di GIANRAIMONDO FARINA
La disamina dello studio sulle politiche demografiche, intraprese nell’isola dai piemontesi, porta, inesorabilmente, Sanna Sanna, nelle “Grandi Utopie “, ad affrontare, con maggiore cognizione di causa, i progetti posti in essere dal 1847 in poi, a seguito della “fusione perfetta” e delle riforme in senso liberale dello Stato sardo, volute e propugnate da Carlo Alberto che, poi, avranno una virata decisa con la salita al potere di Camillo Benso Conte di Cavour (1810- 1861). Contrariamente a quanto manifestato apertamente in politica, essendo su posizioni totalmente differenti, le pagine di Sanna Sanna riservate a descrivere l’azione politica di Cavour in merito alla questione sarda ed allo specifico problema demografico, sono tutt’altro che negative. Motivo per cui sarebbe ora di procedere anche ad una riconsiderazione storiografica. E’, infatti, un dato di fatto, acclarato dallo stesso deputato anelese, che il primo progetto di legge riguardante anche la questione demografica sarda nell’età costituzionale del regno, non fosse di un deputato sardo, ma di un piemontese, il ministro delle finanze Camillo Benso Conte di Cavour. I riferimenti storici cui alluse Sanna Sanna nel suo scritto, con i nomi, assumono ora un significato diverso. Il progetto di legge venne presentato alla Camera con il seguente titolo “Concessione in enfiteusi dei beni demaniali in Sardegna”. A seguito del Regio Decreto di presentazione dell’ 8 aprile 1852, venne illustrato e discusso, per la prima volta nella Camera bassa il 18 maggio 1852, approvato una prima volta. Successivamente il testo fu approvato, con modifiche dal Senato il 30 giugno 1852, ripresentato alla Camera. Sanna Sanna fu li’ a vivere direttamente tutti i passaggi di approvazione del testo, essendo presente sia al primo voto della Camera del 18 maggio 1852, che alla sua riproposizione del 6 luglio ed alla votazione finale. Il tutto ben documentato dai resoconti parlamentari esaminati. Per la precisione siamo nella quarta legislatura del Parlamento del Regno di Sardegna, quella che,iniziata il 20 dicembre 1849, si concluderà il 20 novembre 1853. Per essere ancora più precisi ci troviamo nella terza sessione, quella presieduta da Rattazzi. La presidenza di quest’ultimo non è affatto da trascurare visto che si tratto’ dell’applicazione concreta del primo accordo fra destra e sinistra in Parlamento, con la cosiddetta “politica del connubio”. Per quanto ci riguarda, in merito, sono rilevanti sia la discussione, riportata in sede parlamentare nel maggio 1852, sia la relazione di accompagnamento stilata dallo stesso Cavour per la successiva discussione al Senato del 30 giugno seguente. Sanna Sanna si soffermo’ ad analizzare il primo dibattito parlamentare in cui era intervenuto persino il conte, al momento ministro delle finanze del governo D’Azeglio. Per la prima volta, dopo le riforme carloalbertine e l’approvazione della Carta Reale del 26 febbraio 1839 ,quella che sanci’ definitivamente la fine del feudalesimo in Sardegna, il governo decise, finalmente,di poter iniziare a “mettere mano” a quell’ingarbugliata e secolare questione degli usi civici o beni ademprivili, tipici della realtà sarda. Questione che ritornerà preponderante nel decennio successivo, ma che qui Sanna Sanna ebbe l’argutezza e l’acume di annunciare, collegandola direttamente al problema demografico isolano. E lo fece sottolineando,in questo frangente, seppur da posizioni opposte, la centralità ed il protagonismo assunto da una figura, allora emergente,quale quella di Cavour. Una personalità,la sua, non solo esperta di politica economica generale, ma anche buona conoscitrice del contesto sociale e rurale sardo. Si può scrivere che la critica dell’onorevole anelese fosse, all’occasione, più obbiettiva e per niente aspra e dura come lo sarà le altre volte. Ma veniamo al dibattito parlamentare del 18 maggio 1852 in merito proprio al progetto di legge governativo (cavouriano) di concessione in enfiteusi dei beni demaniali in Sardegna. La questione inerente l’aspetto demografico, come annotato da Sanna Sanna, allora presente alla seduta ed attento osservatore, fu sollecitata dall’ intervento del deputato