LA VALIGIA DEI DESIDERI: UN PO’ DI SARDEGNA ALLA ‘MILANO DESIGN WEEK’ CON IL MUSEO MARATE’ DI ISILI

di SERGIO PORTAS

Tutte le storie hanno un loro inizio il più diverso ma per lo più parlano di relazioni tra le persone, questa di cui vado narrandovi scivola dall’ottovolante  della settimana del mobile di Milano, con i suoi numeri impossibili da computare veramente, i 2000 brand espositori da 37 paesi, i suoi 550 giovani designer, i mille e mille “eventi” del “fuorisalone”, le orde più o meno selvagge dei visitatori in transito, e si posa miracolosamente presso la Casa Museo Tadini, per un’esposizione realizzata per la “ Milano Design Week” dall’Istituto Tecnico Moda “ Caterina da Siena” e il Comune di Isili con il suo museo “Maratè”, a titolo: “Sa vallìgia dei dissìgius/ La valigia dei desideri”. C’era dunque una volta… una ragazza laureata in architettura al Politecnico di Milano di nome Bianchin Mariella che nei suoi girovagare aveva conosciuto una Dolores Ghiani, tessitrice isilese, il fatto che di secondo nome faccia Eleonora e che la mamma abbia cognome Olienas e nasca ad Escolca, forse cinquecento abitanti in quella giara di Serri a un tiro di schioppo da Isili, ci fa capire che l’architetta in questione ha più che dimestichezza dei luoghi in cui la storia si dipana, i viaggi frequenti a trovare i parenti di mamma e suoi  la fanno annoverare nel numero incredibilmente grande dei “sardi d’adozione”, che superano almeno di dieci volte  quelli che nell’isola ancora vi abitano. Che, lo sapete, della Sardegna, a conoscerla a fondo, è facile cadere in innamoramento. “Folling in love” dicono gli inglesi. E a furia di parlarne coi suoi amici, docenti in quel “Caterina da Siena”, istituto storico che attraversa tutto il novecento e segue l’evoluzione del settore manifatturiero e industriale italiano, classica scuola di stampo prettamente femminile che ha sfornato generazioni di maglieriste, sarte per bimbi, figuriniste, ceramiste, con due insegnanti di “Ideazione prodotti moda”: Carmen Ziccardi e Alberto Graglia, nasce un insolito progetto: un  “viaggio di istruzione” per un paio di classi di maturandi, una quarantina di ragazze e qualche sparuto maschio, in ottobre, a Isili. Ad attenderle le tessitrici isilesi Dolores Ghiani, Daniela Ghiani e Ilse Atzori e, mi immagino, tutta una serie di persone che si saranno fatte in quattro per far loro conoscere le bellezze e le tradizioni del loro paese, con sconfinamenti in quel di Barumini o quelle spiagge del Sinis da dove gli intrepidi lombardi non avrebbero avuto esitazione  a gettarsi nel sardo mare autunnale. Terra di menhir quella di Isili, ne sono stati censiti una cinquantina, come a dire che tremila anni prima di Cristo le popolazioni che abitavano questi posti li avevano segnati, in continuazione con quelli di Nurallao e Laconi, a controllo del territorio sulla via che avrebbe portato a Gadoni, segnatamente alla miniera di Funtana Raminosa, tra i più ricchi giacimenti di rame in tutta Europa. Indispensabile per arrivare al bronzo, che vuol dire armi le più micidiali al mondo per quell’epoca, quelle che gli eroi omerici avrebbero usato per conquistare Troia, e manufatti, utensili, gioielli , statuine votive. Tutto quello che avrebbe fatto grande l’età dei nuragici. E i nuraghi ancora oggi sentinelle nel territorio della Sardegna tutta a testimoniare di quella grandezza. C’è “Is Paras” a Isili che può a buona ragione parlare per tutti: situato nell’immediata periferia nord del paese in cima a una collinetta che lo fa svettare ancora più maestosamente dei suoi 12 metri di altezza, tutto bianco com’è di calcare marnoso, a dire di Lilliu : “ la più vasta e armonica delle “tholos” sarde che ripete da vicino il respiro ampio di quelle fastose e splendide achee peloponnesiache di metà del II millennio a.C.”