di SERGIO PORTAS
Se vi trovaste a Milano nel periodo in cui imperversa la fiera di “ Fà la cosa giusta” e non sapreste bene dove sia situata non c’è problema: basta imbucarsi in una fermata della Metro e seguire passivamente una folla di persone dalle caratteristiche ben delineate: famigliole con bambini e carrozzine, tutti in jeans e scarpe da ginnastica regolamentari, attempate signorine con al guinzaglio cani di razze svariate, torme di adolescenti che sfoggiano già adesso magliette multicolori, in spregio a una primavera che sembra farsi attendere più del dovuto. E bambini, tanti, a decine e centinaia, sanno che buona parte delle meraviglie che si trovano in fiera è dedicata a loro: costruire una balena di plastica coi rifiuti plastici portati da casa, squali, pesci palla e meduse per piccoli aspiranti falegnami, realizzare un libretto colorato con colori ottenuti da scarti di frutta e verdura. E “mandala acchiappasogni” con fili di lana e oggetti di risulta. E ancora giardini cosparsi di “scatole magiche”, esperimenti di botanica con concerti danza sui suoni e vibrazioni prodotti dalle piante. E poi tra altre sfide: “La scuola di tutti”, formazione, inclusione, didattica, educazione: oltre 50 tra laboratori, dibattiti, incontri specifici per dirigenti scolastici: insomma idee pratiche e strumenti per una didattica che cambia. Il vostro cronista, vittima di una crisi di rigetto dei “talk-show” televisivi in cui la guerra ucraina viene declinata, ha fatto un salto, sabato mattina, a sentire Rossella Miccio, che dal 2017 presiede Emergency, parlarne con Francesco Vignarca, tra le altre innumerevoli cose anche coordinatore della Rete Italiana Pace e Disarmo. Hanno ambedue una visione particolare delle cose del mondo: pensano che ci si possa spendere, come loro fanno giorno dopo giorno, perché in un futuro che ancora non è qui da venire, la guerra possa essere bandita per sempre dal nostro pianeta, un po’ come è successo per la schiavitù, idea che se fosse stata espressa nel sedicesimo secolo sarebbe parsa parto di una mente malata. Poi se si va a vedere cosa è riuscito a fare Gino Strada coi suoi ospedali di eccellenza, gratuiti per tutti, in paesi in cui la guerra imperversa da decenni: Afganistan, Sud Sudan, Yemen, oltre 12 milioni di persone curate dal 1994 in oltre venti paesi. Insomma un poco di stupore per tanta utopia messa in pratica non si può che provarlo. Hanno mandato il loro Politruck, il più grande degli ambulatori mobili, nella città moldava di Balti, medici, infermieri, mediatori, tutti al servizio dei profughi che scappano dall’Ucraina. Qui a Milano offrono supporto a quelli che arrivano per l’iscrizione al servizio sanitario nazionale, e consegnano settimanalmente pacchi con beni di prima necessità a famiglie ucraine ospitate in diverse zone della città. Nel pomeriggio Gad Lerner avrebbe ispirato padre Alex Zanotelli nel raccontare qualcosa delle sue esperienze vissute a Korogocho, dal 1994 al 2002, in una delle più grandi baraccopoli del Kenya. Già direttore di Nigrizia il padre comboniano continua imperterrito a denunciare l’insostenibilità dell’attuale sistema economico-finanziario occidentale, suo l’ultimo libro per Feltrinelli: “Lettera alla tribù bianca”. E suo l’appello per trovare il coraggio di reinventare un mondo più umano e plurale. Che si prenda cura di tutti: un “diritto alla cura” che è il focus dell’incontro tra Vittorio Agnoletto, medico attivista accademico, Marco Caldiroli, presidente di Medicina Democratica, che come movimento e organizzazione si è occupata fin dal ’78 della salute nei luoghi di lavoro rivendicando l’applicazione delle leggi sulla sicurezza, Elena Mordiglia giornalista di Radio Popolare.
