di TONINO OPPES
Mi capita sempre più spesso di andare in giro per la Sardegna a parlare di libri e, in molti paesi, ancora oggi, mi chiedono: “Ti manca Paolo?” sapendo della nostra amicizia. Rispondo che Paolo è stato un patrimonio di questa nostra amata terra e che, dunque, manca a tutta la Sardegna, a chi ha a cuore i grandi temi dell’identità. Manca a chi ancora ha voglia di nutrirsi del sapere che poggia sulle basi, solide e millenarie, della grande cultura mediterranea di cui è stato un grande e autorevole interprete.
Manca soprattutto in quei luoghi dove lo attendevano per una qualsiasi conferenza, oppure per un convegno sul futuro della lingua sarda, o per un premio di poesia; talvolta per ricordare poeti scomparsi o per un dibattito sui piccoli comuni che si svuotano sempre di più e che rischiano di scomparire: questo è un tema centrale per il futuro della nostra regione e che noi continuiamo a sottovalutare.
Paolo, che è stato un uomo molto generoso, difficilmente declinava un invito anche se nell’ultimo periodo gli costava molta fatica.
Questo andare ovunque era diventato per lui una missione da compiere nei confronti di chi chiedeva conoscenza e voleva nutrirsi di saperi che lui amava elargire con la semplicità che lo ha sempre contraddistinto. Ascoltarlo era come un incanto.
“Un samaritano della parola”, lo aveva definito qui, durante i suoi funerali, don Mario Cugusi. A me, a volte, sembrava “un sacerdote laico della conoscenza” soprattutto quando alle parole alternava brevi silenzi. Sembravano, quei silenzi, un invito alla riflessione e, ricordo bene, quando sviluppava i suoi ragionamenti, aveva la capacità di accompagnarti per mano come se ti volesse portare dentro la scena almeno sul piano emotivo.
Ecco, se noi mettiamo insieme tutto questo, la risposta a quella domanda: “Ti manca Paolo?” non può che essere questa: “Siamo tutti orfani di Paolo che è stato un grande custode di sardità” anche se è bello pensare che lui non sia andato via. In fondo, tutte le volte che ne parliamo, è un po’ come averlo accanto.
Ricordarlo oggi a Seui (uno dei villaggi dell’anima) è come recuperare e mettere in ordine le numerose sequenze della sua esistenza. Paolo, che è stato un protagonista di primo piano della cultura sarda del nostro tempo, ha coltivato grandi passioni: l’insegnamento, il giornalismo, la poesia, la letteratura, il canto, la scrittura. Noi possiamo fermarci a ragionare su ognuna di queste sue grandi passioni ma se riflettiamo bene ci rendiamo conto che una non è distinta o separata dall’altra: si ritrovano sempre insieme se leggiamo con attenzione tutti i suoi scritti.
Come cronista ha cominciato la sua carriera nella redazione de L’Unione Sarda di Nuoro, in anni davvero difficili: sequestri, conflitti a fuoco, caccia ai banditi, il terrorismo di Barbagia rossa, le sommosse nel carcere di Badu ‘e Carros.
Che giornalista è stato? Sicuramente completo e raffinato come pochi: ha esercitato la sua professione con spirito critico, con grande rigore morale, con grande umanità. Capace di affrontare qualsiasi argomento: profondo quando raccontava la società e le sue trasformazioni; essenziale quando raccontava la quotidianità perché il suo obiettivo, quando scriveva, era quello di farsi capire da tutti.
Perché tutti hanno il diritto di informarsi, di essere informati, e di capire cosa succede.
Rispettoso delle idee degli altri ma severo nei confronti di quanti credono di essere gli unici depositari del sapere, di chi veniva meno al rispetto umano che si deve a tutti. Anche a chi aveva sbagliato.
Memorabile un suo pezzo, che ancora oggi, a distanza di tanti anni, viene ricordato come esempio di umanità e coraggio: mi riferisco ad un articolo che pretendeva rispetto per l’uomo anche se aveva commesso errori.
Il rispetto per la persona, qualunque cosa abbia fatto è sacro. Il dovere della cronaca e la delicatezza dello scrittore si impongono davanti a un fatto di cronaca sia pure sconvolgente come il conflitto a fuoco di Osposidda, tra forze di polizia e banditi, che la sera del 19 gennaio del 1984 insanguinò le campagne tra Oliena e Orgosolo. Persero la vita i quattro latitanti che avevano sequestrato l’imprenditore di Oliena Tonino Caggiari (che avevano liberato quando si erano visti accerchiati) e un poliziotto. I corpi dei quattro fuorilegge furono portati su camionette tra le vie di Nuoro quasi seguendo il rituale della caccia grossa. Da quel fatto di cronaca nascono i versi di Osposidda: A sa zega sas armas, fiores an brujadu, sun negadas sas parmas/ a su malafadadu (… ) Sonende bos passizan/ finas in s’istradone/ omines assimizzan/ a peddes de sirbone.
