di SERGIO PORTAS
Il salone del mobile a Milano è uno di quegli eventi in grado di misurare la temperatura economica di un paese intero, figurarsi di una città. La metafora-temperatura scaturisce quasi inconsciamente nel tentativo di mettersi alle spalle un periodo di scarsa comunicazione tra umani, e di procrastinare un futuro che già si intravede e in cui ogni avvenimento, per importante che sia, si svolgerà solamente in rete, ognuno attaccato alla propria “consolle”, e espositori e compratori risolveranno le loro contrattazioni a suon di “bitcoin” e altre diavolerie informatiche. Quindi benissimo che in questa edizione 2022 i temi dominanti si riferiscano al benessere e al miglioramento della qualità di vita, di innovazione dei prodotti, di ricerca e sviluppo di nuovi materiali, ma è con una qualche apprensione che leggo nelle locandine di presentazione che tutto ciò “passerà inevitabilmente per lo sviluppo digitale, tra esperienze online e retail, ma anche di NFT, sempre più rilevanti anche nel mondo del progetto”. E questi credono fermamente che “il popolo” a cui si riferiscono capisca di cosa vadano parlando. Con l’aiuto dell’onnisciente Google vado scoprendo che per “retail” (online oramai è parola entrata nel lessico familiare dei più) si intende: vendita al dettaglio, prendo atto che quando vado al supermercato a fare la spesa sono immerso in una attività di “retail”. Gli NFT (non fungible token) dice Wikipedia, è una specie di gettone fisico, il token, che certifica l’atto di proprietà di un bene unico, digitale o fisico, quindi non intercambiabile, ma che può essere venduto, magari online. Tanto per fare un esempio Vodafone ha venduto all’asta come gettone non fungibile il primo SMS (leggi messaggio online) al mondo, inviato nel 1992 ( non dice cosa ci fosse scritto, magari solo: baci): se lo è aggiudicato un anonimo offerente per la modica cifra di 107.000 euro. E me lo vedo già, ogni mattina, l’anonimo, mentre si rilegge il primo SMS inviato al mondo, la soddisfazione che gli esce da tutti i pori della pelle. A parte gli scherzi, questo è il futuro che ci si prospetta ed è quindi con grande soddisfazione che, almeno per ora, il presente si presenta in tutta la sua fisicità, in una città che, a parte l’esposizione ufficiale a Rho- fiera del salone stesso ( 35 euro il biglietto per entrarvi, ci sono andati in più di 250.000) apparecchia sul resto del suo centro abitato tutta una serie di eventi che vi si svolgono nel giro di una settimana, dal 6 al 12, a carico di chi li organizza, nei posti più prestigiosi ma anche in quelli più disparati, tipo ex fabbriche ora in rovina, o piscine comunali. Al sesto piano del parcheggio della Rinascente. E’ quello che con un neologismo oramai entrato in voga si chiama fuorisalone, scritto con la effe maiuscola: Fuorisalone. Tanto per darvi un’idea il solo “Brera Design District 2022”, il distretto di design di Brera, ma ce ne sono molti altri, ha previsto nella settimana che vi dicevo 223 eventi sul suo territorio (ma “solo” 160 con proposte firmate da designer internazionali), che spaziavano sì dall’architettura, all’arredo, all’arte, al bagno, alle cucine, ma anche a moda e gioielli, giochi e giocattoli, grafica, illuminazione, cibo e bevande, l’immancabile sostenibilità. Tecnologia, materiali speciali. Questi di Brera li hanno voluti raccogliere tutti sotto un unico titolo: “Progettare il presente, scegliere il futuro”. Certi che il design sia uno strumento utile per far fronte alle criticità di oggi, per dare forma a idee e soluzioni creative che possano portare valore nelle nostre vite. Una preziosa mappa, anche cartacea, te li squaderna tutti col recapito degli espositori, in ordine alfabetico, in via Solferino (dove c’è ancora la prestigiosa sede del “Corriere” milanese) sotto la S ci sono: Scarabeo al 36, Silvestri marmi al 17, Solferino lab al 36, Studi tetti Stalletti all’11 e Sio Design al 56. E’ in quest’ultimo che sono di casa, si fa per dire, perché è qui che l’artista nuorese Giovanni Canu (in realtà è nativo di Mamoiada) ha il suo laboratorio e, spesso e volentieri, mette a disposizione della comunità sarda milanese un vasto spazio, costituito da capannoni grezzi, letteralmente tappezzati e impreziositi dalle sue opere. Una sorta di “wunderkammer” imperiale (camera delle meraviglie) in cui sono accatastati quadri, sculture e ceramiche d’ogni tipo e foggia, che sembrano alla portata del primo ladro che osi stendere la mano, unica difficoltà è che spesso trattasi di opere molto grandi e altrettanto pesanti, difficili da far scomparire in una borsa della spesa. Per spostare le due poltrone “settidorzu” del 2009 in marmo d’Orosei, che fanno la loro bella figura sulla locandina