UNA SARDA TRA LE NUVOLE: LUCIA COSSEDDU, L’INFLUENCER CHE RACCONTA LA SUA TERRA

Lucia Cosseddu

di FRANCESCA MATTA

Cagliaritana doc, del quartiere La Vega, Lucia Cosseddu, in arte “Una sarda tra le nuvole”, è cresciuta in una famiglia di pescatori, da una parte, e dall’altra è barbaricina di Orani. Oggi è tra le influencer più seguite in città e non solo, con oltre 34mila follower su Instagram e già tante collaborazioni importanti alle spalle: da Ichnusa al FAI, fino ad arrivare all’ospitata da Licia Colò per la trasmissione “Il mondo insieme” su Tv2000. Ma per arrivare a questo risultato ha dovuto farsi strada da sola, in un mondo, quello della comunicazione, che ancora viene visto dall’alto in basso, senza troppi riconoscimenti.

Tutto è iniziato quando Lucia ha deciso di mollare tutto, il suo lavoro a tempo indeterminato nella ristorazione, a Cagliari, e un mutuo acceso a soli ventun anni, e partire per l’Asia, per le vie di Bangkok, dove da una parte c’erano grattacieli lussuosissimi e dall’altra baraccopoli. Un mondo che ha cambiato per sempre il suo modo di essere e l’ha spinta a voler esplorare, raccontare sempre più, le parti di mondo che sognava di visitare tra una pausa pranzo e l’altra.

Sei tra le influencer più seguite in Sardegna. Come sei arrivata fino a qui? Il progetto ‘Una sarda tra le nuvole’ è nato ufficialmente nel 2017. Non mi piace differenziare troppo il mio personal brand da Lucia perché credo molto nell’essere me stessa, che è una cosa che spesso sui social non si vede, perché sembra quasi più facile costruirti un altro personaggio e poi tieni per te il tuo privato. Io questo non sono mai riuscita a farlo perché mi costa fatica, ci metto molto di me stessa. Direi che questo progetto è nato molto prima, con la mia passione per i viaggi attraverso i libri, sono un’assidua lettrice da sempre, così come tutta la mia famiglia, son cresciuta in mezzo ai libri. Da grande ho letto gli autori sardi, come ‘Cenere’ di Grazia Deledda, e mi è piaciuto incredibilmente perché è molto moderno e all’avanguardia per essere stato scritto all’inizio del Novecento, c’è una ricerca a livello psicologico dei personaggi che trovo davvero tanto attuale, come se invece adesso fossimo tornati indietro. Però da bambina l’unica cosa che ho letto di sardo è ‘Fiabe sarde’, quel libro che credo avessimo tutti.

Quindi sei partita dalla letteratura.  Sì per me viaggiare era quello: io leggevo ‘I misteri della giungla nera’, ‘Sandokan’, alle superiori prendevo un sacco di note perché mi trovavano  a leggere i miei romanzi. Così ho iniziato a muovermi, e ho avuto la fortuna di avere dei nonni e degli zii viaggiatori da sempre. Il mio primo viaggio con loro è stato a Nocera, perché la sorella di mio nonno è il ‘capo’ delle suore di clausura del posto. Quindi mi son trovata in una di queste cellette in mezzo a tutti i santi e crocifissi, era stata un po’ dura [scherza]. Dopodiché una delle mie migliori amiche era stata in Australia, e da lì mi era venuta voglia di andarci. Ho fatto tutto quello che c’era da fare: mi son ‘sistemata’, ho investito in una casa e un mutuo, poi mi son detta no, non mi piace. E son partita.

