ENNIO PORRINO, IL BEETHOVEN SARDO: LA FIGLIA STEFANIA AL C.S.C.S. DI MILANO PER PRESENTARE “EFFETTO DI SARDI AFFETTI”

Giovanni Cervo, Stefania Porrino e Pierangela Abis

di SERGIO PORTAS

Il tentativo è di scrivere di un musicista sardo che nasce a Cagliari nel 1910 e di cui ignoro praticamente tutto. E allora si va su You Tube e, grazie alla memoria sconfinata dei suoi file, mi metto in religioso ascolto dei suoi brani che sono sulla “rete”: c’è “Sardegna”, poema sinfonico per orchestra in tre movimenti, scritto nel 1934 a ventiquattro anni, lui due anni prima si era diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, del 1935 i canti della schiavitù dove Elio Ligresti al violino, Bruno Ispiola al violoncello e Maria Lucia Costa al pianoforte danno luogo a una “performance” davvero notevole, che ti lascia alla fine quasi senza fiato. Quella “diavolessa” della Costa si esibisce anche in un “Ennio Porrino ostinato pianista”, in cui pare avere mani di dieci dita ciascuna tanto velocemente riesce a battere sui tasti del pianoforte, docente presso il conservatorio di musica di Cagliari, dove anche  è nata ed è tornata dopo una carriera che l’ha vista davvero trionfare in gruppi da camera e orchestre, ma anche da solista, in Europa, Stati Uniti, Canada e Africa. Musica di Ennio Porrino. Che nel 1959 avrebbe visto coronare il suo sogno più bello: al San Carlo di Napoli va in scena l’opera lirica “I Shardana”, ottenendo un successo strepitoso. Coreografia e costumi sono della giovane moglie: Malgari Porrino Onnis. E Dolores Onnis è la mamma di Ennio: non è una coincidenza: è lui che ha sposato la figlia del cugino, tutti Onnis (di Fonni?) facenti capo a un Giovanni, notaio in Nuoro e lì nato intorno al 1970. Tutti sardissimi verrebbe da dire, eppure Ennio lascia la natia Cagliari a poco più di due anni, a seguito del padre che per lavoro  si sposta prima a Pisa (gli rimarrà sempre un accento toscaneggiante), poi a la Spezia e infine Roma, dove anche Malgari è nata, nonché la loro figliola Stefania, di secondo nome Bèrbera, come la protagonista femminile de “I Shardana”. E’ per tutti loro un rincorrere una sardità che andrà riconquistata, dopo averla vagheggiata e respirata coi parlari in dialetto dei parenti, con le visite estive tra Sassari e Cagliari, e a spartiacque davvero tremendo: la morte del tutto improvvisa di Ennio, pochi mesi dopo il trionfo operistico del San Carlo (David Livermore la riproporrà al Lirico di Cagliari nel 2013) e a citare Felix Karlinger, uno dei maggiori conoscitori dell’etnomusicologia e della letteratura popolare sarda: “la più grande opera lirica composta in Italia in questo dopoguerra”. Stefania Porrino è qui al centro culturale sardo di Milano, la introduce con sottile maestria Pierangela Abis richiamando solo una parte della carriera artistica intrapresa: diplomata in pianoforte, insegnante arte scenica a Frosinone, regista teatrale e drammaturga, in teatro radio e televisione. Un padre impossibile da ricordare da vivo, quando venne a mancare aveva poco più di due anni, ma assolutamente presente sempre, attraverso le testimonianze e i ricordi, di mamma naturalmente, della sua musica, dei tanti artisti che l’avevano conosciuto e apprezzato. Un mosaico ricomposto a nuovo, tassello per tassello, nella ricerca di un senso superiore, il padre come guida spirituale per la vita. Il tutto scritto in un libro, maturato in dieci anni, ogni anno un tentativo con un incipit diverso, fedelmente riportati: “Effetto di sardi affetti” (Nemapress edizioni). Si legge a pag.45: “L’abbandono è il tema ricorrente della mia vita. Dopo la morte di mio padre: un continuo tentativo di recuperare la sua presenza e di intessere un dialogo immateriale con lui attraverso la sua musica e l’amore per la sua terra”.  Legge Rosa Muggianu dal “secondo incipit, Roma 2006”: “Sì, credo sia giunto il momento di dare forma compiuta a quello che Jung definisce il proprio mito personale: questo libro sarà la costruzione del mio mito, incentrato sulla Sardegna, a partire dal legame che ha unito la madre di mio padre, suo figlio e me”.

