Giampaolo Pisu
di LORENZO ARGIOLAS
. Il 19 novembre scorso, nell’ambito del Festival Anderas, è stato consegnato il Premio d’Arti “Faustino Onnis”. Il Premio Letterario, promosso dalla Fondazione Faustino Onnis, che si pone come obiettivo la valorizzazione della lingua Sarda in tutte le sue varianti, prevede una sezione di Poesia e una di Prosa. Ad aggiudicarsi l’edizione 2022 per la prosa è stato Giampaolo Pisu col suo racconto “Su Currispundenti”. Pisu, sardarese, da anni ormai collabora con La Gazzetta del Medio Campidano, è un’attivista per la tutela della Lingua Sarda e ha all’attivo diversi scritti che hanno ottenuto svariati riconoscimenti anche in altri premi letterari.
“Su Currispundenti” è un racconto ironico che descrive la realtà vissuta da un qualsiasi corrispondente locale. Ha mai vissuto questa situazione o si è ispirato a qualche episodio in particolare? «Ho semplicemente cercato di calarmi nel personaggio, un corrispondente locale le cui capacità non sono proprio corrispondenti a tale ambizione. Alcune delle situazioni descritte sono state suggerite da esperienze personali, ma non come corrispondente. Capita talvolta di leggere notizie magari riportate con insufficienza, niente di tragico, cose assolutamente normali nel mondo della comunicazione. Naturalmente nel mio racconto le situazioni sono ingigantite e deformate, fino al ridicolo».
Qualche soddisfazione in questi anni se l’è tolta. Ha mai pensato di scrivere qualcos’altro oltre ai racconti, come un romanzo? «Ci ho pensato. Scrivere un romanzo in lingua sarda è certamente più impegnativo. Ma non mi ritengo uno scrittore, ho iniziato a scrivere per via del mio impegno come attivista per i diritti linguistici, ed è stata l’occasione per mettermi alla prova. Quando è una giuria a giudicare positivamente una tua opera, ciò da una certa soddisfazione, soprattutto considerando che oggi vi sono molti bravi scrittori in lìngua, c’è “concorrenza”. Poi ho scoperto il piacere, il divertimento nell’inventare trame narrative e situazioni dove ironia e umorismo non mancano quasi mai…»
Secondo lei vale la pena, al giorno d’oggi, battersi per la Lingua Sarda? «A volte sono preso dallo sconforto. La sempre minore trasmissione generazionale della lingua da genitori a figli sta portando alla morte la nostra lingua. Siamo passati in pochi anni da una situazione di diglossia ad una situazione di dilalia, anticamera della scomparsa di una lingua. Si tratta a mio avviso di una responsabilità enorme che grava sulla classe politica, una catastrofe antropologica e culturale con importantissimi riflessi sulla politica e sull’economia. La lingua è l’elemento della cultura immateriale più importante di un popolo! Che giudizio potremmo mai dare ai responsabili di questa catastrofe? Nonostante ciò però sento ancora forte il dovere morale di fare qualcosa per contribuire al suo salvataggio. Io da solo posso fare poco, per poter incidere in maniera forte è necessario ricoprire ruoli importanti in politica. Porto avanti il mio impegno con Associazioni come s’Acadèmia de su Sardu, Pro Loco, Consulta Cultura e Lìngua Sarda di Sardara (che è in attesa di essere ricostituita dall’amministrazione comunale) e su questo giornale. Vale ancora la pena di battersi per la propria lingua e non solo per questioni culturali, e politiche, nel senso che abdicare alla questione lingua significa rinunciare ad essere Popolo ed essere declassati a semplice popolazione amorfa e senz’anima».
A che punto è, secondo lei, il processo di “normalizzazione” del sardo. Cioè che tipo di concezione si ha oggi della nostra Lingua? «Oggi in campo vi sono tre proposte di standard grafico (che riguarda solo la scrittura): “Sa Limba Sarda Comuna” proposta sostenuta da Soru, che ha mostrato i suoi grossi limiti a causa della sua forte connotazione Logudorese, una proposta razzista, prevaricatrice e offensiva (almeno per me) nei confronti di chi parla il campidanese; la seconda è quella proposta da prof. Mario Puddu, e fa riferimento alle parlate di mesania dei paesi di Ortueri, Samugheo, Sorgono, Atzara, effettivamente “baricentriche” rispetto a quelle logudoresi e campidanesi, e quindi non fa “fillus e fillastus”. Ma, considerato il fatto che questa parlata è propria di una zona poco popolosa che ha prodotto poca letteratura, vi è il pericolo di scontentare sia logudoresi che campidanesi, la maggioranza dei sardi; La terza proposta tiene conto de su “connotu” letterario (e de is cantadoris) e quindi più democratica e rispettosa della realtà, delle macrovarianti e di tutti i sardi, è Su Sardu Standard, una proposta di normalizzazione ortografico-grammaticale delle due macrovarianti storiche della lingua sarda: campidanese e logudorese. Ad elaborare la proposta è stata s’Academia de su Sardu (Ediz.Alfa Editrice) ed è quella nella quale scrivo io stesso. E’ una proposta che da qualche anno presentiamo in tutti i paesi della Sardegna. Personalmente non escludo per il futuro che a queste due macrovarianti si possa affiancare una proposta di standard baricentrica, come quella di prof. Puddu. Poi c’è anche chi scrive “a sentimento”, o meglio “a sa trallallera”, senza seguire alcuna regola, forse per pigrizia o forse per presunzione. In ogni caso deve cambiare radicalmente l’atteggiamento della politica verso la questione, garantendo lo spazio (anche economico) che merita. Basterebbe prevedere progressivamente l’obbligatorietà della conoscenza della lingua (o il riconoscimento di una premialità non simbolica) nei concorsi pubblici (in Regione è già previsto), per innescare un processo virtuoso di riappropriazione linguistica, nel quale la lingua da elemento di identità diventerebbe importante fattore di contribuzione alla realizzazione economica, come succede per tutte le lingue “normali” di questo mondo. Legare la lingua esclusivamente a tradizione significa decretarne la morte».
Può dare un consiglio ai giovani scrittori? «Mi sentirei di consigliare loro di darsi alla scrittura solo se hanno qualcosa da dire. Agli scrittori sardi chiedo di utilizzare il sardo, anche nelle traduzioni delle opere in italiano. Alcuni già lo fanno, penso a Francesco Abate con “Mia madre e altre catastrofi” tradotto in sardo con Ajò o ma‘ (traduzione di Cristian Urru), o penso all’amico Giuanni Pàulu Salaris che ha scritto un giallo in lingua sarda “Fintzas a Morri”, che ho avuto anche il piacere di presentare. Ma oggi vi è una ricca letteratura in lingua sarda, anche di traduzioni di classici, una letteratura spesso ignorata dalla stampa e dai media. Ai giovani scrittori consiglierei anche di sardizzare le opere con i nomi dei luoghi, delle persone, di raccontare comunque la loro terra, soprattutto nella modernità (basta con le storie di banditi e disamistadis!). Per citare l’abusata massima di Tolstoj “Se vuoi essere universale parla del tuo villaggio” ».