di LUCIA BECCHERE
Figlio di un calzolaio toscano giunto per confino a Nuoro alla fine dell’800 dove realizzava e vendeva scarpe in via Tola, Ferdinando Franchi classe 1896, primogenito di 11 figli, a soli 12 anni faceva il pastorello nelle campagne di badu ’e carros alle dipendenze dello zio materno Pascale Mattu noto Farranca allevatore e piccolo imprenditore nel settore della panificazione.
Rientrava in famiglia di rado e fu così che un giorno sulla strada del ritorno incrociò un pastore.
« Ferdinà – gli disse – ghirandhe sese? Però che l’ana jà interrau a Jubanne!» Jubanne era il fratello Sichi Sichi (di qualche anno minore di lui) con il quale condivideva tutto, scomparso a seguito di un forte trauma avvenuto mentre lavorava nel forno dello zio Farranca.
Ferdinando apprese con strazio la notizia e visse per sempre il tormento di questa tragedia.
A 14 anni raggiunse il padre nel Midi della Francia per lavorare come pastore ma di lì a poco entrambi fecero rientro in Italia.
A 18 fu chiamato alle armi e, caporale nella Grande Guerra, raccontava di aver visto numerosi soldati uccisi, feriti e mutilati.
Alla fine del conflitto si trasferì a Sampierdarena, quartiere industriale fuori dalle mura del centro storico di Genova, e all’Ansaldo – complesso industriale navalmeccanico fondato nel 1853 e confluito nel 1993 in Finmeccanica – cominciò per la prima volta a battere il ferro col martello. Durante quel soggiorno venne a contatto con la dottrina politica degli operai maturando l’idea di libertà e di giustizia ma soprattutto la convinzione che la proprietà privata fosse un furto. Sorpreso ad attaccare manifesti contro il regime, fu incarcerato e schedato. Esule a Parigi sotto falso nome, ricercato per anni dalla polizia italiana e francese, nel ‘36 si trasferì a Nizza dove, messa su una piccola officina, condivise le idee antifasciste con Evelina, la compagna friulana. Allo scoppio della guerra civile spagnola si arruolarono nella Colonna dei Rosselli e in difesa della legalità repubblicana combatterono sul fronte di Huesca in Aragona.
In maniera del tutto fortuita, Ferdinando venne a conoscenza del fatto che il fratello Pompeo, noto Franzischinu, giunto da Parigi per combattere da anarchico contro il franchismo, era rimasto gravemente ferito nella battaglia di Huesca.
Lo ritrovò all’ospedale di Lérida dove morì di cancrena dopo l’amputazione di una gamba.
A torto la famiglia lo ritenne colpevole di aver trascinato il fratello in guerra.
Arrestato dai francesi dopo la vittoria di Franco, passato nel campo di smobilitazione di Cardedeu (Barcellona), fu internato ad Argelès-sur-Mer (Pirenei orientali). Tradotto in Italia prima a Torino, poi a Sassari e infine a Ventotene, condannato dal regime a 5 anni di confino, venne liberato alla caduta di Mussolini. La famiglia non lo accolse con benevolenza, trovò ospitalità presso l’amico anarchico Domenico Piredda che intratteneva rapporti con i fuoriusciti. In Sanatorio, dove aveva trovato lavoro come meccanico, conobbe l’ausiliaria Maria Assunta Nivoi che divenne sua moglie nel 1943. Dalla loro unione nacque una figlia.
In seguito venne assunto nelle officine dell’Artiglieria e ritenuto capace venne destinato a mansioni d’ufficio. Riprese a battere il ferro, sua antica passione che coltivò fino a tarda età. Dominava le verghe come fili di seta e così i lampadari, portavasi, étagères, alari, specchi venivano ammirati nelle varie esposizioni. A Cesena vinse un secondo premio con uno sbalzo in rame raffigurante Leopardi.
«Sapeva riconoscere i propri sbagli – ricorda la figlia Luisa, insegnante in pensione –.
Mio padre ha sostenuto le sue idee di giustizia e libertà fino alla fine pur rispettando quelle degli altri. Apprezzava la grande abnegazione dei religiosi nel dedicare la propria vita al bene altrui. Ateo convinto, si è avvicinato ai sacramenti dopo aver maturato nel silenzio un percorso di fede.
Simbolo della casa e della famiglia, la sua sola presenza ci univa nell’intimità del focolare».
Ferdinando Franchi morì nel 1982 alla soglia dei suoi 87 anni.
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