di MARCO COLOGNESE
“La nostra idea è che è interessante rendersi interessanti, mettersi sulla mappa. Voglio dire, si parla sempre di quanto sia figo andare a mangiare a Copenaghen, Londra, Berlino. Ecco, vorremmo che dicessero: che figa Cagliari!”. Così, invece di andare in Danimarca, uno viene qui a trovare Dario Torabi e si accorge che il fermento gastronomico che vive questa meravigliosa città sarda fatta di bellezza e saliscendi è anche merito suo.
Il physique du rôle ce l’ha: barba (non troppo lunga, per la verità) e tatuaggi lo collocano già nell’alveo della credibilità, coerenti come sono con il cuoco moderno. Ma a noi non piacciono gli stereotipi e Dario, classe 1988, di certo non ne è portatore, soprattutto perché è uno che si è fatto una lunga gavetta in Germania in mezzo alle basi più convenzionali. “Cucina classica italiana all’estero, l’esatto opposto di quello che faccio adesso. Quando sono partito erano duecento coperti di arrabbiata e amatriciana; nelle cucine dove ho lavorato mi sono trovato un po’ stretto e c’era sempre un compromesso a cui sottostare. Così ho cercato qui la mia vera dimensione.”
Di interessante c’è anche la sua genealogia: nato a Cagliari da padre iraniano, nonna veneziana, mamma e nonno torinesi, di certo non poteva che uscire un amante della contaminazione: “Babbo faceva il cuoco e aveva questo ristorante sardo-persiano, un mix particolare. Subconsciamente sono andato in quella direzione, reagendo al classico dei miei esordi con lo stile più distante: una cucina molto territoriale come prodotto ma molto poco territoriale come proposta.” E poi ci sono l’amore per la musica punk, i libri e il cinema: tutto questo, secondo Torabi, rende la sua una cucina ‘anomala’.
Old Friend arriva un anno fa: “prima eravamo in un altro locale, gli spazi erano davvero molto piccoli, ma è lì che ci siamo fatti notare, perché in realtà siamo attivi ormai da cinque anni. Questa una volta poteva essere una fattoria o una stalla. Se vi affacciate qui fuori sembra campagna ma siamo in pieno centro a Cagliari”. Anche gli arredi di questo ristorante sono originali ed essenziali.
Pezzi forti sono il disegno di Emanuele Boi, più noto come Skan, illustratore sardo con uno studio da designer grafico che si è avvicinato ai graffiti a dodici anni, i quadri di Roberto Follesa e le piccole opere di Carlo Giambarresi, autore delle ultime copertine dei libri di Stephen King: arte contemporanea, come la cucina: “qui è tutto un giro di amici, dai produttori di vino agli artisti”.
A proposito di vini, di cui si occupa Matteo Atzori, così come della sala, qui sono tutti solo da vignaioli della corrente naturale: “Non è che ce la volessimo tirare troppo, ma è una linea di coerenza che ci piace tenere. È un abbinamento più facile al mio genere di cucina. Poi io non bevevo vino e sono rimasto intrappolato (sorride) in quel mondo lì.”
Dario Torabi ha idee molto chiare per quel che concerne i suoi piatti: “Qui vogliamo sapere tutto dei nostri ingredienti. La nostra filosofia di cucina vuole esaltare il prodotto elaborando piatti con al massimo 3/4 componenti che arrivano da una filiera più corta possibile e da piccole realtà che lavorano con un’etica ben precisa che mira alla sostenibilità. Zero sprechi in cucina. Zero compromessi puramente formali e gastrofighetti. Gli abbinamenti e le tecniche derivano dai viaggi, ma soprattutto dalla voglia di viaggiare e dal melting pot culturale delle mie origini. L’intento è quello di creare una cucina senza una matrice particolare, per poter spaziare mettendo al centro i prodotti della nostra isola cercando di creare un percorso all’ avanguardia.”
Ecco perché il cuoco, che si esprime abitualmente con la prima persona plurale a voler evidenziare una dimensione di squadra, ama il mondo scandinavo; “mi piace anche quello che succede fuori dall’ambito della cucina che loro sanno rendere più vivibile con una sana gestione dei turni”.
Certo è che se la matrice è decisamente nordica, siamo di fronte a una cucina personale e soprattutto profondamente sarda.
Ecco alcuni piatti: Il crudo di dentice da pescato locale con salsa criolla e bottarga di muggine, la squisita emulsione di ricotta mustìa (leggermente affumicata) con pesche di San Sperate, ancora bottarga di muggine e portulaca.
E poi l’eleganza possente del sedano rapa cotto intero al forno e arrostito successivamente in padella con bietole ripassate ai quali viene unito un fondo vegetale molto intenso realizzato con funghi essiccati e tutti gli scarti delle verdure utilizzate (arrivano da un orto ad Assemini) e della polvere di liquirizia.
Sedano rapa cotto intero al forno e arrostito successivamente in padella con bietole ripassate lumache condite con un gel di limone, salsa verde, erbe spontanee arrostite e pecorino stagionato
Bella la sensazione terrosa e i contrasti acidi delle lumache condite con un gel di limone, salsa verde, erbe spontanee arrostite e pecorino stagionato. Un omaggio alle origini piemontesi con uno spirito di sardità assoluta si ritrova nel colpo da maestro del risotto cotto in salsa di carapaci di gamberi e ossa di anatra, servito con gamberi viola crudi, una salsa di caglio di capretto alleggerita, sapa e una sfoglia di pomodoro essiccata.
Di sostanza anche la guancia di cernia fritta con una pastella a base di birra ipa e whisky torbato, salsa di pomodoro al miso, salsa di peperone agrodolce e finger lime.Guancia di cernia fritta con una pastella a base di birra ipa e whisky torbato, salsa di pomodoro al miso, salsa di peperone agrodolce e finger lime Animelle, limone e cicoria
La semplicità esalta le frattaglie nelle animelle di vitello cotte al burro con cicoria cruda e spicchi di limone. Golosissima la ricciola frollata cinque giorni, poi arrostita e accompagnata da una salsa di curry giallo e latte di cocco, sommacco e aneto.
E i dolci? A Dario non piacciono, così si può anche terminare un’ottima cena senza sentirne la mancanza: “però ci dobbiamo lavorare e ci saranno”. Anche perché, a dirla tutta, siamo curiosi.