di sinistra Michele Casaretto (1820-1901). Questi si rivolse a Cavour, presente in qualità di ministro delle finanze proponente. Ed il suo intervento non fu affatto disinteressato. Egli,infatti, aveva proposto di rivolgere l’emigrazione esterna dei contadini liguri, orientata dapprima verso le Americhe, ora verso la Sardegna, con un costo inferiore rispetto alla destinazione ultraoceanica che avrebbe necessitato di un capitale di 400 lire, rivalutato in circa 1.971 euro attuali. Perché, dunque, Casaretto intervenne in quel dibattito? Sanna Sanna lo annotò “en passant” ma, comunque, da giornalista di razza qual’era, lo rilevò. Casaretto, infatti, come già evidenziato , faceva parte del centrosinistra parlamentare ed era collegato anche al Mazzini, essendo entrambi genovesi. Egli, poi, alla prima professione di commerciante associava, dai documenti analizzati, quella di armatore . Ecco,quindi,spiegato il suo interesse verso la Sardegna che, proprio in quegli anni (1853), conoscerà il suo primo collegamento stabile marittimo con la terraferma “sarda”, vedendosi inaugurare la linea Genova- Porto Torres gestita dall’armatore Raffaele Rubattino. Venendo, quindi, a Michele Casaretto, fu deputato ininterrottamente dalla IV legislatura del Regno di Sardegna all’XI del Regno d’Italia, in continuità con la precedente. Questo fu uno dei suoi primi interventi dopo l’elezione e, come già precisato, non fu disinteressato. Nel 1855, come armatore, fonderà la Società di Navigazione “Compagnia del Mar Nero”, per favorire i collegamenti fra Genova ed Odessa, centro dei commerci liguri su quelle sponde. Lo stesso sarà anche membro del CdA della Compagnia Transatlantica nel 1857, socio fondatore della Banca di Genova (1870) e del Credito Italiano (1895). Nella ricordata seduta del 18 maggio 1852, con una domanda alquanto precisa di poter pensare ad un’emigrazione di contadini liguri in Sardegna era, molto probabilmente, sotteso anche il suo interesse, come armatore, di proporsi nei collegamenti da e per l’isola, allora ancora in fase di definizione con la ditta Rubattino. La risposta di Cavour, come riportata da Sanna Sanna, presente alla seduta,fu quella di un profondo conoscitore delle condizioni dell’ isola. Discorso in cui un lucido ministro accennò alle difficoltà di fare emigrare quei contadini liguri in Sardegna per via del pregiudizio, solo in parte vero, della malaria. Nello stesso discorso di risposta, il ministro sabaudo fece riferimento, comunque, all’art. 8 del citato progetto di legge, nella parte in cui si sarebbe ipotizzato di provvedere alle politiche di colonizzazione con apposite leggi speciali, “al fine di far venire meno quel grande inconveniente che incombe sull’agricoltura sarda,ossia non il mandare i contadini ad abitare i borghi più popolari, ma creando nuovi borghi nei punti più desertici e lontani”. Per la precisione Cavour specificò come la colonizzazione fosse il terzo mezzo e scopo della legge presentata alla Camera. Aggiungendovi che per le terre incolte sarde tale processo di ripopolamento, purtroppo, avrebbe trovato delle serie difficoltà applicative. Il governo, dal canto suo, si sarebbe impegnato a verificare se la sollecitazione del deputato Casaretto (di far emigrare nell’isola alcune comunità di agricoltori liguri) fosse stata praticabile. Una delle prime difficoltà da superare sarebbe dovuta essere quella di far cadere il pregiudizio secondo cui tutto il territorio isolano fosse caratterizzato da un clima poco salubre e malarico. Per il ministro questo era vero solo in parte: molte zone della Sardegna erano salubri ed ospitali. A conclusione di quella seduta, quindi, Cavour ed il governo s’impegnarono ad apporre alcune modifiche al testo che, accompagnato dalla relazione del presidente dell’apposita commissione, il sardo ogliastrino ed ex ministro della Pubblica Istruzione Cristoforo Mameli, verrà presentato nel giugno successivo al Senato per essere approvato ed essere rispedito, in seconda lettura, alla Camera. Una nota particolare di menzione meritano il relatore della commissione parlamentare sul PdL governativo, nonché il presidente del Senato,Cristoforo Mameli e Giuseppe Manno, entrambi sardi.
