RITRATTO DI SALVATORE COLLARI E LA MISSIONE DEL MEDICO: IL RICORDO DEL TISIOLOGO E DEL SUO IMPEGNO SCIENTIFICO E SOCIALE

Salvatore Collari

di LUCIA BECCHERE

Illustre studioso medaglia d’oro “Carlo Forlanini” al merito sanitario nel 1957 e a quello scientifico nel 1964 per “il contributo qualitativo e tecnico delle indagini schermografiche di massa e la sua impostazione clinica”, Salvatore Collari (Nuoro 1901-1976), primi studi nel convento dei frati osservanti alunno di mastru Predischedda, aveva frequentato il ginnasio nel vecchio palazzo di piazza Satta e il liceo a Sassari. A Bologna conseguì la laurea in medicina a soli 23 anni. Fu primo in Italia e fra i primi nel mondo a sperimentare la schermografia nelle sue applicazioni scientifiche e sociali.

La sua vita era tutta una missione. Si dedicò con passione allo studio della TBC, della malaria e dei tumori, calando la sua attività medica e scientifica nel sociale: prevenzione, diagnosi precoce e successivo inserimento del malato in famiglia e nella società, combattendo steccati e pregiudizi, facile humus al bacillo del male. Tisiologo, sociologo, scienziato e scrittore, Collari fu soprattutto nuorese. Amava la sua famiglia, Nuoro e la sua gente, che mai aveva dimenticato il suo illustre concittadino, accolse le sue ceneri con tutti gli onori”.

A ricordarlo per noi la nipote Giovanna Tolu Collari oggi 90enne.

Che ragazzo è stato?

“Secondo di nove figli, è stato un ragazzino terribile, vivacissimo e intelligentissimo. Quando si doveva iscrivere all’università l’avvocato Satta Marchi aveva suggerito al padre di lasciargli fare la sua scelta perché comunque avrebbe fatto quella giusta”.

Un aneddoto?

“Un giorno con mia mamma Grazietta, sua sorella maggiore di un anno, era scappato dall’asilo che si trovava nei pressi dei Giardinetti per far rientro a casa da soli. Per quella bravata rimediarono entrambi sonore sculacciate come si usava a quei tempi”.

Dove ha lavorato dopo la laurea?

“Ha avuto una condotta a Tortolì che comprendeva tanti piccoli paesi limitrofi. Profondamente colpito nel vedere il numero di tubercolotici rachitici di quella zona e le condizioni miserabili nelle quali vivevano, maturò la decisione di fondare una colonia marina per i ragazzini perché venissero ben nutriti e curati con bagni d’aria, di sole e di mare. Sul terribile fenomeno della tubercolosi in Sardegna ha scritto numerosi testi.  Dopo qualche anno, a Roma prese la specializzazione in Igiene e Tisiologia, ricoprendo in seguito numerosi incarichi. Durante la guerra ha lavorato al Policlinico Militare del Celio e poi in Russia. Su quella triste spedizione italiana aveva scritto un libro andato smarrito dopo la sua morte.

Direttore del centro d’igiene del comune di Roma, impartiva lezioni alle visitatrici domiciliari per insegnare l’igiene e il modo di vivere in casa perché le mamme tubercolotiche non dovevano dormire nello stesso letto coi bambini”.

Che uomo era?

“Era socievole e affettuoso con tutti, legatissimo alla sua famiglia di cui sentiva la mancanza, della mamma soprattutto. Fra i tanti amici il giurista scrittore Salvatore Satta e al pedagogista Carmelo Cottone.

Amante della tradizione, faceva raccolta di canti sardi, di poesie in limba e amava farne dono anche agli amici”.

Rientrava spesso a Nuoro?

“Raramente perché lavorava moltissimo, anche 20 ore su 24 e quando tornava era d’obbligo salire al monte. Nel ‘55 era rientrato per curare la mamma che, gravemente malata di tumore, morirà un anno dopo. Con lei aveva un rapporto bellissimo. In una lettera indirizzata alla sorella Iolanda scrisse: “Penso sempre a mamma seduta nel suo angolino vicino al caminetto”. Teneva una corrispondenza molto fitta con le sorelle e con il padre, a lui indirizzava la maggior parte delle lettere dove esprimeva uno struggente desiderio di venire a trovarli. Era poi ritornato quando nonno Pietro aveva compiuto 90 anni, nonna Michela non c’era più. Per festeggiarlo, aveva offerto ai familiari un pranzo all’aperto a Solotti.

L’ultima volta è stata nel ‘64 per la morte del padre”.

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