di CARMEN SALIS
Presentato alla Mediateca del Mediterraneo di Cagliari, il nuovo romanzo del giovane scrittore cagliaritano Marco Dettori, Il paese senza vento (Edizioni Amicolibro).
Chenes è il paese dove il giovane Paolo Selis arriva nel luglio del 1956 in qualità di medico. Chenes è un paese immaginario, il cui nome ho modellato sulla traduzione della parola “senza” in dialetto sardo. È un paese particolare, perché a differenza di tutto il resto della Sardegna, non ci arriva mai il vento. E quest’assenza di vento diventa sinonimo di immobilità, di assenza di cambiamento. Chenes infatti è un paese fermo all’ottocento, dove i rapporti sociali sono sempre gli stessi, così come le credenze popolari, imbevute di leggende e superstizione. Al contrario, Paolo Selis, nuovo medico condotto del paese, protagonista-narratore delle vicende, è un personaggio scientificamente preparato e razionale, che torna in Sardegna dopo anni passati nel continente e dopo aver vissuto la guerra che gli ha lasciato addosso brutti ricordi e una certa fatalità nell’affrontare la vita. E a Chenes si troverà impegnato a risolvere parecchi misteri, tra cui un omicidio.
Hai scelto di ambientare il romanzo in Sardegna: terra che lascia andare ma che accoglie ogni ritorno. Avevo ambientato il mio precedente romanzo a Milano, negli anni bui del terrorismo italiano. Ora invece ho scelto di confrontarmi col mio territorio, con la terra in cui ho sempre vissuto. La Sardegna de Il paese senza vento è la Sardegna dei piccoli paesi, dove il tempo scorre lentamente e a volte sembra proprio essersi fermato. È anche una riflessione sul concetto di insularità, su un’isola che a volte imprigiona e a volte protegge, ma a cui noi sardi ci sentiamo sempre e comunque indissolubilmente legati. Isola fatta di isole, la definisco nel libro, perché la Sardegna è una terra multiforme, che riesce a essere diversa e uguale allo stesso tempo nelle varie parti che la compongono.
Storia e tradizione sono amalgamate molto bene nel romanzo. Le tradizioni hanno un ruolo importante nella nostra cultura e credo non se ne possa prescindere in un libro ambientato in Sardegna. Ho cercato di riallacciarmi anche a piccole usanze che oggi sono dimenticate, come il fatto che un tempo gli anziani raccontassero storie ai bambini all’ombra dei portoni nelle sere d’estate. Inoltre nel libro hanno molta rilevanza le vecchie leggende dei paesi, come quelle che narravano di tesori nascosti nelle campagne, oppure quelle che identificavano nei boschi un luogo di confine tra la civiltà e l’ignoto. La Storia, invece, quella con la S maiuscola, attraversa trasversalmente tutto il libro, soprattutto nei ricordi del protagonista, e alla fine avrà un grosso peso nelle vicende. C’è inoltre un giornale che si apre a portare l’attualità dell’epoca alla fine e all’inizio del romanzo, come se la Storia non entrasse mai nel paese di Chenes, ma ne fosse relegata ai confini. Si scoprirà che non sarà così.
I personaggi sono molti e abbastanza diversi fra loro. Anche attraverso i personaggi ho voluto rappresentare le varie sfaccettature di un piccolo paese, le donne, gli uomini, i bambini, le figure di potere. Non solo, ognuno nel libro ha una sua forte valenza simbolica: Paolo rappresenta la razionalità e la ricerca di verità e giustizia, Veronica incarna la femminilità e la condizione della donna nell’epoca, il piccolo Giaime l’innocenza e la simpatia dei bambini. Molto spesso nello stesso personaggio convivono caratteristiche opposte, come nell’anziana Marianna, la cui religiosità è mischiata ad antiche superstizioni. Tutti i personaggi inoltre terminano il romanzo in modo diverso da come l’hanno cominciato, subendo un qualche cambiamento nel corso della vicenda. Ed ognuno di loro è importante nell’economia della storia.
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