. Mastio centrale circondato da tre torri secondarie, collegate tramite cortine murarie. Arrivarvi con il trenino verde da Mandas è catapultarsi indietro di cent’anni, era il 1921 quando il grande scrittore inglese D.H. Lawrence vi fece tappa, insieme a lui la moglie, baronessa von Richthofen, cugina  di quel famoso Barone Rosso che nel ’67 avrebbe cantato anche Giorgio Gaber: “…Uno, dieci, cento e forse anche di più/ tutti gli aerei cadevano giù/ e su nel cielo c’era solo lui/ il dannato Barone non sbagliava mai” (Snoopy contro il Barone Rosso). Come stupirsi della valentia dei ramai isilesi, visto che quell’arte l’hanno appresa sin da tre millenni fa. I loro manufatti venivano portati pei mercati della Sardegna tutta, non c’era festa di paese che non prevedesse la loro presenza, parlando fra loro quel gergo che permetteva loro una fratellanza d’intenti tutta particolare, “pavela arbareska o romaniska”, in sardo campidanese suona “arromanisca”. E non c’era matrimonio che non prevedesse in dote unu “craddaxu” in rame di provenienza isilese, il contenitore più grande tra i manufatti di rame, che poteva contenere più di 200 litri, di acqua naturalmente, ma anche di latte, e che poteva essere utilizzato per gli usi più disparati, sino a fungere da vasca da bagno, oltre che per il bucato ovviamente ma anche per la tintura della lana, la lavatura del grano. Ancora oggi l’ambiente delle cucine isilesi risplende delle lucenti batterie di oggetti di rame appesi su di una parete. I medesimi oggetti che si possono ammirare in una delle tre sezioni in cui è suddiviso il museo Maratè, che ha sede nel più importante edificio storico del centro abitato: l’antico convento dei padri Scolopi realizzato alla fine del 600. Le altre due sezioni sono dedicate alla tessitura, una di tipo artistico con l’esposizione di arazzi del tutto particolari, anche per la tradizione sarda, in essi sono spesso presenti fili d’oro, d’argento e naturalmente di rame. L’altra ha più carattere etnografico e dice delle artigiane che hanno lavorato sui telai numerosissime, L’Angius Casalis ne conta 450 a fine ottocento, i disegni più frequenti: i gigli, le scene di caccia, il pavone, i cavalli. La tecnica più utilizzata è quella a “unu denti”,   dove in ciascun dente del pettine della cassa battente viene fatto passare un solo filo di ordito, particolare delle tessitrici isilesi è lavorare sul rovescio dell’arazzo, si può vedere la parte diritta solo a lavoro concluso, il telaio è di tipo orizzontale. E sembra che le ragazze provenenti da Milano abbiano ben imparato, e subito, quest’arte. Come dice Ilse Atzeni, presente a Milano all’apertura della mostra: “Hanno saputo cogliere l’essenzialità della tradizione isilese”. E l’hanno fatta rivivere coi loro lavori, reinterpretando i motivi tipici del repertorio figurativo degli arazzi isilesi, dopo una ricerca di erbe per la tintura naturale della lana. Come scrivono su di un grande cartello nero a caratteri bianchi: “Abbiamo deciso di iniziare la storia del nostro arazzo tramite la rappresentazione di un occhio che corrisponde al nostro sguardo rivolto a ciò che abbiamo osservato.  Successivamente sono presenti 3 farfalle che simboleggiano le tre tutor che ci hanno accompagnato durante tuto il percorso di work-shop: Dolores, Daniela e Ilse. Insieme ad esse abbiamo scelto di aggiungere dei fiori che ricordano le erbe tintorie raccolte il primo giorno insieme alle tutor…la rappresentazione delle colline ispirate ai paesaggi visitati durante le escursioni…troviamo in centro il nuraghe, simbolo di questa gita, insieme ad esso le pentole in rame…le radici usate per la tintura…la chiesa di san Giovanni in Sinis…le pecore…una capanna che richiama quella visitata durante un’escursione