E scrivere mi aiuta a “dimenticare” il dolore, più sto male più scrivo. Ho esordito nel 2014 con “Il portale della Vita”, e anche delle mie poesie sono state apprezzate in concorsi letterari, in realtà nasco come poetessa e solo dopo ho pensato che scrivendo di me e della mia malattia avrei aiutato e dato dignità a molte persone che come me si sentivano in una gabbia da cui non sembra esserci uscita. Infatti il libro sta andando molto bene e molti mi scrivono raccontandomi delle loro pene. Il loro non sentirsi né capiti né riconosciuti, il disagio che si prova davanti a una commissione medica che deve giudicare della tua invalidità conclamata. Che spesso ti fa perdere il lavoro, ti lascia senza reddito e, non essendo riconosciuta ufficialmente la sindrome di cui soffri, non ti da neppure la speranza di una pur misera pensione di invalidità. Per questo sto facendo della mia vita una battaglia che porti a un riconoscimento della fibromialgia, arruolando nell’impresa anche un buon numero di politici che si sono resi consapevoli di un problema che tocca un numero di persone non certo piccolo. Usando i “social” per mettermi in contatto col maggior numero di persone sparse in tutte le regioni. E, non ci crederete, con alcune di esse si instaurano rapporti di amicizia, cementati dall’avere la medesima malattia invalidante, che uno non avrebbe mai supposto potesse accadere, ognuno dal suo schermo di computer. E quanto siano stati importanti questi contatti in periodo di Covid, quando non si poteva neppure uscire di casa, non è necessario sottolinearlo. Un’altra cosa che mi aiuta in questa mia vita complicata è la fede in Dio: sono testimone di Geova e la lettura della Bibbia mi offre degli esempi di donne straordinarie che hanno saputo compiere imprese straordinarie. Leggere di Giobbe e di quanto abbia saputo sopportare senza perdere la fede nel suo Dio, venendone poi ricompensato a iosa, mi consola un po’ dei miei dolori. Mi fa accettare la malattia, che per altri versi ti aiuta a dare il giusto valore alle cose e alle persone che incontri. Ai rapporti che riesci a instaurare, molte sono le famiglie che si sfasciano, e purtroppo molte sono le donne che vengono letteralmente abbandonate dai mariti, non si riesce più neppure a fare l’amore. E’ frustrante sentirsi dire: non è vero che sei stanca, non è vero che ti fa male la testa, e poi ti danno anche gli psicofarmaci…Il pregiudizio fa più male della malattia stessa e, paradossalmente, le incomprensioni che più spesso devi subire, arrivano più dalle donne che dagli uomini che conosci. A me piace truccarmi, vestirmi con gusto, dipingermi le unghie, per tutto questo non avete idea di quante donne mi critichino, anche sul web, vengo letteralmente massacrata: se stai male e soffri devi vestirti di nero e fare una faccia contrita, non ha diritto di sorridere. E’ il medesimo retro-pensiero che scatta in molti quando si sente di una violenza, di uno stupro: per cui se una ragazza se ne va in giro con una gonna appena un po’ più corta del “normale”, è una che se la va a cercare, la violenza. Insomma è colpa sua, non importa se magari è finita nelle mani di un pazzo, che sin da un momento prima le era sembrato un angelo. La Pitty del romanzo sono io e ancora sto scrivendo un libro che spero uscirà a luglio”. Questa Pitty lascia la Sardegna a diciott’anni per andare a cercare lavoro in Germania senza naturalmente sapere una parola di tedesco, passandone di tutti i colori. Pietrina, che nasce a Cagliari, mi dice essersi trasferita a Nuoro che aveva tre, quattro anni, e lì ha frequentato le scuole, vivendo in un rione, ci tiene a sottolinearmelo, che è quello in cui ha vissuto Grazia Deledda. In continente ha girato un po’ dappertutto, è maestra di traslochi, e ora è a Milano, dove pare abbia trovato una sua dimensione. Inalbera una determinazione davvero sorprendente nel suo progetto di far emergere la fibromialgia dal cono d’ombra in cui è oggi costretta. Nella dedica del suo libro che è parte importante di questa sua battaglia e che sta portando in giro per tutta l’Italia ( era anche al salone del libro di Torino) si legge: “A mia madre, che mi ha resa la guerriera che sono diventata. Al mio amore più grande…mia figlia Luna…A tutte le persone che soffrono di fibromialgia, che siano consapevoli che la vita, con tutte le sue vicissitudini, vale sempre la pena di essere vissuta”.
Molto bene
Si ringraziano il giornalista Sergio Portas e Tottus in PARI per questo bellissimo articolo dedicato al mio libro ” AVREI VOLUTO URLARE ” che racconta ” La Sindrome Da Dolore Cronico Diffuso” ovvero Fibromialgia di cui un Italia ne sono affette 2 milioni di persone. A oggi nonostante il grande lavoro svolto per sensibilizzare le istituzioni, la fibromialgia non è stata riconosciuta dallo stato Italiano, per questo è importante non abbassare la guardia e dare voce a chi soffre di questa malattia fortemente invalidante.
Ci si auspica che al più presto la fibromialgia venga inserita nei ” LEA” Livelli Essenziali di Assistenza, al fine di riconoscere finalmente i diritti di noi…considerati malati invisibili.
Ad maiora