Da Nuoro a Cagliari: l’attività del giornalista si trasferisce all’ufficio stampa della Regione quando il Presidente è il sardista Mario Melis, ma Paolo è rimasto in quell’incarico anche con i Presidenti: Mario Floris e Antonello Cabras.
Comincia a scrivere libri: i primi con l’editore Soter e tra quei libri il capolavoro Chent’annos, cantadores a lughe ‘e luna che è stato stampato numerose volte. Poi fonda la sua casa editrice Domus de janas, scrive Narat du diciu che poi aggiorna con Dicius Antigus dove spiega come nascono i proverbi e il valore del loro messaggio; ecco poi Madre Terra Nonna Luna, l’Isola del cuore: qui compie un viaggio nell’altra Sardegna che non ha le attenzioni della grande stampa ma merita di essere conosciuta; ancora Antonandria, Beberé dove mette al centro la Natura, l’ambiente da tutelare ma non da imbalsamare; contemporaneamente avvia una stretta collaborazione con i quotidiani sardi, prima con La Nuova Sardegna e, nell’ultima parte della sua vita, con L’Unione Sarda: quasi un ritorno alle origini; ma certo non possiamo dimenticare la sua rivista bilingue Lacanas (nata 20 anni fa e che ancora continua la sua vita grazie al nipote Mauro e ai figli Fabio e Piersandro) impreziosita dai suoi editoriali, spesso di denuncia contro le ingiustizie subite da una terra dimenticata dallo Stato o massicciamente militarizzata; ma talvolta quei suoi editoriali nascono per ricordare donne e uomini che avevano segnato il cammino nella storia dell’Isola e non meritavano l’oblio.
C’è un’esigenza di tutelare la memoria. E lui questo lo ha sempre fatto!
Amava la sua terra con i suoi robusti valori identitari da custodire (vola alto chi ha radici profonde, diceva il suo caro amico professor Lilliu); amava la Sardegna che ha raccontato tante volte in televisione spesso come conduttore-intervistatore; ma tante volte anche come spalla per commentare particolari eventi: l’ardia di Sedilo o la messa in sardo per Natale oppure la festa de Sa die de sa Sardigna.
Dopo la sua scomparsa Paolo è stato ricordato in alcuni paesi, almeno quelli dove lui si recava più spesso. Gli sono state dedicate piazze a Villanova e Atzara, ma bisogna fare di più.
La Sardegna tutta deve custodire con fierezza la sua memoria. Che è la memoria di un uomo per bene, uomo colto, che ha attraversato l’Isola (dalla città più grande al paese più piccolo); che ha incontrato gli emigrati sparsi nei circoli della Penisola e non solo per parlare, con il suo tono pacato e gentile, di identità e di lingua sarda, la lingua degli antenati.
Andava ovunque a parlare di poesia, lui che è stato, è, un poeta di sardità. De poesia a taulinu e de poesia a bolu.
Sa poesia a bolu! Un giorno gli chiesi: “Cosa pensi del futuro de sos cantadores?”
Ricordo benissimo la sua risposta: “La crisi c’è ed è legata alla crisi della lingua sarda, poi c’è un’altra verità: abbiamo deciso di consumare altri spettacoli che magari si possono seguire anche quando giochi con il cellulare mentre il canto a poesia ha bisogno di grande attenzione. Ma la poesia improvvisata non può morire: e sai perché?” aggiunse, “perché custodisce il mistero della creatività che appartiene agli uomini di talento.”
E allora penso a quelle memorabili sfide in versi, a colpi di ottave, che si svolgevano in tutte le piazze dei nostri paesi quando la gara poetica era la regina delle feste sarde. “Ma come faranno a completare un’ottava in 40-50 secondi?”si chiedevano in tanti. Erano le domande che si poneva anche Sebastiano Satta quando andava ad ascoltarli in Barbagia, mentre per Francesco Alziator sos cantadores a poesia erano acrobati della rima.
Paolo lo ha scritto e detto più volte: “… il canto a poesia rappresenta una forma di espressione a livello alto che continuerà a vivere finché ci saranno poeti di valore, ma questo non può prescindere dal recupero della nostra amata lingua.”
Poi ripeteva: Sa limba nostra, la dovimos faeddare de pius!