di VIRGILIO MAZZEI
Nel prosieguo della conoscenza dei vitigni autoctoni sardi cosiddetti “minori” – o sarebbe meglio dire poco considerati – voglio portare all’attenzione dei lettori di Tottus in Pari il vitigno Arvisionadu.
L’Arvisionadu è un ceppo antichissimo – direi millenario – a bacca bianca, e coltivato principalmente nel centro nord della Sardegna, specificatamente nel Goceano, da cui proviene l’omonimo vino.
Dobbiamo dire però – con dispiacere – che nonostante la sua venerabile età, questo vitigno ha trascorso la sua esistenza quasi nell’anonimato, come un bravo attore che non appare quasi mai sul palcoscenico perché il regista non ha giustamente considerato il suo talento.
Il vino prodotto da questo vitigno è conosciuto con diversi nomi, molto simili nella pronuncia e nella grafia: Arvesionadu, Avresiniadu, Arvusiniadu, Arvusiniagu e Oschirese.
La prima citazione storica risale al 1780, e viene da Andrea Manca dell’Arca, che lo menziona nel testo “Agricoltura di Sardegna”. Lo studioso sassarese lo chiama “Arvu Sinadu, dai grani prolungati e rari”.
Successivamente, venne argomentato nel 1897 da Santi Cettolini, nel libro “Profili di Enotecnia sarda”, che lo indica come Arvusiniagu e Arvusemidanu.
Infine, nel 1909, Alberto Cara lo identifica con il nome di Alu Signadu, presente nel territorio di Ozieri.
L’areale in cui questo vitigno è maggiormente presente – e dove si caratterizza per bontà, tipicità e sviluppo – è quello compreso nei comuni di Benetutti e Bono.
Il territorio dove alligna questo storico ceppo – che nel progetto AKINAS viene definito “unicum” – è un totale di circa 20 ettari in tutta la Sardegna.
Coloro che hanno la fortuna di produrlo e di berlo, possono considerarsi dei privilegiati.
Questa vite, ama il terreno sciolto granitico e si sviluppa a 300-400 metri sul livello del mare. Non è di facile coltivazione, e ha una resa piuttosto bassa. La sua produzione è infatti fissata in 60 quintali di uva per ettaro vitato.
Data la sua particolare caratteristica – la limitata produzione, e la bontà del suo nettare – ha il privilegio di essere vendemmiato manualmente, con la dovuta delicatezza, per non danneggiare la preziosa uva contraddistinta da uno splendido color giallo oro. Viene prodotto anche con coltivazione biologica.
Il grande enogastronomo Luigi Veronelli – molti anni fa – nel suo peregrinare alla scoperta di novità enologiche, si intrattenne con dei produttori di Arvisionadu di Benetutti e, dopo aver più volte degustato questo vino, ne rimase “ammaliato”, tanto che nelle sue corrispondenze – col suo estroso e inconfondibile stile – scrisse testualmente “è disposto a concedersi solo a chi aspira alla sua anima oltre che al suo corpo”.
Quando si parla dell’Arvisionadu si sta parlando di una perla dell’enologia che i vignaioli del Goceano, specie i benetuttesi, stanno strappando all’estinzione con ammirevole tenacia.
Si sta discutendo di un autoctono raro che merita di avere una propria dignità e che sappia ripagare con i suoi pregi. Il suo vino è prodotto in purezza, in quantità limitata ma tecnicamente perfetto, sotto la denominazione “IGT Isola dei Nuraghi G’OCEANO Arvisionadu”.
Questo gioiello del Goceano, col tempo, potrebbe rivelarsi un prodotto di nicchia, ed essere menzionato come vino da “meditazione”.
I principali artefici di questa operazione di recupero del vitigno Arvisionadu sono stati Pino Mulas e Angelo Taborelli, i quali hanno il merito di avere dato vita ad un ambizioso progetto di salvezza del ceppo Arvisionadu, molto più per “amore”, che per pure ragioni commerciali.
Queste ultime motivazioni si potranno avere in futuro, se il progetto avrà la capacità di svilupparsi, e se i vignaioli dei territori vocati saranno disposti ad investire in nuovi impianti per la coltivazione e la produzione di questa nobile qualità di vite che viene dalle nostre radici esistenziali.
Si potrebbe affermare che la campagna di recupero in atto sia la rinascita di un vitigno importante, non solo e non soltanto sotto l’aspetto economico e sentimentale, ma soprattutto antico, come il territorio preistorico che lo ha ospitato e preservato per tutta la sua esistenza.
Chi scrive ha avuto la fortuna di bere questo nettare al Vinitaly di Verona del 2019. Debbo dire che sono rimasto colpito da due aspetti: la bontà, la freschezza e la tipicità di questo vino che si fa amare sin dal primo incontro, ma mi ha colpito soprattutto l’amore e la gioia che appariva sul volto dei produttori/presentatori nel descrivere il progetto di recupero che si sta compiendo.
L’enfasi nel mostrare e descrivere la loro “creatura”, che veniva presentata in un contesto internazionale come il Vinitaly, era sincera e convinta.
Tra i vini sardi premiati in quella circostanza, se ben ricordo, vi era anche il nostro Arvisionadu con il riconoscimento di “5Star Wines” che dà diritto ad essere inserito nella Guida internazionale “The Book”.
Essere premiati in uno scenario enologioco come il Vinitaly, che da oltre 50 anni convoglia nella città di Verona i più importanti produttori di vini nel mondo, è sicuramente un traguardo importante e sta ad indicare che la strada intrapresa dai vignaioli di Benetutti è quella giusta.
Ampelografia del vitigno:
Foglia: cuneiforme, quinquelobata, seno peziolare a U, pagina superiore glabra con profilo a V, pagina inferiore tomentosa;
Grappolo: di dimensioni medie, allungato, conico e spargolo, acino piccolo a forma ellittica, buccia spessa color giallo dorato, polpa incolore di sapore neutro.
Caratteristiche organolettiche:
Colore: giallo tendente al dorato, brillante
Olfatto: fresco, penetrante, fragrante sentori di pesca e frutta fresca, note floreali, ampio e lunga PAI (Persistenza Aromatica Intensa)
Sapore: secco, pieno, caldo, caratteristico, si avvertono i frutti a polpa bianca a giusta maturazione, elegante, invitante alla beva.
La gradazione alcolica del vino Arvisionadu è di 13,5 gradi, per cui si presta anche a reggere piatanze di pregio.
È consigliato con antipasti non piccanti o speziati; minestre con brodetto di pesci pregiati; paste asciutte con sughi delicati; risotti ai frutti di mare; formaggi dolci.
Per una maggiore piacevolezza, considearate le sue peculiari caratteristiche visive e di struttura si consiglia di servirlo in calice a gambo medio-alto ad apertura ampia, ad una temperatura di 10-12°C.
Una vera delizia rara.
Buonasera, tutto bello ma molte falsità!!
Parlo da prima produttrice nonché prima azienda imbottigliartrrice di questo raro vitigno. innanzitutto il nome è scorretto perché questo vitigno è registrato dal 1970 nell’albo. igt con il nome di arvesiniadu nome corretto ,in secondo luogo non è a Benetutti che è stato ripreso ma bensì a Bono .
Non funziona che chi più a amicizie giornalistiche ha più voce in capitolo. Anzi sarebbe buona norma per un giornalista prima di scrivere fesserie che si documenti sulla sulla realtà dei fatti. Grazie