RITRATTI DI FAMIGLIA: A CAPRERA UNA MOSTRA IN RICORDO DI FRANCESCA E MANLIO GARIBALDI

. Lo scorso maggio, in occasione della Notte Europea dei Musei, al Compendio Garibaldino di Caprera è stata inaugurata la mostra Ritratti di Famiglia. L’esposizione vuole ricordare l’ultima moglie di Giuseppe Garibaldi, Francesca Armosino, di cui quest’anno ricorre il centenario della scomparsa, e Manlio, l’ultimo figlio del Generale, di cui quest’anno si celebra il 150° anniversario della nascita. La mostra ripercorre la vita di Francesca e Manlio Garibaldi attraverso fotografie e oggetti personali. Ho avuto il piacere di visitare l’esposizione insieme agli Assistenti Museali Giovanna Milia e Gian Luca Moro, che hanno collaborato fattivamente alla realizzazione della stessa. Francesca Armosino giunse a Caprera giovinetta per fare da balia ai figli di Teresita Garibaldi. In breve tempo tra Francesca e l’ “Eroe dei due mondi” nacque l’amore. Francesca rimase accanto a Garibaldi fino alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 1882. Dalla loro relazione nacquero tre figli, tra i quali Manlio, che morì a soli 27 anni. Divenuta custode della memoria del marito, Francesca Armosino morì a Caprera nel 1923 e lì riposa nel piccolo cimitero di famiglia.

Fino al 30 settembre il Compendio Garibaldino ospiterà la mostra Ritratti di famiglia. A chi è dedicata questa mostra?

Giovanna Milia: La mostra è dedicata a due protagonisti della famiglia Garibaldi: Francesca Armosino, l’ultima moglie di Garibaldi, e Manlio, l’ultimo figlio avuto da Francesca. La mostra è dedicata a loro perché quest’anno si celebrano due importanti anniversari: i cento anni dalla morte di Francesca, avvenuta il 15 luglio 1923, e i 150 anni dalla nascita di Manlio, nato a Caprera il 23 aprile 1873. Francesca e Manlio ci forniscono l’occasione di parlare anche di altri familiari di Garibaldi con questa speciale mostra di fotografie e oggetti personali appartenuti a entrambi.

Come e quando è nata l’idea della mostra?

Gian Luca Moro: L’idea della mostra risale al 2019, quando iniziammo ad organizzare qualche iniziativa per ricordare Manlio, di cui nel 2020 si sarebbe celebrato il 120° anniversario della scomparsa. A causa del Covid, però, non è stato possibile realizzare nulla, così quest’anno, in occasione del duplice anniversario a cui la collega Milia faceva riferimento, abbiamo cercato di organizzare qualcosa che celebrasse Manlio e sua madre Francesca. Abbiamo trovato una coerenza nella mostra e nella narrazione della stessa. La nostra idea sarebbe quella di realizzare una brochure che permetta ai visitatori di portarsi dietro ciò che abbiamo approfondito attraverso l’esposizione.

Da dove provengono le foto esposte?

Giovanna Milia Tutte le foto esposte, circa una decina, appartengono al Fondo Fotografico Garibaldino, che contempla circa 200 fotografie. Molte fotografie risalgono all’ultimo periodo di vita di Clelia, alcune ritraggono i figli avuti da Anita, altre foto ritraggono garibaldini. Si tratta di un archivio fotografico molto consistente. Garibaldi, infatti, aveva dato molta importanza all’uso della fotografia, consapevole, già in tempi non sospetti, delle enormi potenzialità del mezzo. Attraverso le foto poteva ringraziare le persone che gli mandavano lettere di auguri o doni, a cui era solito rispondere regalando una sua foto con la dedica. In una rara immagine sono ritratti tutti i figli viventi insieme a Garibaldi. Abbiamo fatto una ricostruzione schematica dell’albero genealogico della famiglia Garibaldi: una delle curiosità più grandi dei visitatori è la storia cronologica delle mogli e dei figli di Garibaldi, quindi questo pannello risolve tale curiosità. La mostra si espande per tutta la casa, ma la mostra fotografica è concentrata in una teca perché, viste le caratteristiche di questo museo, non possiamo esporre tantissime foto a causa della delicatezza del materiale fotografico, che richiede un tipo di esposizione particolare.

Con quali finalità avete dato vita alla mostra?

Gian Luca Moro: A noi interessa far conoscere ai visitatori alcuni aspetti meno noti della vita di Garibaldi. L’esistenza stessa della famiglia di Caprera è qualcosa che nell’immaginario del visitatore non c’è: tutti conoscono Anita, ma non sanno nulla di Francesca, la donna che è stata più vicina a Garibaldi, colei che gli ha dato tre figli in tarda età, che poi furono gli unici figli che lui crebbe davvero. L’esistenza stessa di una famiglia che nacque esclusivamente a Caprera non fa parte delle conoscenze medie del visitatore. Questo è interessante perché permette di entrare in contatto con un Garibaldi diverso da quello conosciuto.
Cosa sappiamo di Francesca Armosino?

Gian Luca Moro: Francesca era di Saracchi, frazione di San Martino Alfieri, nell’Astigiano. Aveva origini contadine. Prima di arrivare a Caprera, aveva avuto una figlia illegittima. Era una donna dal carattere molto forte. Arrivata a Caprera, riuscì a diventare fondamentale per Garibaldi, anche e soprattutto nella gestione della malattia che lo rese invalido. Fu presenza indispensabile negli ultimi anni di vita del Generale. Francesca si identifica con la casa stessa di Garibaldi a Caprera. La presenza di Francesca ha influenzato la costruzione della casa, della disposizione degli ambienti, basti pensare alla costruzione della camera donata al marito poco prima di morire. Dai documenti in nostro possesso sappiamo che, dopo la morte del marito, Francesca si firmò sempre come “Francesca, vedova di Giuseppe Garibaldi”. Al collo porterà sempre un ciondolo con l’immagine del marito.