E in effetti tutto il libro è un inno d’amore per quell’isola dei padri, per rispondere alla domanda che urge: “ Ma perché sono nata a Roma, se “dentro” sono sarda?”. Col rimpianto perenne di non avere tratti del viso con quei bei zigomi alti caratteristici dei sardi. Suonavano tutti in famiglia, nonno senza conoscere la musica era capace di riprodurre in un istante il motivetto appena sentito. Mamma si era lasciata convincere a lasciarmi il pianoforte dove componeva papà solo quando dovevo completare il decimo anno di studio per il diploma finale, quando finalmente ero riuscita a suonare una delle partiture più difficili che aveva scritto lui. E ancora oggi, per non perdere la mano, suono almeno tre ore al giorno. E dire che mi piaceva molto ballare, e avrei volentieri tentato di fare le due cose assieme, ma la mia maestra di danza sentenziò che ero sì brava, ma bravissima no. Quando veniva eseguita la musica di papà io e mamma presenziavamo spesso, da piccola sentendo continuamente magnificare la sua opera mi venne da chiedere a mamma: “Era bravo come Beethoven?”  Naturalmente non così bravo ma ha un posto nella storia della musica, come Stefania lo ha nel teatro del ‘900. “Ho fatto i miei compiti”, dice. Mamma ha poi fatto la scenografa e la pittrice per tutta una vita, dedicandosi all’opera davvero gravosa di mettere in piedi un archivio contenete tutte le carte di papà, come solo sanno fare quelli che nascono sotto il segno della Vergine. Ho avuto la fortuna di essere circondata da artisti sin dall’adolescenza, e molti di loro erano sardi, specie nelle serate del dopo-teatro veniva fuori quel loro spirito tutto particolare, ad allentare i freni inibitori un aiuto molto corposo è sempre venuto da uno o due o tre bicchieri di cannonau, che ho imparato ad apprezzare da subito, vino sardo per eccellenza con quella sua “u” finale che lo caratterizza. Un piccolo shock per tutti i presenti: Rosa legge il testamento di Ennio Porrino, Cagliari, 1° maggio 1957, due anni prima della sua morte. Un mese prima gli è nata una figlia. Non si può non sottolineare la singolarità di una tale scelta, e viene da intravvedervi una sorta di premonizione, lui che ancora non aveva compiuto il mezzo secolo di vita. Come che sia si legge: “Cara Malgari…sono le 11 antimeridiane, giù nella piazza la folla, che attende S. Efisio, brulica e a me giunge un lieto vocio che mi sembra appartenere ad un altro mondo. In realtà da molto tempo mi sento distaccato da questa terra e più ancora da un’umanità che io sento diversa e lontana dal mio spirito, dai miei principi morali e sociali…l’entusiasmo che oggi gli uomini ripongono in cose banali e volgari…il culto che essi professano per i beni materiali…tutto ciò mi ha fatto largamente perdere il piacere di vivere, d’abitare in questo mondo, di aver contatti e rapporti con gli uomini…E’ rimasta per me una sola Isola che io ami e per la quale considero bella e accettabile la vita: è l’Isola dei puri affetti, abitata quindi da te, da Stefania, dai miei genitori, da zia Peppina…Stefania è nelle tue mani, sentine la responsabilità e occupati molto e sempre di lei…Non spaventarti e non indietreggiare, sii forte. Io ti sarò vicino, certamente, anche dopo la morte…”. Perché questa amarezza? Era comunque un uomo di successo…L’artista vive in un mondo di particolare sensibilità, Ennio aveva vissuto il ventennio fascista e ne aveva inevitabilmente respirato l’aria, passava per essere “un uomo di destra” e chissà cosa avrebbe detto di questa sua figlia che invece avrebbe “fatto il ’68”. Forse anche per questo motivo la sua musica è stata accantonata, un poco dimenticata. Anche per una sorta di provincialismo. Dopo il lavoro pazzesco per mettere a posto e schedare tutte le tracce del suo lavoro, il “Fondo Porrino” è stato donato all’accademia di santa Cecilia, lui che a 33 anni ne era stato il più giovane accademico. E ora i suoi spartiti sono aperti per le tesi degli studenti. Anche se rifiutava la dodecafonia l’ha poi usata, la voleva filtrata attraverso la musica tradizionale. Non è un caso che al conservatorio di Cagliari vi sia un suo busto bronzeo opera di Pinuccio Sciola. Per ritrovare la “sua Sardegna” Ennio si giovò dell’aiuto del poeta e scrittore sardo Marcello Serra ( suo il famoso: “Sardegna quasi un continente”), che farà anche da “Virgilio dantesco” per Stefania quando girerà il suo lungometraggio: “Tu madre, tu Sardegna”, nel 1990. In cui Ennio Porrino lo farà interpretare a Massimo Foschi. Due anni prima lo sceneggiato radiofonico in cinque puntate: “L’Isolano, Ennio Porrino, uomo e musicista”. “Per il film dapprima ho scelto la musica di papà, poi le ho abbinato i posti in cui giravamo, il pozzo sacro di Sardara, Barumini e il suo nuraghe, il tempio di Esculapio di Nora”. Dalla sceneggiatura del film: “Tu madre, tu Sardegna/ Come paziente sacerdotessa/ mi offrivi gli elementi della tua saggezza./ Tu madre, tu terra che nutre./ Dell’eterno opporsi dei contrari/ mi svelavi il senso/ con i tuoi inviolabili silenzi/ e i tuoi scoppi di vita, irrefrenabili…”. Per ritrovare in continente un panorama che gli ricordasse l’isola, Porrino si fece costruire sull’Argentario una casa a cinque chilometri dal mare, al fondo di una strada che che non portava a nulla: l’Argentarola l’avrebbe chiamata. L’Argentario di allora era un posto del tutto selvaggio, non c’era neppure la corrente elettrica. Stefania Berbera Porrino ha continuato ad interrogarsi, a guardarsi nello specchio, per individuare i tratti sardi che le “devono appartenere”: “Non parlo sardo, dice, ma posso cantarvi se volete una “Anninnora/anninnora”, io che sono cresciuta con le canzoni di Maria Carta”. E i “sospiri di Ozieri” che le hanno regalato quando a sette anni prendeva un aereo che da Cagliari l’avrebbe riportata a Roma, quelli non se li è più scordati. Proiettati sullo schermo e avvolti nella sinfonia della musica “I Shardana”, danzano seminudi con nere maschere di legno dalle corna appuntite, il loro spirito evocato da un figlio di Sardegna che lo aveva riesumato già nei lontani anni cinquanta. Aveva scritto Ennio Porrino: “Una nostalgia inspiegabile…fa crescere dentro, insopprimibile, il desiderio di ritrovare il luogo dimenticato della propria origine”.

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