Claudia Melis
di FEDERICA CABRAS
«La parola chiave è “insieme”, la nostra è una spiritualità comunitaria, questo vuole dire che non la si vive da soli, ma almeno in due. Persone che condividono lo spirito del Movimento e vivono nella stessa città o regione tendono a incontrarsi, aiutarsi a vicenda, condividere le gioie e le difficoltà e riescono anche a capire come contribuire alla fraternità nel posto dove si trovano, collaborando con altri gruppi e associazioni.»
Inizia così il racconto dell’ogliastrina Claudia Melis – oggi a Liverpool – nel parlare del Movimento dei Focolari a cui appartiene, i cui membri si uniscono attorno ai concetti di aiuto, supporto e fratellanza.
Ma come ci arriva? Come nasce questa voglia, questo bisogno, questa necessità di far parte di un movimento pacifico che si prefigge come scopo primario l’aiuto comunitario?
Claudia cresce ad Arbatax. «Ho due sorelle, mi ricordo tante estati giocando all’aperto,» racconta «disegnando e magari preparando qualche scenetta con i bambini del vicinato, anche se ero molto timida… Ho studiato al Liceo Classico dove è nata la mia passione per la letteratura.»
Poi, a 14 anni, accade una cosa che cambia la sua vita, dando una svolta. Incontra alcuni rappresentanti del Movimenti dei Focolari. Questo la lascia senza fiato, sente sin da subito una connessione. «La mia impressione è stata che fossero persone ‘realizzate’ e che avessero qualcosa che mi attirava, una gioia genuina» spiega. «Io facevo parte di un gruppo di ragazzi attivi in parrocchia, ma quando queste persone hanno condiviso con noi alcune esperienze di come cercassero di mettere in pratica le parole del Vangelo, semplicemente, nelle loro giornate, è stato come sentire quelle parole per la prima volta – non erano parole ‘ideali’ e lontane, ma un impegno che loro cercavano di vivere, certo aiutandosi a ricominciare. Mi ricordo che quando sono tornata a casa stavo sparecchiando la tavola e ho pensato “posso fare questo con amore, per costruire la fratellanza universale”. Sembra una cosa forse insignificante, ma quel dare senso, un orizzonte così vasto, a quel piccolo gesto mi ha dato tanta gioia. Da allora non ho perso più il contatto col Movimento. Conoscere i Focolari mi ha aiutato (non dico a superare, perché quella rimane sempre) a convivere con la mia timidezza in quegli anni dell’adolescenza, a non rinchiudermi in me ma essere più aperta agli altri.»
A Siena poi Claudia studia, grazie all’amore per le parole nato dagli studi di indirizzo classico, Lettere Moderne, ma il suo sguardo rimane sempre alla spiritualità. Ed è allora che approfondisce il suo impegno del Movimento.
«Diciamo che ci sono diversi tipi di ‘appartenenza’, non c’è un tesserino di iscrizione, è più una vita che si vive» chiarisce. «La parola chiave è ‘insieme’, la nostra è una spiritualità comunitaria, questo vuole dire che non la si vive da soli, ma almeno in due. Persone che condividono lo spirito del Movimento e vivono nella stessa città o regione, tendono ad incontrarsi, aiutarsi a vicenda, condividere le gioie e le difficoltà e anche capire come contribuire alla fraternità nel posto dove si trovano, collaborando con altri gruppi e associazioni. Tutto comincia con una scelta personale di vivere con attenzione a chi ci è accanto durante la giornata. La nostra fondatrice, Chiara Lubich, come lo psicologo e sociologo Tedesco Eric Fromm, ha usato l’espressione ‘arte di amare’ (amare per primi = prendere l’iniziativa, amare tutti, amare il nemico, vedere Dio = il meglio in ciascuno, farsi uno con l’altro = cercare il più possibile di mettersi nei panni dell’altra persona, amarsi a vicenda = accogliere, non solo dare).»
Ma il Movimento, come si può erroneamente credere, non accoglie una sola religione. Proprio in virtù dei suoi ideali di fratellanza e aiuto reciproco, accoglie tutti sotto la sua ala.