che sponsorizza questo evento ci sarà voluta una gru, lo stesso per la “chaise longue” “istentu”. Ambedue facevano bella mostra di sé all’esposizione alla “Tingo Design Gallery”di Milano: “La materia e il segno”: “Tavoli,allora, tavolini e sedute e, ancora, librerie…vasi e attaccapanni: invenzioni tecniche e linguistiche per “domare” il marmo di Orosei e “alleggerirlo”…”. Ce ne sono anche qui in questo atelier-studio: marmo pesante e squadrato a reggere strutture in vetro che vanno a comporsi in tavoli e librerie di una singolare levità. Ma oggi Giovanni si esibisce in uno dei suoi tratti caratteristici: è il padrone di casa che mette a disposizione la sua magione perché altri possano esibire i loro artefatti artistici. Quando capito lì sono in quattro che si stanno dando da fare perché sia tutto pronto a ricevere i visitatori, c’è Franco Sio, della “Sio Design”, dorgalese da 35 anni a Milano, viene da un passato da ristoratore, presenta “Over Time”: “l’incontro tra terra e acqua, che con l’aiuto di mani artigiane di antica sapienza genera solidità di marmo con anima in ferro. 11 pezzi unici. Forme millenarie che evocano civiltà passate lavorate da mani che muovono saperi arcaici”. Disegnati dallo studio Mamo, sono grandi vasi in marmo sardo “Daino Reale”, sgabelli perlacei e un tavolo che si erge su di un blocco unico dalle facce zigrinate. Ad ornarli con mazzi di lavanda e elicrisio, che portino a Milano i profumi di Sardegna è Annalisa Chessa , da Irgoli, famiglia d’artisti la sua, il fratello “Totore” è considerato il più bravo suonatore sardo di organetto diatonico , collaborando con artisti i più diversi, da Luigi Lai a Paolo Fresu ai Tenores di Bitti, si è creato uno stile tutto personale e ha dato vita nel suo paese natale al primo festival dell’organetto in Sardegna. Sempre della terra di Baronia, Galtellì, è Luca Cosseddu che potremmo definire orefice-designer, seguendo i tempi che ci costituiscono ha imparato ad usare la stampante 3D per fare vasi per conto di Giovanni Canu e gioielli i più disparati che scaturiscono da un algoritmo fantasioso. Piero Mele, da Dorgali, fa complementi d’arredo, dipinge, fa sculture, pavimenti bombati a mano in marmo, lavori d’artigianato assolutamente unici. Mi dice che ha avuto un lavoro da Mendrisio, si trattava di riprodurre fedelmente in terra svizzera un mosaico romano sito in una chiesa di Saragozza in Spagna: 30.000 tessere, tutti pezzi diversi l’uno dall’altro, che hanno dovuto essere numerati, realizzati in Sardegna e giocoforza montati lì con una precisione davvero millimetrica, per la cui realizzazione è toccato inventarsi una sorta di grande compasso che aiutasse le tessere a combaciare perfettamente. Qui mette in mostra un pavimento in marmo con incastri altrettanto perfetti a comporre fiori dai petali squadrati. Dice Piero che se avrete voglia di vederli in una casa in Sardegna, con altri cento arredi uno più unico dell’altro, non avete che da provare a prenotare una camera nel suo B&B: “S’Eranile”, due chilometri fuori Dorgali, ogni pietra dell’edificio e del parco è opera sua. Ha girato mezzo mondo sulle navi, alla ricerca del posto più bello del pianeta e alla fine ha dovuto riconoscere che non ce ne sono di così belli come nell’isola dei sardi. Ed è tornato a casa. In questo clima euforico che è il Fuorisalone, tutti fanno feste, offrono ai visitatori cocktail, aperitivi, tartine svariate e champagne. La “Sio Design” non fa differenza, in grazia del suo marchio di fabbrica, i complementi d’arredo scelti dal cliente sono tutti pezzi unici realizzati con marmo sardo, rifugge in maniera naturale dal solo pensiero di poter utilizzare oggetti di plastica o similari, quindi anche il piatto in cui sono posate le pietanze da offrire agli ospiti è costituito da un rettangolo marmoreo con sopra (scrivo sotto dettatura): crema di muflone, due tipi di pecorino, marmellata di mirto, miele, salsiccia di Irgoli, una spruzzata di bottarga e il pane carasau. Si annaffia il tutto col cannonau di Dorgali. Giovanni Canu, il padrone di casa, mi dice che nell’ultimo periodo di essere “ossessionato” da quello che ribolle nel ventre della terra, da qui le sue ultime grandi tele in cui una nera materia è solcata da fili rossi, con squarci di giallo che rimandano a esplosioni di vulcani mai silenti. Continua a scolpire grandi forme a Orosei, sessanta anni di “continente” non sono riusciti minimamente a scalfire la tragedia tutta sarda che lo costituisce, lavorando in loco anche per una scelta di ecologismo “obbligatorio” che tende a mantiene l’opera vicino alla materia di cui è fatta, ho letto che di questo marmo unico al mondo ce ne è ancora per duecento anni, nella millenaria storia della Sard