Come questi, in tre giorni, altri 250 incontri d’ogni tipo: dalla bellezza delle api, l’importanza dei fiori, la bontà dei mieli, al “slowsex”: ispirazioni per una riscoperta del sesso, dal pensiero della terra e la transizione ecologica alla visita oftalmica gratuita: prevenzione e cura. Cura del corpo per i primi sardi in cui mi imbatto, il saponificio delle meraviglie esiste e si trova a Urzulei, Raffaele Bangoni dopo studi approfonditi in tecniche erboristiche nell’università di Urbino ha deciso di scommettere nella creazione di Insula, un laboratorio cosmetico erboristico, qui a Milano è con Paola Carboni, cagliaritana che mi dice essere emigrata nel nuorese “per amore”, ed espongono tutta una serie di prodotti per la cura del viso e del corpo: saponi liquidi, creme, oli idratanti, saponette, doccia shampoo, balsamo, sapone da barba, ed altro ancora. Tutti con nomi in lingua sarda: il “liquid soap” “Limpiu”, il “ donkey milk bar soap” “Aina” (sapone al latte d’asina) “Per rimarcare il legame con la nostra terra”. Tutti prodotti realizzati con ingredienti naturali e, sa va sans dire, completamente biodegradabili. Spedizioni gratuite in Italia a partire da 75 euro di spesa.https://www.insulabodycare.com/. Se non fosse per loro che me lo indicano non mi sarei mai fermato dinanzi allo stand di “Biogovinda”, biscotti e crakers preparati con metodi artigianali e farine di cereali da agricoltura biologica. Vende il tutto Efisio Atzori, natio di Muravera, che ha seguito il babbo carabiniere, cabrarissu, in continente, nel vicentino. Niente più accento sardo per Efisio, ma col suo nome e cognome neppure quando l’isola sarà sovrana e indipendente, nessun doganiere oserà chiedergli i documenti a comprovare la sua sardità. Simboli della pace su sfondo arcobaleno un po’ dappertutto, ne esibisce uno sul petto anche Desirè Vanali, ragazza sassarese che mi accoglie allo stand della Regione Sardegna, lei sponsorizza un “Cammino 100 torri”, una roba di 70 tappe percorribili in un arco di tempo variabile dai 45 ai 60 giorni. A piedi, in bicicletta, in sella a un cavallo o in compagnia di un asino, perfino in canoa o barca a vela. Ma la Sardegna è tutto un camminare: il cammino di Santu Jacu, di San Giorgio, la via dei Santuari, quello di Santa Barbara naturalmente, che passa per Montevecchio. Una volta tanto la regione Sardegna ha preso atto che il futuro sarà per un “turismo lento”, da qui uno sponsorizzare 35 borghi imperdibili col libro di Andrea Carpi: “Borghi del gusto in Sardegna”, edizioni del Capricorno, quasi tutti del centro-nord, il più a sud è Sardara. Molto ben fatto, tratta di chiese, artigianato locale, piatti e pasta particolari d’ogni paese, musei e siti archeologici. Michela Pusceddu, anche lei all’interno dello stand regionale mi recupera il sindaco di Masullas Ennio Vacca che mi descrive doverosamente le bellezze del suo comune, e di tutta quella parte di Marmilla che prende il nome di Parte Montis. Chissà quante volte da Guspini andando verso la Giara dei cavallini sarò passato tra Gonnostramatza e Pompu, tra Siris e Simala. Senza fermarmi mai in nessuno di essi. Eppure vale la pena, mi dice Ennio: Masullas coi suoi 1024 abitanti ha fermato lo spopolamento (Pompu di abitanti ne fa oramai 237) e, pur così piccolo, ha per i visitatori ben cinque musei, il geomuseo del monte Arci, quello di storia naturale, un giardino botanico, quello dei cavalieri delle colline e un fondo librario Carboni-Boi che conta sino a 9000 libri. Lo stesso Pompu che pure ha un museo del pane, che da queste parti tra