di LUCIA BECCHERE
In località s’aligurru (mondezzaio) in seguito denominata prata ’e presone, sorgeva il carcere giudiziario di San Sebastiano dai nuoresi battezzato Sa Rutunda per la sua forma ad anello, eretto per accogliere i troppi carcerati rinchiusi nell’angusta e malsana prigione spagnola di via Plebiscito oggi piazza Sebastiano Satta.
Progettata dell’ingegnere piemontese Enrico Marchesi, la nuova struttura a tronco di cono disposta su 1500 mq e realizzata prevalentemente in granito, poteva accogliere circa 200 detenuti, solo una sessantina la vecchia. In origine l’ingresso dava sulla strada di Orghidda, oggi via Brofferio ed era costituito da un grande arco sormontato da una finestra quadrangolare con architrave in granito, mentre le finestre allineate al muro cilindrico e protette da una grata in ferro erano di forma sferica.
Il progetto che subì svariate modifiche in corso d’opera, comprendeva un vestibolo e la porteria, due stanze per il custode, le cucine, otto celle, alloggi per le guardie, la sala per gli interrogatori e di correzione, l’ospedale, il magazzino, un cortile interno per la passeggiata dei detenuti protetto da un alto muro di cinta su cui davano le finestre delle celle, una cappella di modesta fattura dedicata a San Carlo in onore del re Carlo Alberto in seguito convertita in barberia, un terrazzo per il passeggio dei malati, un camminamento e due guardiole a forma cilindrica per gli agenti di custodia.
I lavori iniziati nel 1838 si conclusero dopo dieci anni e nel 1849 i primi detenuti furono tradotti dalle vecchie carceri cittadine e dai paesi del circondario per essere collocati nella nuova struttura.
Di grande impatto architettonico in una città a vocazione agropastorale, il nuovo carcere fu dotato di strumenti per una detenzione sicura: collane in ferro, catene, serrature, inferriate, chiavistelli, pastoie con chiavi, lucchetti e scale per il patibolo.
Il 6 giugno del 1861, come da regolamento generale sulle Carceri giudiziarie, a Nuoro veniva costituita La Commissione visitatrice delle Carceri di cui facevano parte quattro fra i suoi migliori e più illuminati cittadini eletti dal Comune col compito di sorvegliare su tutto ciò che concerneva il vitto, la salubrità, la disciplina, le punizioni e quant’altro.
Poiché negli anni anche questo edificio si rivelò insufficiente e inadeguato, nel 1893 fu deciso di ampliarlo ma i lavori ebbero inizio nel 1912.
Il progetto dell’ingegner Ciardina comprendeva una nuova costruzione su tre piani collegata alla vecchia mediante un lungo corridoio coperto.
Al pianterreno uffici e locali vari, sui due piani superiori la sezione carceraria maschile a sinistra e quella femminile a destra per un totale di 24 celle, dodici per piano, dotate di finestre a bocca di lupo protette da inferriata, una feritoia per la ventilazione e sulla parte superiore della porta uno sportellino porgi-vivande.
Il prospetto principale della nuova costruzione dava su S’Istrada, attuale via Roma e si differenziava dal vecchio per forme e linee. Sulla parte superiore della facciata chiusa da una cornice decorativa, spiccava lo stemma reale con su scritto Carcere giudiziario.
Intanto Nuoro si stava dotando di un nuovo istituto penitenziario progettato da un’équipe di tecnici di cui faceva parte anche l’architetto Portoghesi, guidata dall’architetto Ridolfi.
Completato negli anni Sessanta, il carcere di Badu ’e Carros fu considerato fra i più moderni e funzionali d’Europa.
Il trasferimento dei detenuti da Sa Rutunda poneva il problema della destinazione delle vecchie carceri.
Dopo un iter travagliato, nel gennaio del ’74 lo Stato trasferì la proprietà dell’immobile di via Roma alla Regione Sardegna che avendone avocato a sé il diritto decisionale in merito, nel luglio del 1975 lo cedette al Comune di Nuoro al prezzo simbolico di 1000 lire.
Nel contempo il consiglio comunale deliberò all’unanimità la demolizione dell’edificio «per destinare l’area a pubblica piazza con annesse strutture per attività sociali e culturali».
Alla fine dell’estate dello stesso anno le ruspe diedero il via alla demolizione del Carcere di via Roma, vittima di una dottrina politica demolitoria assurda e dissennata.
Per i cittadini nuoresi fu un oltraggio alla memoria di un intero paese.
Sa Rutunda, simbolo del potere dello Stato e testimone di una condizione sociale, culturale ed economica del tempo, ormai divenuta parte integrante del modello abitativo di una società agropastorale che tutto riduceva all’essenziale, racchiudeva fra le sue mura oltre un secolo di vita.
A sostituirla un grigio e malinconico edificio senza storia.
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