Grazie all’analisi paleomagnetica effettuata su campioni di roccia prelevati in diverse località della Sardegna (in particolare nel Sulcis), un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e del Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre ha evidenziato come l’isola sembrerebbe essere il prodotto dell’unione di due microplacche tettoniche indipendenti avvenuta tra 30 e 21 milioni di anni fa.
È questo il risultato dello studio “Paleomagnetic Evidence for Pre-21 Ma Independent Drift of South Sardinia From North Sardinia-Corsica: “Greater Iberia” Versus Europe”, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Tectonics dell’AGU.
“È noto, grazie a dati paleomagnetici ottenuti in Sardegna e in Corsica sin dagli anni ‘70 del secolo scorso, che il blocco tettonico Sardo-Corso si è staccato 21 milioni di anni fa dal margine europeo Provenzale-Catalano, raggiungendo la sua posizione attuale con una rotazione antioraria di 50°-60°”, spiega Fabio Speranza, Direttore della Sezione Roma2 dell’INGV e coautore dello studio. “Con questo lavoro abbiamo però fatto un importante passo in avanti: abbiamo infatti scoperto che la Sardegna sud-occidentale – nello specifico il territorio del Sulcis – ha subito una rotazione maggiore, di circa 90°, dopo 30 milioni di anni. Non solo: alla luce delle nuove evidenze abbiamo rivalutato dati già presenti in letteratura relativi a rocce molto più antiche, risalenti all’intervallo 300-150 milioni di anni fa, e abbiamo scoperto che la rotazione della porzione meridionale dell’isola risulta ancora più ampia, pari a circa 120°”.
La Sardegna, dunque, si sarebbe formata a partire da due microplacche indipendenti che in epoca geologicamente recente, tra 30 e 21 milioni di anni fa, si sono saldate tra loro e, insieme, si sono staccate dal margine europeo per collocarsi nel Mediterraneo centrale.
“Mentre la parte settentrionale della Sardegna faceva parte di un unico blocco con la Corsica e la Provenza, la placca meridionale dell’isola apparteneva alla cosiddetta placca Iberica, disaccoppiatasi dall’Europa tra 120 e 150 milioni di anni fa, durante l’apertura del Golfo di Biscaglia, con una prima rotazione antioraria di 30°”, prosegue Gaia Siravo, ricercatrice dell’INGV e coautrice dello studio. “Con una seconda rotazione antioraria di 30° avvenuta tra 30 e 21 milioni di anni fa, la Sardegna meridionale si è saldata al resto del blocco Sardo-Corso lungo la cosiddetta faglia di Nuoro. Dopodiché, tra 21 e 15 milioni di anni fa, l’intera ‘nuova’ placca Sardo-Corsa si è staccata definitivamente dal margine europeo con una rotazione antioraria di 60° e ha raggiunto la sua posizione attuale”.
I risultati ottenuti da questo lavoro suggeriscono, dunque, che prima di 30 milioni di anni fa la placca Iberica fosse in realtà molto più grande di come è oggi (si parla, infatti, di “Greater Iberia”) poiché era unita non soltanto alla Sardegna meridionale, ma anche alle Isole Baleari, al blocco Calabro-Peloritano, ai blocchi Kabili (Algeria settentrionale) e al blocco Alboran (che comprende Marocco e Andalusia). Dopodiché, a partire da 30 milioni di anni fa, Greater Iberia è stata frammentata e le microplacche prodotte da questa frammentazione si sono disperse fino a raggiungere la loro posizione attuale.
“Le analisi paleomagnetiche alla base del nostro studio sono state effettuate su campioni di arenarie e argille provenienti da 31 località nel Sulcis, nella Sardegna sud-occidentale. I campioni, analizzati nel Laboratorio di Paleomagnetismo della Sede di Roma dell’INGV, ci hanno permesso di rivalutare tutti i precedenti dati paleomagnetici di letteratura per poi proporre il nostro modello evolutivo”, aggiunge Fabio Speranza.
“Questo lavoro ci ricorda che anche in un Paese come il nostro, in cui negli ultimi 50 anni sono stati effettuati moltissimi studi geofisici e paleomagnetici, ancora ci sono molti aspetti da comprendere sul processo di frammentazione e deriva delle microplacche che ha portato all’attuale assetto tettonico italiano”, conclude Gaia Siravo. “Tra i nostri prossimi obiettivi c’è sicuramente quello di provare a determinare con maggiore precisione l’età della più antica rotazione antioraria di 30° della Sardegna meridionale, ad oggi compresa in un intervallo di tempo lunghissimo, tra 250 e 40 milioni di anni fa: riuscire a datare meglio questo evento ci consentirebbe di approfondire ulteriormente le conoscenze sulla tettonica del nostro Paese”.