civrasciu, coccoi, pani pintau è tra i più buoni di Sardegna, nel suo territorio ospita il nuraghe Santu Miali, una struttura complessa costituita da una torre centrale e bastione quadrilobato con cortile interno. Realizzato con massi squadrati di arenaria. Mi dice il sindaco che la Fondazione Parte Montis ha vinto un bando “Fondo cultura” di 915.000 euro, di cui ben 615.000 destinati a scavi archeologici. A lavori finiti, a suo dire, Il “Santu Miali” darà del filo da torcere alla reggia di Barumini. Sempre grazie a Michela ( i suoi genitori, mamma di Nuragus babbo di Laconi, si sono conosciuti a Milano e poi sono tornati a casa) vengo a sapere che in fiera ci sono anche dei guspinesi, lo stand regionale, al solito, si guarda bene da fare una sorta di elenco delle presenze sarde in fiera, i visitatori sono sottoposti a una forzosa “caccia al tesoro”. Comunque sia, dirimpetto a “Oliena in tavola”, bandiere dei quattro mori tra salumi e formaggi di Gianluca Curreli, lo stand di “Agricoltura sociale senza confini”, la rete che include, forma sostiene. Carla Serpi, guspinese, della Cooperativa sociale agricola Santa Maria, mi inonda di informazioni sul progetto finanziato dal Gal Linas Campidano (comprende tra gli altri soci i comuni di Arbus, Guspini, Gonnosfanadiga e Villacidro). E’ atto a promuovere l’inserimento lavorativo nel settore agricolo e l’inclusione sociale dei soggetti più deboli del territorio che comprende i quattro comuni. Per questo si è costituita una Associazione Temporanea di Scopo, mi dice Stefano Sanna, presidente della cooperativa, con Enial, ente di formazione professionale, Sa Tanca Società semplice agricola, Pani Paola, Nemula Società cooperativa sociale, Saba Monica. Associati i comuni di Guspini e Arbus, l’istituto guspinese “Alessandro Volta”, il Consorzio del Parco Geominerario, l’associazione san Nicolò Vescovo, di Guspini. Tutti tesi a facilitare l’inserimento lavorativo di soggetti che la società tende a mettere in un cantone, siano essi disabili psichici, richiedenti asilo, ex detenuti o tossicodipendenti. Tra le decine di prodotti i più svariati messi in mostra in allegro disordine, formaggi e libri e cuscini, pane e bottiglie di mirto, dolcetti, una bottiglia di vino nero sospesa in un tralcio di vite, sotto un piccolo mucchio di chicchi di grano. E’ roba che viene da “Agrobass”, Sardinian Farm, l’azienda che Alessandro Mancosu ha messo in piedi a Guspini nel 2017. Sede in un mulino storico del paese, il mulino Garau, riattato a museo della macinazione, una sala espositiva di 600 metri quadri, per eventi, laboratori di cucina, tutto a chilometro zero. Alessandro, anche lui qui in fiera, mi racconta che è stato a Bologna dal 2006 al 2018, poi ha deciso di tornare alle origini e di mettere a frutto le terre che i suoi avevano sempre coltivato, nella banca dei semi bolognese ha ritrovato quel grano “Quarantinu” che era stato l’orgoglio dei coltivatori guspinesi da sempre, e si è rimesso a coltivarlo. Rimessa in sesto anche la vite storica: “Il vino, dice, è venuto buono”, ne fa un migliaio di bottiglie a nome”Mancosu”, un bovale dal classico sapore di prugne. Tutto naturalmente si trova e si compra anche in rete: www.agrobass.it . A Fà la cosa giusta si vive già da ora un futuro possibile, molto gioioso e solidale, la Sardegna ha un enorme possibilità di praticarlo, magari toccherà buttare a mare buona parte della sua attuale “classe dirigente”, ma sono sicuro che se questi nuovi ragazzi sardi lo faranno, le getteranno dietro anche dei buoni salvagenti di sughero, tutto a chilometro zero.