di LUCIANA SATTA
«Per me la musica è tempo, è ritmo ma, soprattutto, è movimento. John Coltraine diceva: “La frase più bella che ho fatto devo ancora suonarla”: questa è per me la forza dell’arte». Perché la musica di Enzo Favata è “una musica che viaggia”: non esce solo dal suo strumento principale, il sassofono, ma si muove attraverso le sue capacità di polistrumentista e attraverso i musicisti con i quali collabora. «È come se – dice – fossi uno skipper che naviga attraverso il mare e nel vento, io muovo il timone e cerco di lavorare su questa onda sonora. Quando suono sul palco cerco sempre di essere disponibile a piegarmi e ad adattarmi. Sono attento a una proposta musicale e ad ensemble inusuali».
Da Alghero, la sua città, luogo dalle mille storie e dai mille passati che ha visto il susseguirsi di popoli differenti, dai Fenici ai Bizantini, dai Pisani ai Genovesi, ma fedele per sempre alla sua anima catalana, la musica di questo artista eclettico, compositore, live electronics performer, autore di colonne sonore per il cinema, il teatro, la radio-tv, soundscape designer, direttore artistico, produttore ha attraversato ogni parte del mondo. Manca all’appello solo l’Australia. Dal Polo nord, alla Patagonia, dall’Africa al Giappone: la musica di Enzo Favata è arrivata ovunque, seguendo un flusso in continua evoluzione. «Spesso mi hanno chiesto: “Che cos’è il talento?” Secondo me è la curiosità, imparare le scale veloci e quel determinato stile, capire cosa possa essere interessante e utile per il tuo linguaggio. Un musicista contemporaneo deve avere una grande letteratura alle spalle, deve leggere e ascoltare molto. Quando ho la possibilità di fare una tournée specifica, che richieda tempi di permanenza lunghi, ad esempio in Giappone, o in Asia o in Sudamerica, chiedo di incontrare i musicisti locali, di conoscerli, non attraverso un disco o un video. Ho sempre lavorato sul concetto di una musica che non fosse ferma».
Quali collaborazioni pensi abbiano influenzato la tua visione della musica?
«Chi mi conosce personalmente ha già capito come sono: una persona tranquilla, alla mano, almeno spero di esserlo, così mi dicono… sono l’antidivo in assoluto, sono una persona tra la gente. Ho avuto trascorsi con la musica popolare della Sardegna, insieme alle persone semplici dei paesi. Mi trasmettono tante emozioni, perché nella semplicità c’è una filosofia della vita e del vivere insieme, il concetto di vivere in una comunità, che la città ha un po’ perso. Sono cresciuto rapportandomi ai Tumbarinos di Gavoi (tamburini che animano il paese di Gavoi, in Sardegna, durante la manifestazione del Carnevale, n.d.r.). Sono tumbarino da venticinque anni (tumbarinu de Gavoi è uno strumento che appartiene alla tradizione musicale della Sardegna n.d.r.). Ho suonato con tantissimi nomi della musica, nomi che da ragazzo sognavo perché li ascoltavo nei dischi e poi mi è capitato di suonarci insieme. È chiaro che John Coltraine mi ha segnato, non tanto per lo stile e la spiritualità, quanto per quella capacità di scoprire sempre cose diverse senza mai fermarsi in una comfort zone. Molta della mia musica è stata influenzata da Dino Saluzzi, grande maestro del bandonéon argentino. Il contatto con Saluzzi è stato fondamentale, perché mi ha insegnato quel tipo di musicalità legata al Sudamerica».
The Crossing è il titolo del tuo ultimo lavoro discografico. A ottobre lo porterai in Polonia con una nuova formazione, senza la bassista Rosa Brunello, ma con Simone Graziano, al basso sinth e piano Rhodes con elettronica, insieme a Pasquale Mirra (vibrafono e marimba midi) e Marco Frattini (batteria e samplers). Come è nato questo progetto?
«Da ragazzo abitavo in un quartiere popolare di Alghero. Lì d’estate arrivava un giovane che faceva il cameriere a Londra. Era appassionato di musica e allora c’erano le radio. Andava a Portobello dove c’era un mercato florido del disco usato e comprava i dischi che costavano poco. Veniva in vacanza con due valige di dischi e di pomeriggio da bambini andavamo ad ascoltare la musica a casa della mamma. Così ho conosciuto la musica Prog, l’Heavy metal, il jazz, perché il primo disco, quello che mi ha fatto innamorare, l’ho conosciuto proprio tramite lui. Era un disco che non voleva, perché non gli piaceva il jazz. Rimasi fulminato: era My Favorite di John Coltraine. Il mio ultimo lavoro, The Crossing è una summa di questa idea della musica anni Settanta, ma non è un revival, ci sono alcuni elementi, così come sono presenti influenze del viaggio in Etiopia, dove sono stato diverse volte e dove tornerò anche a novembre. In The Crossing siamo solo quattro musicisti, ma sembriamo venticinque, perché tra noi c’è un’interconnessione davvero forte. The Crossing ha un’energia e una spinta impressionante. Ho scritto: “È come pilotare un jet”, perché si è creata davvero una chimica straordinaria. Marco Frattini è un batterista che non si può descrivere, è un “estratto”, il succo di tremila cose tutte insieme… quando suoni con lui hai dall’hip hop al jazz tradizionale, passando per tutto il resto; Pasquale Mirra suona il vibrafono ma se non lo guardi in certi momenti potrebbe sembrare un balafonista del centro Africa. È un grandissimo vibrafonista jazz. Rosa Brunello è un’ottima contrabassista, però quando suona il basso ha un blues che è molto black, molto particolare. Io cercavo un gruppo di questo genere. Nel 2008, dopo anni, avevo concluso l’esperienza di Atlantico e cercavo di fare dei lavori legati alle mie prime passioni (l’Elettronica, la Progr). In Polonia non suonerà Rosa Brunello, ma Simone Graziano, con ha una funzione diversa, perché volevo di più dal punto di vista armonico».
Enzo Favata and The Crossing saranno a Cracovia il 26 ottobre, in un appuntamento organizzato dall’associazione Shardana (Facebook: @ShardanaPL) e dall’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia in collaborazione con l’Akademia Muzyczna Krzystof Penderecki e la Szkola Muzyczna Bronislaw Rutkowski, nella cui sede si svolgerà il concerto con ingresso gratuito e inizio alle 19.30. Il 28 ottobre appuntamento a Varsavia, al club Stodola, alle 19, in occasione di uno dei Festival storici più importanti d’Europa, il Jazz Jamboree Festival.
«Mi piace scrivere, ultimamente ho avuto meno tempo, ma ho scritto tanti racconti. Mi piace fotografare da quando ero bambino. La copertina di The Crossing – spiega Favata – è una fotografia che ho fatto a Johannesberg all’ingresso di una miniera. In The Crossing ci sono tre generazioni che si interpellano, che dialogano. Mi piace molto oggi lo scambio intergenerazionale, il fatto di suonare non solo con musicisti giovani, ma con artisti che abbiano varie esperienze di vita alle spalle».
“Qualunque sia… segui la buona musica… sarà come seguire le stelle.
Le stelle per i viaggiatori antichi erano la guida per condurli alla scoperta di nuovi orizzonti.
Segui la buona musica qualunque essa sia… ti porterà a scoprire nuovi mondi lontani dall’ovvietà”.
(Enzo Favata)
Vamossss ragazzi, Vamosssssssssssss Lu
Vi aspettiamo