alla Giara di Gesturi…successivamente una valigia che rappresenta il bagaglio culturale e sociale che portiamo con noi da questa gita…infine delle onde…”. Hanno fatto altri oggetti le ragazze, sempre soffusi di cultura isilese ma realizzati al “Caterina da Siena” usando tecniche assolutamente di stretta attualità, computer naturalmente ma anche laser per tagliare una serie di orecchini in plexigas,  e orecchini “radici” in legno tagliato a laser, e metallo. E orecchini in quarzo rosa. E un foulard in poliestere con “stampa su dimatica” (sic). Il tutto a dialogare con una serie di preziosi arazzi provenienti dal Museo Maratè, uno più bello dell’altro: un “re a cavallo” in lana sarda, cordoncino oro e argento, rafia sintetica e rame. Un “carnevale” vecchio disegno, una “vite con frutto”, cordoncino oro e argento rame e lino. Rappresentazione di gigli (coperte antiche) e filo di rame. Oggi 17 di aprile al museo Tadini c’è una gran folla, il posto ha in sé un suo di magico visto il personaggio che ce lo ha lasciato in dono: Emilio Tadini, scomparso giusto vent’anni fa, è stato per anni un intellettuale a tutto tondo, capace di esprimersi in molteplici settori dell’arte, dalla pittura alla scrittura, poeta, drammaturgo, traduttore e giornalista. Ma anche scultore e design nel campo tessile e del mobile, tanto quanto nella pubblicità. In questo spazio alcuni dei suoi lavori dai cromatismi esagerati, dalle mezze lune grandi quanto i grattacieli, dai pagliacci che contendono lo spazio ai condomini dalle mille finestre, ricordano quanto importante sia stato nel lavoro artistico di Tadini, l’attenzione che ha sempre avuto per i piccoli, per i più deboli, i rifiutati dal mondo. Questa casa del 1920, un po’ decentrata ma non periferica, ne mantiene intatto lo spirito giullaresco che ha sempre contraddistinto la sua vita e non poteva esserci posto migliore per ospitare gli arazzi della tradizione sarda di Isili. Che quanto a poesia pura, declinata dai suoi figli, non è seconda a nessuno, sentite come canta Pedru Mura ( 1901), che pure iniziò come ramaio a Isili, lui figlio di ramai, sinché non si spostò a Nuoro, beati coloro che lo possono leggere ( e capire) in sardo nuorese, in italiano suona così: “Ogni colpo di martello mi accendeva un sole/ e il tintinnio di una musica di fiamme mi gonfiava il cuore/ e mi riempiva gli occhi d’un mare di stelle…”. Da “Sas poesias d’una bida”: “Fippo operaio…’e luche soliana”: Fui operaio di luce solare. Si può leggere in rete. E come ha scritto Sandro Ghiani, già responsabile dei servizi culturali del comune di Isili: “ Se siete venuti con un desiderio, un sogno, una fantasia, forse ve ne siete andati con un altro desiderio, con un altro sogno, un’altra fantasia…Forse avete lasciato qui ( a Isili) qualcuno dei vostri desideri e vi siete portati via qualcuno dei nostri. E così, desideri che hanno preso forma di progetti hanno viaggiato avanti e indietro e si sono concretizzati. Ma, si sa, tappeti e arazzi hanno la tendenza a diventare “volanti”…La valigia dei desideri è sempre piena solo a metà perché per quanti desideri ci mettiate dentro ci sarà sempre spazio per tanti altri”.    

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Un commento

  1. Un articolo ben descrittivo, mette in rilievo i vari aspetti dell’artigianato isilese, così come mette in rilievo la capacità dei ragazzi di apprendere ed essere catturati da un lavoro tanto antico che da opportunità di rinnovarsi nel suo essere modellato in vari aspetti.
    Il Municipio 3 ha creduto e ha contribuito, così come Isili che crede nelle sue tradizioni che possono essere rinnovate e tramandate, trasformando il modo di vedere il lavoro a circa 40 ragazzi
    Grazie Ilse Atzori

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