E com’è andata?  Be intanto da otto anni fa a oggi il lavoro della comunicazione è cambiato tantissimo. Son stata da poco all’Università di Oristano a parlare del lavoro di travel blogger per il settore turistico, ma mi sarebbe piaciuto poter sentire una persona che dieci anni fa mi avesse detto sì puoi creare un lavoro su questo. Invece c’era qualche video Youtube, qualche blog, io mi informavo e leggevo sempre gli stessi articoli di viaggio, e avevo comprato la Lonely Planet del mondo, e passavo i pomeriggi a sfogliarla, guardavo le foto di Bali e mi immaginavo un giorno di poterci andare. Così ho proposto al mio compagno di partire in Asia. Non è una scelta facile, però avevo dei risparmi e l’ho fatto. È stato il viaggio più bello della mia vita, siamo rimasti cinque mesi nel Sudest asiatico  e ogni giorno si decideva che fare, con un budget bassissimo. E lì ho iniziato a raccontare delle mie giornate in viaggio nella mia pagina Instagram, perché pensavo a quanto piaceva a me quando ero in ristorante, in pausa, guardare cosa stavi facendo nel mondo e per me anche quello è viaggiare, come leggere un libro. All’epoca avevo pochissimi follower, giusto i miei amici. Poi pian piano ne arrivavano di nuovi, era una passione che è l’ingrediente principale per questo lavoro. Io non volevo fare la travel blogger, la content creator, non sapevo scattare una foto. Scrivevo. Dopo che son tornata dall’Asia ho aperto il blog su Wix, nel 2017, con un amico, e mi son messa a scrivere dei posti che avevo visitato. E anche lì ho avuto la fortuna di essere a cavallo: ci sono posti che prima erano sperduti e oggi sono già super commerciali. Dopodiché partiamo per l’Australia, nel 2018, dopo un’estate di lavoro in Sardegna per racimolare altri soldi. Con mille euro circa, prendiamo un ostello, ci guardiamo in faccia e ci diciamo: siamo soli davvero. Iniziamo a lavorare, è stato uno dei mesi più brutti della mia vita. Per fortuna poi un giorno, vado a stampare i curriculum e il primo posto dove sono entrata mi hanno detto di fare un cappuccino e ho iniziato così. Dopo sei mesi in città, andiamo in Asia per un mese di stacco, Filippine e Bali, e poi andiamo nel nord Australia a fare le farm per rinnovare il visto. Quindi gli altri mesi abbiamo preso una macchina e abbiamo vissuto in mezzo alla natura sconfinata: lì ci sono i campeggi liberi con cucine e bagni e ti prendi un pezzo di terra. Noi avevamo una tendina, io dormivo su un tappetino da yoga, e raccoglievo verdure e poi ho lavorato in fabbrica. È stato bellissimo e gratificante, molto duro.

E poi sei tornata qui? Sì a settembre 2019 siamo rientrati per fare una pausa di tre mesi, e invece poi siamo rimasti qui per via della pandemia. In Australia avevo iniziato una accademia online di comunicazione e digital marketing con cui ho iniziato a mettere le basi per il mio lavoro, ma sono in continua formazione. È in quel momento che mi sono sentita per la prima volta legata alla Sardegna. Secondo me anche perché sono cresciuta tanto in città, mentre in Australia vivevo in mezzo alla natura, quindi ho sviluppato tanto questo attaccamento alla terra. D’altra parte, però, ho visto anche che le cose non funzionavano: se in Australia per zappare i campi prendevo venti euro l’ora e se facevo tre minuti e mezzo in più, venivano pagati, qui no.

La tua poi è una attività per cui c’è ancora oggi un forte pregiudizio: quello della comunicazione come lavoro che possono fare un po’ tutti. Perché secondo te? Penso a tanti giovani capaci che potrebbero dare tanto alle aziende, soprattutto locali, e invece non vengono riconosciuti come tali. Intanto bisogna andare di pari passo coi tempi. Se trent’anni fa potevi sponsorizzare il tuo ristorante su una testata giornalistica o in radio, adesso hai l’enorme fortuna di poter avere una vetrina gratuita virtuale, lavorando sui social, costruire un blog, indicizzare in ottica SEO, portare le persone a scoprirti. Puoi sfruttare le persone che hanno una community in target per far arrivare la tua pubblicità a persone interessate. Fare formazione è fondamentale. I pregiudizi ci sono sempre stati, e in Sardegna, mi dispiace dirlo, ce ne sono tanti. Tendiamo sempre a vedere chi fa una cosa che ci sembra molto bella, anziché dire come ci è arrivato, lo si sminuisce. Un altro lato negativo è la mancanza di comunicazione onesta ed etica. Io sono una che ha sempre detto quello che pensava, nel bene o nel male, presento sempre una versione molto chiara del mio lavoro. Invece la maggior parte dipinge una vita che non è reale con hotel di lusso, viaggi gratis e così via. Quando son tornata qui ho investito tutti i soldi che avevo per imparare a costruire un sito web professionale, me lo sono costruita da sola. E mi son detta: io ci provo, racconto la Sardegna. Ho iniziato a mandare le prime email per collaborare, la prima estate l’ho passata facendo collaborazioni non retribuite, chiedevo una notte, un’esperienza e la raccontavo. Per iniziare a fare gavetta va bene. È stato difficile perché sì le aziende avevano magari giovani che si rapportavano con me e capivano, ma in Sardegna, ti dico la verità, non ho mai visto nessuno collaborare, se non una Alessandra Polo di @igers_sardegna, che organizzava i primi ‘Insta Meet’, e mi ha aiutato tanto in questo senso. Ma è andata bene. Tanti alberghi mi hanno detto grazie perché hai fatto il pieno.

