di ANTONIO SABA
“Il rifugio dell’assassino”, il romanzo ultimo di Ottavio Olita (Isolapalma Edizioni), offre una lettura scorrevole e appassionante grazie ad uno stile di scrittura piacevole al quale i lettori i stanno abituando e affezionando.
È un romanzo che offre varie chiavi di lettura e altrettanti spunti di riflessione perché abbraccia alcune tematiche che ci accompagnano da sempre, come le differenze tra il ricco e il povero nelle opportunità e nel destino, e altre di forte attualità a cui forse bisognerebbe prestare maggiore attenzione, oggi più che mai, come il concetto di famiglia e l’importanza del suo ruolo sociale.
La vicenda di Giovanni Aru, che si sviluppa a Villacidro a partire dalla fine dell’800, mi ha indotto a pensare, in un primo momento, ad un percorso di riscatto sociale. Ma, pensandoci bene, la sua fortuna, che risiede nel poter continuare a vivere, sottrarsi a qualsiasi vendetta e rimanere impunito davanti alla legge, è dovuta esclusivamente al costante impegno e alla rete di protezione e mediazione della famiglia, che solo grazie alle sue disponibilità economiche riesce a procurargli un varco di salvezza e una via di redenzione.
In un vero e proprio ‘riscatto sociale’, dove è sempre presente un forte desiderio di appartenenza, esiste anche un sogno di grandezza, un impegno e un’ambizione verso un rango superiore. Quello di Giovanni è lo status di persona abbiente non orientata, a mio avviso, ad un percorso di liberazione da un’idea negativa del sé, che posta in relazione agli altri, produce limitazione e sofferenza. La sua è un’errata percezione della mancanza di un “riconoscimento sociale” della propria alterità e del proprio valore individuale che lo ha spinto a sviluppare, in maniera sbagliata, un’apatia verso una realtà, quella contadina, che identifica come la causa della sua condizione. Questo malessere, unito probabilmente ad un quadro psicologico emotivamente turbato dalla recente scomparsa della sorella, è sfociato in violenza con un atto criminale.
Inoltre, il percorso di vita di Giovanni avviene sempre all’interno di ambienti protetti, ad eccezione di un breve periodo di dimora all’aperto, in un luogo del tutto avulso dalle sue abitudini e per certi versi ostile. Prima della sua pseudo latitanza e per tutta la sua giovinezza nella casa di famiglia, poi in alcuni anfratti di montagna durante il suo primo nascondiglio, ma sempre col totale supporto e protezione dei fratelli, e infine, per il resto della sua esistenza, tra le mura di un seminario dove, alla fine, è riuscito a trovare una sua dimensione o forse un compromesso tra quelli che erano i suoi desideri e le sue opportunità.
Questo mi porta a pensare come, in una società competitiva come la nostra, dove il riconoscimento sociale è determinato quasi interamente da un indice di gradimento, sia ancora più facile riscontrare alienazioni nello sviluppo emotivo delle persone, soprattutto nei giovani, e l’insorgere di atteggiamenti di gelosia, di invidia, di rancore e di odio verso gli altri, e ancor più grave, apre la strada a facili contrapposizioni tra generi, persone o gruppi. E’ una condizione indotta, molto pericolosa, sviluppata esponenzialmente negli ultimi anni, e pesantemente sfruttata dalle cosiddette “teste di casta” per sgretolare pian piano il nostro tessuto sociale e isolare le persone per perseguire i loro obiettivi. Da qui l’importanza fondamentale di proteggere la famiglia e il suo ruolo come ultimo baluardo di difesa per la nostra società.
Rinnoviamo io e mia moglie Sandra agli amici di TOTTUS IN PARI i più affettuosi auguri di serenità e gioia per Natale e l’ANNO NUOVO.
Appartiene alla categoria dei libri che non si dimenticano. Cosa rara!💕