di PIER BRUNO COSSO
Prima della bellissima serata di presentazione, e quando ancora non potevo immaginare che sarebbe stata davvero bellissima, blocco, con l’aria scanzonata di ogni buon sassarese, uno scrittore di Cagliari. No, basta campanilismo, non riesco a vederla così, non con lui. Riavvolgo il nastro: blocco un grande scrittore figlio della nostra fantastica Isola, per qualche domanda spero scomoda. Aggancio lui, Francesco Abate, disponibile come pochi, che era a Sassari presentare il suo recente Il complotto dei Calafati (Einaudi 2022) che sta già avendo un ottimo successo.
Hai vissuto a Cagliari nel 1905, lo sappiamo tutti che ci sei stato per tanti mesi, non lo negare. Ma ti volevo chiedere, quando sei tornato ai giorni nostri cosa ti è mancato di allora?
Il viaggio nel passato è forse l’unica grande avventura che ci è restata in terra. Mi manca l’armonia urbanistica della città e il candore del calcare che la avvolge. Mi manca lo stupore con cui i ragazzi e le ragazze affrontavano l’avvio del nuovo secolo. Per il resto mi piace vivere nel presente.
E se tornando nel 2022 ti fossi trascinato (probabilmente suo malgrado) Clara Simon, lei come si sarebbe connessa con la Cagliari di oggi?
Clara è una pioniera quindi si troverebbe a suo agio nella modernità che accoglierebbe con l’entusiasmo di chi non vuole perdersi neppure una briciola di ciò che la vita le offre.
Per risolvere un giallo ci vuole passione e intuito, come dire cuore e testa. Secondo te Clara Simon, se pure potesse avere una vita indipendente da te, sarebbe più testa o più cuore?
Clara Simon è una ragazza di cuore che sta imparando a equilibrare la sua irruenza con un po’ più di razionalità. È un’istintiva, quasi selvaggia, e sa che ad essere così si può avere una marcia in più ma si rischia anche di farsi del male.
Dopo tanti giorni, con bellissime esperienze e fantastiche presentazioni nella penisola, sei sull’aereo che sta per atterrare a Elmas: cosa vedi dal finestrino, e cosa senti dentro di te?
Vedo un cielo che non vedo da altri parti, percepisco l’odore del mare. L’isola è il mio nido da cui partire per nuove esperienze o tornare per progettare nuovi viaggi, per la gran parte letterari.
Vengo a Cagliari a farti un’altra intervista, anzi no, che quel giorno lì hai appuntamento con l’idraulico, col dentista e con l’elettrauto, e quindi ne mandano uno bravo dal continente: dove lo porti per fargli capire che Cagliari non è una città, ma un modo di essere tra cielo e mare?
Lo porterei alla cima di Monte Urpinu, sul picco di viale Europa. Così vedrebbe i mari: quello del Poetto e quello del porto, gli stagni tinteggiati di rosa dai fenicotteri, i colli e i loro baluardi, il castello pisano, Bonaria che fu dei catalano aragonesi e gli racconterei quando le città erano due e si fecero guerra per poi ricongiungersi.
Dopo le quarantotto ore di buio che ci hai raccontato, e che ogni tanto capita di attraversare, a te come a tutti, da dove si riparte?
Il buio della 48 ore arriva quando il corpo cede ai tredici farmaci che devo prendere ogni giorno per supportare un corpo che ha accolto un trapianto. Oppure quando i progetti su cui ha lavorato con tanta fatica e sacrificio si arenano malamente. Penso non era per me, non era per me ora, per me c’è altro. Ed è da quell’altro che riparto.
Tu lo sai che affascini la sala, la trascina e la incanti. Lo fai con la tua grande semplicità, concedendoti. Sei sempre così, o il contatto diretto col pubblico ti fa volare?
Ahaha. No. Chi mi segue dagli esordi – povero lui – sa che sono sempre stato un guitto. Sui palchi dei concerti, dalle consolle dei club o delle discoteche mi sono divertito per far divertire. Ma sa anche che se il palco era quello di una presentazione scendeva la nebbia, mi bloccavo. È cambiato tutto dopo il trapianto, 14 anni fa quando non chiedetemi perché anche quell’ultima nebbia si è diradata. Sto bene con gli amici lettori e credo che la cosa scateni un gioco di scambi sincero.
Sei infastidito da una ragazzina seduta a fianco a te che smanetta infinitamente nel suo telefonino, cosa le racconti per interessarla al tuo Il complotto dei Calafati, farla uscire da quel binario morto e convincerla che leggere è un’altra vita?
Intendi mia figlia? O le mie nipoti? Questo per dire che gli esempi di ciò che dici sono in casa. Quando vado nelle scuole non capita mai che i ragazzi o le ragazze parto sempre raccontando qualcosa che può essere fortemente empatico per loro, un gancio che appunto li trascini lungo la narrazione in cui tutti alla fine si sentono partecipi perché magari ridiamo insieme o insieme ci appassioniamo alle sorti di quei personaggi che soffrono o gioiscono al loro pari. Si crea sempre un buon feeling sarà perché mi considero un vecchio bambino.
Un grazie di cuore a Francesco Abate per essersi reso così disponibile e sincero