di GIORGIA DAGA
La forza di credere sempre nei propri sogni e di non mollare mai è in un piccolo libro che è come un prezioso gioiello. Una favola che parla di ambizioni e paure ma anche di determinazione e coraggio, quello della protagonista Stella che nonostante tutto e tutti, a tre anni decide di inseguire il suo desiderio: diventare una lanciatrice del martello. E a scrivere “La bambina più forte del mondo” non poteva che essere una che i propri sogni li ha inseguiti fino in fondo: dieci volte campionessa di lancio del martello e da un anno vice presidente vicaria del Coni. Un incarico non da poco per Silvia Salis, 36 anni, genovese ma con la Sardegna nel Dna, che è arrivata a Quartu a raccontare il suo libro e a raccontarsi nell’incontro organizzato con gli studenti nell’ambito del Festival della letteratura del Mediterraneo.
Da campionessa ad autrice. Come mai ha deciso di scrivere un libro? «È nato dalla mia esperienza personale e dalla consapevolezza che un percorso così originale nella vita, soprattutto quando sei un bambino, ha bisogno di trovare condizioni favorevoli. E purtroppo spesso i bambini queste condizioni non le trovano e sono costretti a scegliere strade che magari li rendono infelici e non realizzati. Credo quindi che sia una storia che si adatta a tanti tipi di situazioni, dalla bambina che vuole fare il meccanico, al bambino che vuole fare lo stilista».
La favola comincia con la protagonista Stella che varca il cancello di Villa Gentile. Quel cancello lo ha varcato anche lei? «Sì, mio padre era il custode di questa grande struttura di atletica e la nostra casa era dentro, a dieci metri dalla pista. Un posto bellissimo, per un bambino davvero una bella esperienza».
E a un certo punto ha scelto di iniziare a lanciare il martello. «Vedevo tutti i giorni questi giganti che si allenavano e restavo affascinata. Ho iniziato a sette anni con il salto in lungo poi mi sono avvicinata a questa specialità, nonostante fossi esile, mingherlina.
L’allenatore dice a Stella “Non è uno sport per femminucce”. A lei qualcuno ha cercato di tarpare le ali? «Per anni ho sentito commenti “Ti rovinerai, diventerai brutta, diventerai un maschio”. Se non avessi avuto una forte coscienza di quello che volevo fare, mi sarei fatta condizionare a quell’età che si tende ad essere uguale agli altri. La mia famiglia mi ha sempre appoggiato, sia se avessi detto voglio vincere le olimpiadi o voglio smettere subito, sarebbero stati comunque al mio fianco».
Nel libro c’è una frase molto bella “Circondati di chi si prende cura dei suoi sogni”. Di lei chi si è preso cura? «Prima di tutto devi essere tu a prenderti cura dei tuoi sogni, riuscire a rimanere concentrato su quello che vuoi essere. Poi ovviamente la mia famiglia.
Dice anche “La diversità è un valore inestimabile”. Io credo che la diversità sia un valore inestimabile nel confronto. Nel senso di riuscire a confrontarsi con persone che sono diverse da te. Io sono stata brava a circondarmi di persone intelligenti.
Lei è vicepresidente vicaria del Coni, un ulteriore passo verso la parità? «Da figlia del custode del campo a diventare a 35 anni vice presidente vicario è senza dubbio una soddisfazione enorme. Sento il peso della responsabilità ma credo che mi abbiano scelto anche perché sono una persona che studia molto, che si prepara in modo quasi maniacale».
Si sente più genovese o sarda? «Certamente genovese, ma ho un forte legame con l’Isola. Mio padre è cresciuto in una famiglia dove la nonna parlava in sardo. I miei nonni erano di Sassari e la mia bisnonna ha una storia pazzesca. A quanto pare era la figlia illegittima di una sarda e di un ufficiale piemontese, bello e altissimo. E in famiglia siamo tutti alti. Perché no? Ci potrei scrivere un altro libro»