Su Cristoforo Mameli (Lanusei, 1795- Roma, 1872) si sa che fu zio, in linea collaterale paterna , del patriota Goffredo,appartenente ad una famiglia della piccola nobiltà sarda. Dopo alcuni incarichi di rilievo svolti in Sardegna,proprio grazie alle sue qualità di esperto di diritto, divenne uno degli esponenti più importanti di quel processo di fusione perfetta della Sardegna agli Stati Sardi di Terraferma (appoggiato anche, inizialmente, da Sanna Sanna). Fu questo il periodo in cui a Cagliari si ebbero le prime manifestazioni di liberalismo, a seguito delle politiche riformatrici carloalbertine. Il tutto avvantaggiato dalla diffusione dell’ ideologia giobertiana ( Mameli fu un cattolico fervente) e dei suoi contenuti indipendentistici. Mameli, quindi, diventò un esponente di spicco di questo movimento. Motivo che, proprio il 24 novembre 1847, lo porto’ a far parte della commissione incaricata di presentare al Re i voti esprimenti il sostegno della popolazione sarda alla sua politica modernizzatrice nell’aspirazione che anche all’isola, integrandola a pieno titolo nel Regno, si potessero applicare le riforme attuate negli altri territori continentali. La fusione fu sancita il 20 dicembre 1847 ed il ruolo di Mameli si concretizzò meglio il 26 giugno 1848,alle prime elezioni del Parlamento del Regno di Sardegna, la prima legislatura dell’era costituzionale italiana. Mameli venne eletto nel terzo collegio di Cagliari e vi rimase fino alla quinta legislatura, questa volta in rappresentanza di Lanusei. E’ in questa occasione, quindi, che venne a conoscenza di Sanna Sanna il quale, dai banchi della sinistra radicale, lo criticherà aspramente. Di lui, pero’, occorre scrivere che, proprio per le sue capacità giuridiche e di grande esperto del diritto, fu il primo sardo a ricoprire un ruolo di ministro nell’era costituzionale del Regno di Sardegna e d’Italia,sia sotto il governo De Launay che sotto il primo esecutivo D’Azeglio (27 marzo 1849- 10 novembre 1850). Un periodo di venti mesi in cui lo Stato sardo cercò di migliorare i suoi ordinamenti interni nei settori più sensibili all’ammodernamento. Mameli, in particolare,prese alcuni provvedimenti tesi a favorire l’istruzione in Sardegna ed a mettere ordine nell’insegnamento primario e secondario. In genere,la sua attività,fu orientata a tentare di conservare alla Chiesa un ruolo di primo piano. Il suo profilo politico fu delineato con maggiore precisione dalla sua opposizione al progetto di legge del 27 settembre 1850 che soppresse le decime alle diocesi. Una linea che non tardò, purtroppo per lui, a definirsi incompatibile con le direttive governative di secolarizzazione. Cavour cercò di giustificarne le dimissioni come “une question electorale de peu d’importance” per cui, però, era divenuto “une veritable embarras”. In realtà, il licenziamento di Mameli fu la condizione posta da Cavour per il proprio ingresso nel governo come ministro dell’agricoltura, primo incarico avuto nel “decennio di preparazione”. Dopo la breve, ma significativa, esperienza nell’esecutivo, Mameli svolse ruoli di consulenza giuridica, venendo inserito in numerose commissioni per l’esame di vari PdL (come questo in oggetto sulla concessione in enfiteusi dei beni demaniali isolani), cercando sempre di tutelare le posizioni della Chiesa. Posizione che portò Giorgio Asproni a definirlo “clericale per istinto e per antichi affetti”.