Quindi c’è stato un riscontro. Ti senti supportata dalle istituzioni locali?  Per niente. Io ho fatto tutto da sola, ho scritto più volte all’Ente del Turismo della Sardegna e non mi ha mai risposto. Sono andata quest’anno al TTG Travel Experience Rimini a proporre dei progetti per il Sulcis, e quando sono arrivata allo stand mi è stato risposto che non c’era nessuno per l’ovest della Sardegna. Sono andata a mie spese in tanti siti archeologici, magari abbandonati, a mostrarli, a far vedere la Barbagia d’estate, a mostrare musei, a cercare tessitrici, artigiane, la signora Speranza Ladu di Sarule è stata quella che mi ha colpito di più. Sono tutte cose che stanno andando perse, perché non c’è nessuno che si occupa di salvaguardarle, di raccontarle. Queste tessitrici hanno fatto la storia, e ora il lavoro è interrotto perché le nuove generazioni non sono supportate a fare un lavoro del genere.

Cosa ne pensi invece della comunicazione che fa la Regione della Sardegna? È obsoleta. Proprio l’altro giorno all’Università di Oristano dicevamo di questa signora che è arrivata a Iglesias e c’erano dei cartelli dei pullman con gli orari di tre anni fa. Lo trovo un po’ inutile, perché se la Regione si preoccupa di intensificare i voli da giugno a settembre e poi ci lascia chiusi qua e per fare una visita urgente a Roma devo pagare quattrocento euro, c’è qualcosa che non va.

Oppure il contrario, magari ci sono anche turisti che vorrebbero visitare la Sardegna anche in altri periodi dell’anno. Ce ne sono già tanti che lo fanno, penso ai tedeschi, i danesi, che in alcuni casi la conoscono anche meglio dei locali.  Certo, perché sanno che c’è il Selvaggio Blu, che è uno dei trekking più importanti d’Europa, che il Gorroppu è uno dei canyon più profondi e si possono fare esperienze pazzesche. Ci sono le dune sabbiose tra le più alte d’Europa, Piscinas, a Porto Pino, la Barbagia ha un tesoro di tradizioni, di cultura. E chi te le racconta queste cose? Perché io non le sapevo, da sarda, se non c’è tua zia che è di quel paese e te lo racconta. Bisogna lavorare sulla destagionalizzazione perché la Sardegna ha un clima mite quindi si può venire tutto l’anno. Io ad esempio ho provato a fare vela, una settimana fa, e i ragazzi della Scuola di Cagliari mi hanno detto ma perché se tu vai in Trentino una settimana provi a fare sci e qui non si può imparare a fare vela? Abbiamo anche le atlete delle Olimpiadi che si allenano, perché il nostro è uno dei mari migliori per questo tipo di sport. Se ci fosse un buon investimento fatto nei punti giusti, si potrebbe fare molto di più. Se in Sardegna non abbiamo collegamenti adeguati e per spostarti in auto devi spendere mille euro per una settimana a luglio, non si può fare. Non ci sono servizi, non c’è un posto dove mangiare. Avevamo le vie del Carignano, nel Sulcis, e ora sono chiuse, abbandonate. L’anno scorso sono stata a Baunei e non ci tornerò mai più in alta stagione perché mi ha fatto male al cuore vedere le spiagge deturpate, è inutile dire che i turisti rovinano: lo fanno se glielo permetti. Se li vuoi tre mesi all’anno e ne fai entrare cinquemila in una spiaggia, è ovvio che viene rovinata. Sono andata a Scivu, perché alcuni ragazzi hanno avuto l’idea di mettere su un ittiturismo, e alcuni giorni ti permettono di andare a pesca insieme a loro, spiegando come funziona la loro attività. Ma non c’era un porto: l’unico è quello di Buggerru che è inagibile. Com’è possibile che da un lato della costa c’erano cinquemila persone al giorno e dall’altro c’ero io e un altro paio di persone? Bisognerebbe che tutti si mettessero d’accordo, i Comuni, la Regione, e si preparasse la Sardegna al turismo fatto come si deve.