«Ci sono alcuni Paesi, per esempio l’Algeria, dove la maggior parte delle persone del Movimento sono di religione islamica; qui abbiamo amici musulmani e sikh, e umanisti (non credenti). Ciascuno vi aderisce condividendone il fine e lo spirito, nella fedeltà alla propria chiesa, fede, e coscienza. Il comune denominatore è lavorare per l’unità attraverso il dialogo e la comunione (condivisione).»
Ma arriviamo al 2013, anno in cui la donna parte, direzione Regno Unito. Arrivando in Scozia, proprio di fronte all’uscita dell’aeroporto c’era un grosso cartello pubblicitario che diceva: “Benvenuti a casa!” Devo dire che è stato proprio così e gli scozzesi sono speciali in questo senso: sanno farti sentire subito parte della famiglia. Certo non è stato facile, a volte, specialmente con la lingua all’inizio. Mi sono resa conto quanto noi italiani usiamo le mani per parlare! È stato difficile anche trovare un impiego, entrare nel mondo del lavoro… Bellissimo è stato scoprire la realtà ecumenica che qui è molto viva: nel focolare (la comunità) in cui vivo ci sono tre persone della Chiesa d’Inghilterra, io ho lavorato per un periodo per la Chiesa Metodista, e nel Movimento abbiamo persone di altre chiese ancora, Chiesa di Scozia, Battisti, Chiesa Riformata Unita, Esercito della Salvezza, Ortodossi… questo contatto ha fatto cadere pregiudizi che non sapevo di avere, e mi ha aperto a una dimensione tutta nuova del cristianesimo.»
E per mantenere vivi e frequenti i contatti con le persone del Movimento lontane, be’, si usa anche la tecnologia.
«Strumenti come Zoom hanno aiutato tanto! Certo trovarsi online non è mai come in presenza, ma con la pandemia abbiamo scoperto che possiamo adesso collegarci con chi vive in posti più isolati ed è cresciuto il senso di famiglia tra noi, penso. Io e altri 3 accompagnatori seguiamo un gruppetto ragazze dai 9-12 anni, ci incontriamo su Zoom una volta al mese con una famiglia che vive in Galles, due in Scozia, un paio di famiglie nel centro e nel sud dell’Inghilterra… Riusciamo anche a incontrarci tra diversi Paesi del mondo più frequentemente, dobbiamo sempre calcolare a che ora collegarci per i fusi orari!»
Poi, dopo qualche anno, la Melis lascia la Scozia per l’Inghilterra. Ora si trova a Liverpool e il suo lavoro rispecchia pienamente la sua filosofia di vita, che si basa su comprensione, unione, aiuto.
«Lavoro per l’NSPCC (National Society for the Prevention of Cruelty to Children), un’organizzazione che ha una lunga storia nel campo della tutela dei minori (fondata nel 1883 proprio a Liverpool). Lavoro nell’ufficio amministrativo, faccio un po’ di tutto per supportare il lavoro degli assistenti sociali» spiega. «Abbiamo un programma per mamme e bambini che hanno sofferto violenza domestica, un programma terapeutico per bambini/ragazzi che hanno sofferto abusi sessuali (si chiama ‘Fai spazio al futuro’ – Letting the Future in) e programmi di prevenzione, per esempio per genitori che aspettano una nuova nascita, o per le scuole sulla sicurezza online. Il campo della tutela mi interessa molto e sto imparando tanto.»
E alla domanda, l’ultima, se tornerebbe o meno in Italia conclude così: «Mi viene da rispondere come farebbero i miei amici musulmani, Inshallah (se Dio vuole!). Quando fai parte di una comunità gli spostamenti fanno parte della vita. Di sicuro però mi mancherebbero tante cose di questo Paese, per esempio, l’internazionalità, la cortesia, il rispetto e l’apertura per il diverso, soprattutto la dimensione ecumenica! D’altra parte, chi dei miei amici ha potuto visitare la Sardegna è sempre stato colpito dall’ospitalità e grande generosità di cuore del popolo sardo.»