di GIANRAIMONDO FARINA
Per ricordare Sa Dire de Sa Sardigna, che ricade il 28 Aprile, suggello di quel grande ed unico momento storico che fu “Sa Die de S’Aciapa” del 1794, data costitutiva della Sardegna moderna, mi piace farlo ricorrendo a quanto scritto nell’introduzione alle “Grandi Utopie sulla Sardegna” da Giuseppe Sanna Sanna (Anela, 1821- Genova, 1874) nel 1871. Se si sta’ attenti, vi si legge “in filigrana”, chiaro e nitido, tutto il percorso storico autonomista sardo “in fieri” che caratterizzerà le battaglie politiche dei deputati sardi della prima metà del XIX secolo. Battaglie nate, senza dubbio, da quell’evento “cardine”, “sa vena manna”, che fu, appunto, il fatidico 28 Aprile 1794 in cui vengono allontanati da Cagliari il viceré, funzionari piemontesi ed i loro famigli. Con l’accusa di non aver riconosciuto il decisivo apporto dato dai sardi al respingimento dell’invasore francese del 1793 e di aver continuato a trattare l’isola alla stregua di colonia. Tema, quest’ultimo, piuttosto ricorrente in gran parte degli scritti di autori isolani del periodo e che, dalla denuncia già fattane da Angioy nelle sue “Memories”, redatte per il Direttorio ai primi del XIX secolo, troverà la sua giusta collocazione nelle “Grandi Utopie” scritte dal deputato anelese nel 1871, alla fine della sua intensa e quarantennale vita politica. Le “Grandi Utopie”, dunque, da intendere e da rileggere con attualità, certamente come ulteriore sviluppo, questa volta in chiave autonomistica, di quel primo ed interessante progetto indipendentista delineato da Angioy nelle “Memoires”. Nel mezzo, quasi settant’anni di grandi ed importanti cambiamenti che, soprattutto, avevano portato la Sardegna a rinunciare alle proprie antiche prerogative e, quindi il certo e “su connottu” dell’autonomia, per abbracciare l’incerto e, poi, amaro percorso dell’integrazione con gli Stati Sardi di Terraferma. Processo realizzatosi nel 1847 e di cui Sanna Sanna né fu uno fra i maggiori assertori, poi pentito. Lo stesso Angioy, nel suo memoriale descrive una Sardegna che dalla visione utopistica di una rivolta come quella del 1794, si sarebbe dovuta “calare” nella futuribile realtà di un Paese indipendente sotto protettorato francese. Quali erano queste utopie che si sarebbero dovute realizzare per Angioy? Erano sostanzialmente quelle della presa di consapevolezza di un Paese tutto da ricostruire, ma forte della propria storia, della propria lingua e dei propri costumi. Con l’aggiunta, peraltro non peregrina e rivoluzionaria, di essere una nazione, la giudicale ed arborense “nacio’ sardesca”. E per la costruzione di questo Stato, già nazione, l’Alternos, dal suo triste e lontano esilio parigino, continuò, fino alla morte, avvenuta negli anonimi locali di quell’anonimo “hotel de Carignan”, sotto le amorevoli cure di Madame Dupont, a teorizzare una Sardegna sempre meno utopistica e sempre più realistica, soffermandosi, in particolare sulla soluzione dei suoi atavici problemi, soprattutto in campo economico. Ed Angioy, proprio in quanto imprenditore, nel suo testamento politico, cercherà di tradurre in pratica i suoi ideali rivoluzionari che, da alto funzionario regio, poi, abbraccerà “in toto”. Possiamo quindi dire che in lui il processo di formazione verso l’autodeterminazione assumerà due passaggi graduali: autonomistico, prima, ed indipendentista, poi, nell’ esilio. Un percorso, questo, da cui nessuno che tiene veramente alla “causa” sarda può prescindere. Autonomismo ed indipendentismo sardo che hanno la stessa origine. Non fondati nella mera dimensione utopica, ma concretizzati nella contingenza e praticità della realtà vissuta. Per certi versi le “Grandi Utopie” seguono la stessa “parabola” delle “Memoires” angioyane. Vi è, innanzitutto, un “filo comune” che lo unisce Sanna Sanna ad Angioy ed è l’origine goceanina, ossia la provenienza da un territorio che, ora come allora, rappresentava un “unicum” in seno al contesto sardo. E chi, purtroppo, goceanino non è, difficilmente riesce a capire. Un legame che li univa anche per via dell’appartenenza familiare. Le “Grandi Utopie” di Sanna Sanna, quindi, s’innestano all’interno di questo lungo percorso che, originato dalla Sarda Rivoluzione angioyana, affronterà il decisivo momento della “fusione perfetta” e ne vivrà, purtroppo, amaramente, la mancata applicazione di tutte le grandi tematiche e problematiche che attanagliavano l’isola: dai trasporti, interni ed esterni, al grande problema demografico, all’ annosa questione ademprivile. Sanna Sanna era questo: uomo di pensiero e di azione, primo ad aver portato la Questione Sarda in seno al Parlamento italiano. Merito, questo, che, proprio in tale occasione, gli andrebbe riconosciuto. Sa Die de Sa Sardigna dovrebbe, dunque, sulla falsariga di quanto dimostrato e vissuto da Angioy e Sanna Sanna, seppure in epoche diverse, fungere da ammonimento: avere, nonostante i momenti difficili, profonda fiducia nel riscatto sociale, economico e culturale della propria terra. Questo lo scrisse Angioy nelle pagine conclusive delle proprie “Memoires” e lo scriverà Sanna Sanna settant’anni dopo, quando, con riferimento al fallimento dei moti del 1848, osserverà di una Sardegna che “senza quei moti, già al momento disgraziata, sarebbe stata, ulteriormente, la più disgraziata”. Per poi chiosare, quasi come ammonimento: “(…) E questo dovrà avvenire a condizione che l’isola si scuota dal letargo in cui giace da molti anni”. E, per “ridestare” l’isola dal torpore, viene, espressamente, indicato un percorso che ne delinei realmente la condizione presente e “ne declini poi i rimedi efficaci che valgano a migliorarne le condizioni civili ed economiche”. Ecco, Sa Die e’ e dovrebbe essere questa: aiutare tutti noi e quanti hanno a cuore la nostra terra ed il suo riscatto, a tradurre le nostre utopie in realtà, i nostri pensieri in azione. Il tutto per rendere giustizia concreta anche alla testimonianza offerta da Angioy con l’esilio e la morte e dagli altri suoi seguaci anche con le persecuzioni ed il martirio.
E no. Nostante tutte le battaglie politiche di questi due personaggi la Sardegna è ancora senza tante prospettive di un riscatto mai avvenuto
Bell’articolo..
Bravissimo, Gianraimondo Farina!