D’altra parte c’è anche chi pensa che se ‘apriamo le gabbie’ nell’ovest, c’è il rischio di tornare al cemento, al turismo di massa e quant’altro. Cosa ne pensi? Ma perché se vado in Trentino, in Alto Adige, il turismo funziona, pur mantenendo tanta natura? Certo, bisogna fare le cose bene. Non per forza se arriva il turista devi ridurre una spiaggia come hanno ridotto Budelli. Il turismo può arrivare ovunque, se fatto bene, siamo noi a deciderlo. È ovvio che se non sei pronto, i posti vengono devastati.

Il modello Costa Smeralda è sempre stato duramente criticato dagli stessi sardi, ma a quanto pare è quello che funziona meglio. Certo, prima si critica chi ha avuto il coraggio di farlo, poi si ripropone, male, perché noi non abbiamo la mentalità imprenditoriale. Perché se vai a Capriccioli ad agosto non ti costa quanto andare a Porto Sa Ruxi dove ci sono scogli, non c’è una strada, non c’è un bagno, non c’è accessibilità per i disabili. Se vai in Costa Smeralda li trovi. E paghi anche meno. Va bene investire, ma bisogna farlo nel modo giusto.

Hai avuto anche l’occasione di collaborare con un’azienda grossa come Ichnusa. Com’è andata?  Sì sono stata contattata da un’agenzia di comunicazione per sponsorizzare un progetto. Mi son trovata molto bene, ho lavorato con altri colleghi tra cui Angelo Meloni, che ora lavora a Dubai, ed è tra i pochissimi, se non l’unico in Sardegna, che fa delle riprese pazzesche col drone a livello professionale. Pensa che video potrebbe realizzare. Io mi sono occupata del racconto del territorio, a Porto Conte, nell’area naturalistica. Per me è stato un grande onore lavorare per una realtà di questo genere.

Quindi diciamo che in Sardegna abbiamo grandi aziende come questa, che lavorano egregiamente dal punto di vista della comunicazione, e dall’altra c’è tutto un sommerso. Sì da una parte hai chi non si informa e non crede in questo, dall’altra ci sono tanti furbi che hanno visto lungo e siccome ora tante aziende si stanno interessando a questo mondo, fanno formazione in maniera tutt’altro che etica e professionale. Tante persone si propongono per gestire i social svalutando il nostro lavoro, e ti fanno il terreno bruciato attorno. Perché ora basta comprarsi 50mila follower con cento euro, però a lungo andare i risultati non ci vedono quindi tante piccole aziende non si fidano e non investono. In tanti casi manca proprio la passione, la conoscenza, sapere di cosa stai parlando. Io parlo di quello che mi piace e in cui credo, se una cosa non mi rappresenta non la sponsorizzo nemmeno. Siamo in tanti molto bravi e non si investe su di noi. Io da uno scopro le zone archeologiche, da un altro le spiagge, da un altro ancora la gastronomia. Questo è un lavoro.

Hai già dei nuovi progetti in mente? Certo, prossimamente sarò a Fuerteventura, in alcuni di spazi coworking, e poi insieme a una collega fiorentina, faremo a piedi il tratto dalla Costa Smeralda alla Gallura, da Porto Pollo a Olbia, chiedendo ospitalità ai nostri follower.

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