Mauro Liggi
di SIMONE SPADA
Medico, poeta e fotografo: la vita di Mauro Liggi è una di quelle che non conosce pause, che vuole esplorare il mondo. Navigando tra le gioie e i dolori, tra gli infiniti sviluppi della quotidianità.
Il suo secondo libro di poesia, “Segnali di Fumo”, ha ricevuto tantissimi apprezzamenti. Poi una sua foto, dedicata alla salute mentale, ha vinto il Collegno Fol Fest assieme all’associazione Gli Equilibristi di San Giovanni Suergiu.
Tutti i giorni però è in corsia, all’ospedale di San Gavino Monreale. È infatti un medico specialista in Gastroentrologia ed Endoscopia Digestiva molto apprezzato è supportato, da colleghi e pazienti. In questa intervista racconta com’è dividersi tra tre ambiti molto differenti tra loro.
Medico, poeta, fotografo, scrittore. Da grande cosa vorresti fare? Fare il medico per me è stato ha vocazione. Poeta e fotografo sono dei linguaggi che mi appartengono, che mi permettono di raccontarmi e raccontare la realtà. Scavare dentro di me e dentro il mondo. Questo è un potere incredibile che ho scoperto “da grande”, ma che ormai fa parte di me. Come dice Rilke in “Lettere ad un giovane poeta” bisogna scrivere e scrivere è un bisogno. Vale anche per me, non lo faccio per altro.
Segnali di Fumo ha letteralmente strabiliato il mondo poetico sardo, ottenendo premi e apprezzamenti. Te lo aspettavi? Non mi aspettavo che “Segnali di fumo” avesse tanto successo. Un po’ perché tendo a non esaltarmi o farmi complimenti. Un po’ perché scrivere un libro è sempre una esperienza, un donarsi. Quando esce un libro non è più tuo ma di chi lo legge. Lo hanno letto in tanti. Ho fatto tantissime presentazioni e spero di farne tantissime altre altre. Per me il momento di confronto con chi mi legge è un momento che mi fa crescere e mi piace. Continuerò a fare altre presentazioni, in altri modi diversi, anche folli. Mischiare le arti e i linguaggi è la cosa che mi piace di più. Dico grazie ai tantissimi che hanno comprato il libro, che ho incontrato.
Cosa ti ha dato la poesia in questi anni? La poesia è stata prima rifugio in un momento doloroso della mia vita. Poi con questo secondo libro sono divenuto più consapevole di ciò che scrivevo. Più centrato. Più leggi, più scrivi, più ti confronti, più studi e più cresci. Il terzo libro che è in via di definizione è un grosso passo avanti ulteriore. Perché ho trovato persone che mi hanno arricchito umanamente e poeticamente in maniera eccezionale. C’è tutto un mondo dietro.
Stai lavorando anche ad un romanzo: di che si tratta? Sto lavorando ad un romanzo storico. Intanto sto studiando quello che devo raccontare. Il romanzo è una cosa diversa: ha bisogno di maggiore disciplina, di saper essere aderenti alla trama, di saper costruire i dialoghi, di saper descrivere luoghi e situazioni. Ha la fortuna di esser già stato scritto da mio nonno. Nel senso che il romanzo verterà sui diari della prigionia di mio nonno durante la seconda guerra mondiale. Ho tantissimo materiale conservato. Il mio cruccio è non rovinare ciò che ha scritto.
Con le tue foto stai fissando delle istantanee in diversi ambiti. Di recente hai pure vinto un premio a Collegno. Con quale foto e con quale progetto? La fotografia è la lente di ingrandimento su luoghi, situazioni, persone che non si vedono. Il premio che ho vinto a Collegno fa parte di questo filone. Nel senso che fa parte di un progetto chiamato “Vita da Amare” in cui ho fotografato, descritto, raccontato il lavoro di una associazione che si chiama “Gli Equilibristi” che si occupa di soggetti con disabilità connessa allo sport e allo stare insieme. Ho vinto con una foto di questo progetto in cui si vede la gioia di questi ragazzi al mare, in cui mi sono sentito io il disabile. Perché non ho quel modo di sorridere, quel modo di scherzare o gioire. Quando si creano questi corto circuiti, io mi ci butto. Sto ora finendo un reportage su un quartiere di Cagliari, sto finendo la parte descrittiva. Mi auguro che abbia il risalto che merita perché è il dono che il quartiere ha fatto a me.
Come prendono le tue passioni sia i tuoi familiari che i tuoi colleghi? I miei familiari prendono le mie passioni in maniera diversa. La mia poesia con un po’ di timore, perché è molto diretta, senza filtri. In cui io racconto di me e di chi mi circonda. La fotografia invece con un po’ di preoccupazione perché mi inserisco in situazioni anche un po’ di pericolo. Quando ho la macchina fotografica in mano, entro in una bolla in cui non mi accorgo veramente di ciò che mi circonda. È una cosa magica, sembra di avere uno scudo. La mia è fotografia in cui devi stare addosso alle persone. Devi sentirne il respiro, l’odore, essere parte dei luoghi. Fotografo solo le cose a cui voglio bene.