Giampiero Mele
di LUCIA BECCHERE
Accompagnati dall’amico Luigi abbiamo visitato la Casa Comunità di Borore, una piccola struttura che accoglie sei ospiti provenienti dai vari paesi del circondario. L’obiettivo del nostro viaggio era quello di incontrare Giampiero Mele, Paul Anka per tutti (in virtù di una certa rassomiglianza, in gioventù, col cantante), cittadino nuorese di Santu Predu, perché di lui in tanti avevano avvertito l’assenza e ne chiedevano notizie.
Nato nel 1962 da Zizza Chessa di Orune e Pauleddu Mele di Mamoiada, dopo la scomparsa della madre, Giampiero aveva dovuto lasciare Nuoro nel 2019 in quanto necessitava di assistenza e protezione.
Aveva frequentato le elementari di sa ‘e Maria ‘e Lodè alunno della maestra Carzedda, dopo due anni di scuola media, poco incline allo studio “fipo azzicu birboteddu” e orfano di padre a 15 anni, dovette abbandonare gli studi per accudire la mamma gravemente malata e contribuire al sostentamento economico della stessa. Ha fatto tanti piccoli lavori: garzone bombolaio, manovale, pastore “de roba anzena però”, dava una mano durante le vendemmie e, per una volta, ha perfino salpato il mare in compagnia di un amico autotrasportatore.
“Alla morte di mio padre, calzolaio nei pressi della piazza del Rosario – ricorda Giampiero -, ho pensato d’intraprendere quel mestiere ma, parte dell’attrezzatura l’ho venduta, la rimanente l’ho prestata con l’intento di aiutare qualcuno che purtroppo non ha onorato l’impegno e, approfittando della mia generosità, non l’ha mai restituita”.
Che ricordi hai di Nuoro? “Essendo la mia casa ubicata fra piazza Campo dei fiori e la Parrocchia del Rosario, ho avuto la possibilità di frequentare tanti ragazzi con i quali non riuscivo a condividere tutto, per cui spesso mi tenevo lontano da certe compagnie. Nuoro è bella, ma molte cose ancora devono cambiare.
Ricordo ziu Taneddu, il custode delle scuole elementari che ci sequestrava il pallone quando noi ragazzi sconfinavamo nel gioco, il fuoco di Sant’Antonio a su cuzone che richiamava tanta gente, la festa di San Francesco per aver condiviso ben due volte il pellegrinaggio a piedi, una esperienza bellissima che oggi, data l’età, non sarei più in grado di ripetere. Se ne avessi la possibilità vorrei ritornare al Santuario nel mese di ottobre pro un’impinnu, una promessa di diversi anni fa, per pregare e se possibile fare qualche piccola offerta”.
Cosa ti manca? “La gente e la libertà di muovermi. Mi mancano gli amici e le feste in compagnia”.
Una passione? “Il cavallo. L’ho sempre cavalcato. Mi ha fatto cadere più volte, mi sono sempre rialzato e ho riprovato fino a domarlo. Il cavallo va domato subito, altrimenti sarà sempre lui ad avere la meglio su di te”.
Come stai e come trascorri la giornata? “Sto bene e non mi manca nulla. Cerco di dare una mano e mi impegno sempre nelle varie attività educative che mi vengono proposte”. Così dicendo ci indica dei disegni appesi alle pareti e dei bellissimi girasoli realizzati in carta colorata con il concorso di tutti.
Cosa vorresti dire agli amici che hai lasciato? “Vorrei dire che si devono comportare bene con tutti indistintamente, ma soprattutto di essere rispettosi con i deboli e gli indifesi. Le persone devono guardarsi dentro perché non sanno quello che un domani la vita potrebbe riservare loro, nemo nete de cussa aba non bivo. Oie unu ista bene, cras podete istare male e avere necessità di una mano tesa. Bisogna aiutarci l’un l’altro. Io sono credente e sono certo che Qualcuno lassù vigila su tutto”. Così dicendo ci mostra una piccola croce in legno che porta al collo con un cordoncino, dono di un amico sacerdote.
Grazie Giampiero delle tue belle parole, per quello chi ci hai trasmesso con le tue pause, con lo sguardo buono e innocente, coi tuoi sorrisi sinceri e avvolgenti, con la gestualità delle tue mani così eloquente e disarmante, ma soprattutto grazie per l’amore e la sensibilità che hai sprigionato nel raccontarti. Grazie anche agli operatori presenti per averci accolto con garbo e gentilezza, perché credono in quello che fanno e si impegnano quotidianamente per migliorare la vita dei più fragili.