di ALESSANDRO PIRINA
Bianca Pitzorno ha aperto l’immensa biblioteca dei suoi ricordi e ne ha fatto un libro. Appunto “Donna con libro. Autoritratto delle mie letture”, Salani editore. Un gustoso viaggio che inizia quando la scrittrice era solo una bambina di una famiglia borghese di Sassari in cui leggevano tutti. I libri in casa Pitzorno non mancavano mai. Il suo primo impatto con un testo scritto fu la “Teratologia” del prozio Alessandro. Presto la futura scrittrice cominciò a leggere Salgari e Marigold, Pinocchio e Cuore, ma non tutti sortirono lo stesso effetto su di lei. Ed è questo che Pitzorno racconta in quello che di fatto è un bilancio delle sue letture, tra romanzi di cui non può fare a meno e altri abbandonati sul comodino dopo poche pagine. Un racconto, ricco di curiosità e aneddoti divertenti, che parte dall’infanzia e arriva fino ai giorni nostri, alla vigilia degli 80 anni.
“Donna con libro” può essere definita una autobiografia? «Certo, all’inizio eravamo in dubbio se chiamarla autobiografia anziché autoritratto. Anche se parlo della mia vita solo con riferimento ai libri. E in settembre uscirà un mio libretto, per la casa editrice Henry Beyle, che si chiamerà “La mia autobiografia attraverso le piante”. Da ogni nostra attività praticata abbastanza assiduamente si può ricostruire una autobiografia».
Sulla sua passione per la lettura ha avuto una forte influenza la sua famiglia. «Vero, ma ci deve essere stata anche una risposta da parte mia. Nella mia famiglia non tutti sono lettori furibondi come me».
La sua prima pubblicazione fu sulla Nuova Sardegna del 18 luglio 1956: era un suo compito in classe. Cosa provò? «Non ne fui molto contenta. Erano stati pubblicati due temi. La mia amica Maria Grazia Porqueddu aveva parlato di Alghero e gli algheresi le diedero le chiavi della città. Io avevo scritto di Stintino e gli stintinesi si offesero per come li avevo descritti, in modo forse un po’ folkloristico. C’è voluto tempo perché mi perdonassero, ma l’anno scorso mi hanno dato il premio Stintinese doc. Ma forse perché quelli di cui avevo parlato sono tutti morti».
Dal libro viene fuori una Sassari all’avanguardia. «Ricordo una città in cui c’era una grande libertà di circolare. Andavamo al cinema quasi tutti i giorni, c’erano diverse sale. Giravamo filmati, li proiettavamo e facevamo i dibattiti. E poi c’era il cineclub: una cosa grandissima per una città piccola come Sassari. Per non parlare della scuola. Io ho avuto un insegnante come Manlio Brigaglia, sapeva tutto di sociologia, antropologia: era un intellettuale a tutto tondo. E poi Margherita Secchi di latino e greco: severissima, ma ci ha fatto capire cosa era la cultura classica».
Oggi come vede Sassari? «Mi dispiace che abbia perso i suoi punti di aggregazione. Quelli che un tempo erano piazza d’Italia, via Roma, il Corso. Era il tessuto della città, non erano solo negozi. Penso a Delogu in piazza Azuni dove proiettavamo i filmati o Griscenko sotto il primo piccolo grattacielo dove abbiamo scoperto la musica. Quello che mi manca di Sassari non sono i salotti borghesi che non ho mai frequentato, ma piazza d’Italia dove tutti i giorni sapevi di poter incontrare tutti».
Scrive: doveroso smettere di leggere un libro se non ci piace. Quando scatta quel momento? «Ho imparato che i libri belli sono molti di più di quelli che riuscirò a leggere nella mia vita: perché devo leggere un libro brutto? Dopo 15 pagine lo capisco subito».
Gli autori che più l’hanno influenzata nella sua scrittura? «Sono una scrittrice di trame, personaggi, non di stili astratti, meditazioni autoreferenziali. Questo tipo di autori non mi ha influenzato, mentre sicuramente lo hanno fatto tutti i grandi narratori. Il mio padre spirituale è Victor Hugo».
Nella sua vita ha incontrato tanti autori: chi l’ha sorpresa in positivo o negativo? «Un autore che umanamente mi ha conquistato è David Grossman: un uomo straordinario, lo stimo e gli voglio bene in modo incredibile. Dei viventi non mi piace parlare. Posso dire che Lalla Romano mi piaceva molto, ma era una donna fredda, scostante, di quelle con cui non ti veniva voglia di sederti a fare quattro chiacchiere».
Per tutti Cino Tortorella è il Mago Zurlì, per lei invece è chi le ha fatto conoscere Garcia Marquez e Tolkien. «Povero Cino, diventato famoso perché per tre giorni indossava la calzamaglia e faceva cantare i bambini allo Zecchino d’oro. Nel resto dell’anno Cino era un regista e un autore finissimo».
Capitolo Grazia Deledda: il suo rapporto con il Nobel è fatto di alti e bassi. «L’ho amata moltissimo all’inizio, quando ho iniziato a scrivere lo facevo alla Deledda, la copiavo. Poi all’università c’era un filone della critica che la svalutava, che sosteneva le avessero dato il Nobel perché era una selvaggia. A un certo punto ho accettato anch’io di metterla in dubbio. Poi, da adulta, ho ripreso a leggere dettagliatamente “Marianna Sirca”, non seguendo la trama, ma la costruzione dei personaggi, lo stile, i paesaggi, la lingua che si raffinava. E “Cosima”, talmente bello che anche fosse una storia finta, sarebbe un capolavoro. Grazia Deledda è una grande scrittrice».
Un consiglio ai giovani lettori: quale libro portare sotto l’ombrellone? «Perché non Grazia Deledda? “Marianna Sirca”, “Canne al vento”, e anche “Cosima” sono libri adatti per i ragazzi».
Amo la Pitzorno,la copierei tutta!
Anche io apprezzo tanto