Daniela Zedda
di ILARIA MUGGIANU SCANO
Ritrarre chi ha sempre ritratto merita una riflessione che vada oltre un annuncio sbrigativo, una rincorsa a garantire l’informazione di una perdita dolorosa e quasi inaspettata. L’ultimo viaggio di Daniela Zedda lascia disorientati, con una strana sensazione di non aver terminato una conversazione, un confronto di quelli essenziali. Questo è il percepito di chiunque la conoscesse bene. Daniela Zedda, non c’è più, l’artista della fotografia ha finito i suoi respiri terreni. Si rende necessaria una nuova definizione, perché in un’epoca in cui Instagram ha reso fotografo ciascuno di noi, la visione di un esperto merita una parola esatta, perché lo sguardo non è essenza di un buon dispositivo acquistato online. Le sue fotografie sono state pubblicate su Il Corriere della Sera, Il Sole 24 ore, La Repubblica, L’Espresso, Il Manifesto, Musica Jazz, Gioia, Epoca, L’Europeo, Vera, TV Sorrisi e Canzoni, Vogue Casa, Panorama, Abitare, Le Monde, Performing Arts Journal, ed esposte in ogni angolo del mondo.
Le parole più fotografiche le trova Simonetta Fiori per Repubblica: «Daniela Zedda cercava le sue foto con l’ostinazione ossessiva di un pescatore di perle». Mai incline alla retorica dello scatto spontaneo Daniela Zedda, cagliaritana, di madre mandarese, pretendeva la collaborazione del protagonista d’obiettivo. Molto spesso chiedeva: «Scegli un oggetto che ti rappresenti» perché ebbe un’intuizione rara: attribuire importanza all’anima del simbolo.
Esile e determinata sotto la sua armatura utile a raccontare il mondo, giovanissima, unica donna sotto i palchi dei più grandi del jazz internazionale. Da Miles Davis a Miriam Makeba fino a Dizzie, Daniela studiava per giorni il personaggio da rendere accessibile al pubblico, per non lasciare nulla al caso: «Non esistono per me scatti rubati perché rubare è il contrario di donare» una lezione come poche allo spontaneismo che talvolta indulge a scusare buone dosi di lassismo nel racconto fotografico, e artistico in genere.
«Bello non sei, ma qualcosa possiamo tirar fuori» ricorda simpaticamente l’editorialista del Corriere della Sera «Se ricordate un mio ritratto, sul Corriere o nel risvolto di un libro, è probabilmente di Daniela Zedda. Ho conosciuto e lavorato con molti fotografi bravi, ma con lei era nato qualcosa di speciale. Ci intendevamo al volo: lavorava in fretta e mi prendeva in giro. Ci incontravamo dopo un anno, mi squadrava: “Invecchiato sei. Bene. Domani ti fotografo. Mettiti carino, nei limiti del possibile».
In tanti, intuendo la progressiva fama che Zedda, schiva e riflessiva, andava velocemente acquisendo, desideravano e più spesso chiedevano esplicitamente uno scatto all’artista del simbolo, filosofi, conduttori, scrittori, chiunque.
L’opera per eccellenza in cui traspare il modus operandi di Daniela Zedda è certamente Aldilàdelmare (Tyche, 2013), ottantotto ritratti di suoi conterranei che hanno varcato il Tirreno per trovare fuori dall’isola sarda maggiori opportunità espressive, o talvolta semplicemente un lavoro. Artisti, scienziati, imprenditori fotografati e raccontati nelle città dove sono approdati, per necessità, scelta di vita, voglia di confrontarsi con la realtà altra. Ancora una volta emerge il simbolico: non spazi privati ma luoghi iconici, in cui emergesse il potenziale simbolico del setting, attraverso colori, inquadratura, ambientazione che facilmente si facevano racconti sotto la regia del suo sguardo. Perché «La Sardegna è stata il fil rouge del suo lavoro, un mondo culturale e antropologico mai consegnato alla mitologia folclorica» osserva acutamente Fiori. Davvero, inspiegabilmente, pochi i riconoscimenti per una donna che ha sempre trovato la ricchezza interiore delle donne, senza cavalcarne alcuna retorica. Alla consegna del premio Donna Sarda 2016, organizzato dai Lions di Cagliari in collaborazione con il Comune, Zedda osservò: «Io per comunicare ho scelto il silenzio della fotografia che può essere interpretata non solo dall’artista ma anche da chi osserva. Non ho mai vinto premi e questo per me è un regalo enorme». Aveva realizzato l’apparato iconografico del complesso studio di GiuLiA Giornaliste Sardegna, Un giorno all’improvviso. I racconti delle donne al tempo del Covid, sulla piaga pandemica e l’incidenza sulla vita della donna.
Umberto Oppus, primo cittadino di Mandas, lussureggiante ducato storico, centro vitale della Trexenta alla quale Daniela era profondamente legata da vincolo materno, osserva commosso: «Grande fotografa e donna di cultura, ci ha lasciati a soli 64 anni. Mandarese per parte di mamma, si era deciso, come omaggio alle sue origini, di organizzare una sua mostra proprio a Mandas. Non ci siamo riusciti, ma mi auguro di omaggiare questa bella figura di donna e di grande professionista». Sì, perché nessuno aveva messo in conto che il discorso artistico di Daniela Zedda si sarebbe interrotto tanto presto: l’unica pallida consolazione è il pregevole materiale di cui godere e studiare ancora e ancora.