Come è strutturato il percorso espositivo?

Giovanna Milia: il percorso segue la planimetria della casa; la mostra assecondagli ambienti della casa. All’ingresso, ad accogliere i visitatori, troviamo un’immagine di Francesca con Manlio bambino; la mostra termina nella stanza dove Garibaldi è spirato, con una foto di Francesca insieme a Manlio adulto.

Quali oggetti appartenuti a Francesca avete esposto?

Giovanna Milia: Abbiamo esposto per la prima volta alcuni oggetti personali di Francesca, a cominciare dal suo ombrellino, che appare anche in un video dell’Istituto Luce, di cui a breve vogliamo inaugurare la proiezione. Ci sono una spazzola, uno specchietto, un ventaglio, oggetti che di solito non trovano spazio nell’esposizione della casa.

La stanza di Manlio ha un’importanza particolare all’interno nel percorso espositivo. Quali oggetti troviamo nella teca a lui dedicata?

Gian Luca Moro: Sì, come si diceva, le nostre ricerche sono partite proprio da Manlio, nato quando Garibaldi aveva 66 anni. Manlio accompagnò sempre suo padre, da cui apprese l’amore per il mare. Nella stanza di Manlio troviamo diversi suoi ritratti; sappiamo che Manlio da ragazzino era molto apprezzato da fotografi, scultori e pittori che ambivano a ritrarre il padre. Tanti artisti rimasero colpiti dalla bellezza del giovanissimo figlio del Generale. Abbiamo volute esporre anche le poesie che Pascoli e Lorenzo Stecchetti scrissero in occasione della sua morte, avvenuta quando aveva 27 anni per tubercolosi. La teca dedicata a Manlio ci mostra due oggetti: il cappello da Guardia Marina e il sestante della navigazione. Nella teca è esposta anche una lettera che un garibaldino residente a New York, di nome Alessandro Oldrini, mandò a Garibaldi nel 1896. Sappiamo che Manlio era andato a New York nel 1892 in occasione dei 400 anni della scoperta dell’America. Probabilmente in quell’occasione entrò in contatto con la comunità italoamericana e conobbe Oldrini, che da giovane era stato un garibaldino. In quell’occasione Manlio avrà visitato il Garibaldi-Meucci Museum. Nel 1896 Oldrini mandò a Manlio due oggetti appartenuti al padre: un acciarino e un pugnaletto. Nella lettera Oldrini scrive che tale pugnaletto era stato portato da Garibaldi dalla Cina, che il Generale aveva visitato tra il 1852 e il 1853. Si tratta di oggetti che diventano un pretesto per raccontare fatti o eventi che il visitatore non conosce.

Cosa sappiamo delle attività benefiche promosse da Francesca e dalla figlia Clelia a La Maddalena?

Giovanna Milia: Francesca e Clelia erano molto sensibili nei confronti degli orfani. In una teca sono esposti gli statuti e tutto ciò che riguarda i “Giardini d’infanzia”, istituto fondato da Francesca poco prima di morire. Dopo la morte di Manlio, Francesca decise di aiutare i bambini che non avevano la possibilità di andare all’asilo. Entrambe sono state sempre accoglienti nei confronti della popolazione maddalenina. Nell’immaginario dei maddalenini, soprattutto di quelli più anziani, Francesca e Clelia sono ancora nominate come “Donna Francesca” e “Donna Clelia”. Per La Maddalena Clelia è stata un punto di riferimento importante, e il suo ricordo qui è ancora molto forte: seppe tenere rapporti con la Marina, con Mussolini; aveva un carattere forte, deciso.

Quale messaggio vi augurate possa arrivare ai visitatori?

Giovanna Milia: La mostra rappresenta solo una piccola raccolta del materiale che abbiamo, ma a noi interessa mostrare ai visitatori che la vita di Garibaldi ci regala sempre tante curiosità che non sono strettamente legate alla storia di cui parlano i libri. Qui i visitatori scoprono che Garibaldi era un uomo legatissimo alla famiglia. Quando ha partecipato alla sua ultima battaglia, a Digione, in Francia, scambiò una fitta corrispondenza con Francesca; in alcune lettere si legge tutta la sua preoccupazione per i figli, per i campi, per le vacche e tutto il bestiame allevato nell’azienda di Caprera. Sono tutte curiosità da cui si comprende bene l’amore che lui nutriva per la sua famiglia. Vogliamo, inoltre, far conoscere meglio l’ultima moglie, Francesca, oscurata dalla fama di Anita, e i figli avuti dal Generale in tarda età.

Gian Luca Moro: Condivido quanto affermato dalla collega Milia. Le dico, inoltre, che siamo molto contenti per quello che ci ha riferito una delle discendenti di Garibaldi che, dopo aver visitato la mostra, ha affermato di averla apprezzata in quanto è diffusa. Questo ci ha fatto molto piacere, perché significa che siamo riusciti a far coesistere una mostra all’interno di una visita museale normale, siamo riusciti ad arricchire il percorso e a non snaturarlo. Approfittiamo dell’occasione per ringraziare i nostri due dirigenti, l’architetto Luciano Cannas e la dott.ssa Luana Toniolo, che hanno creduto in questa nostra idea e ci hanno aiutato molto: senza il loro contributo non avremmo potuto dare vita a questa mostra.

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