Il barone Giuseppe Manno (Alghero, 1786- Torino, 1868), invece, dal canto suo, fu un magistrato, politico, storico e letterato,senatore del Regno di Sardegna e, poi, d’Italia, in via continuativa,dal 1848 fino alla morte. Prima vicepresidente (5 giugno- 30 dicembre 1848), poi presidente del Senato sardo (1849- 1855) e del Regno d’Italia ( 1864-1865). Su posizioni conservatrici fu, in pratica, un fedele servitore degli interessi sabaudi in Sardegna, muovendo aspre critiche alla Sarda Rivoluzione angioyana di cui ne curò l’opera, funzionale al governo ed al mantenimento dell’ordine nell’ isola. Sanna Sanna, sicuramente, non lo incontro’ in aula,essendo deputato,ma lo affrontò in altri contesti parlamentari vicini.
Ritornando,quindi,all’esame parlamentare del progetto di legge cavouriano, si evidenzia come i documenti analizzati dal sottoscritto, in questa sede, riferibili al dibattito tenutosi al Senato, riportino oltre il testo di legge approvato il 30 giugno 1852, anche una nuova, interessante relazione “limata” da Cavour, particolarmente importante per capire il livello di conoscenza che questo “enfant prodige” della politica sabauda, aveva dell’isola . Un uomo che, di lì a poco,come presidente del Consiglio, si avrebbe caricato sulle spalle il destino di un Regno intero. Sanna Sanna, ovviamente, non poteva avere sott’occhio il testo della relazione ministeriale presentata nella Camera alta. Tuttavia la sua lettura conferma l’idea di un Cavour propositivo verso la Sardegna e per niente estraneo ai suoi atavici problemi, soprattutto in campo agricolo. Aspetto,come ribadito, già colto da Sanna Sanna, probabilmente anche come “vis polemica” ,di risposta al silenzio ed all’inettitudine di alcuni deputati sardi, racchiusi,per lo piu’, nella famosa “camarilla isolana”. La relazione presentata da Cavour al Senato,illustrativa del progetto di legge in merito alla concessione in enfiteusi dei beni demaniali sardi, partiva,dunque, dallo stabilimento della misurazione dei terreni, punto fondamentale per la loro successiva divisione ed alienazione. Essa incipiava, ovviamente, nel rispetto del Regolamento annesso alla Carta Reale del 26 febbraio 1839, ossia “Il Codice fondamentale della proprietà e del nuovo modo di poterla acquistare nel Regno di Sardegna”. Siamo nella prima fase del Regno carloalbertino e delle riforme successive alla fine del feudalesimo in Sardegna. Cavour, quindi, basandosi su questa legislazione precedente, non trascurò il fatto che le politiche di colonizzazione si sarebbero dovute effettuare a titolo di vendita o di enfiteusi perpetua. Egli annotava che “il quinquennio entro il quale, a tenore del Regolamento, i concessionari sarebbero stati tenuti a dissodare o coltivare i terreni, era scaduto”. Le concessione dei fondi, dato grave, furono fatte a favore degli abitanti più poveri che, però, non avevano i mezzi più adatti per coltivarli. Il ministro spiegò che gli stessi agiati proprietari non procedettero all’azione di dissodamento per la scarsezza dei raccolti. A questo si aggiunse il rischio, da parte di pochi proprietari,che le loro colture fossero troppo “esposte” in mezzo a tanti campi incolti, alle incursioni del bestiame al pascolo. Un ostacolo chiaro, anche al processo di colonizzazione, ben rilevato da Cavour, fu rappresentato dall’art. 63 del citato Regolamento della stessa Carta Reale del 1839. Articolo che, di fatto, aveva impedito la riunione, in un unico podere di molti lotti. Cavour, quindi, da esperto imprenditore in campo agricolo, qual’era stato nella sua vita precedente appena passata, non si esimette dal rilevare come ” lo stabilimento di colonie agricole o di nuovi aggregati di popolazioni” dovesse venire sorretto e accompagnato da una disposizione di migliore efficacia e di maggiore portata allo scopo di favorire lo sviluppo dell’industria agricola sopra più ampia scala. In sostanza una politica demografica sarebbe dovuta essere subordinata ad un serio sviluppo agricolo ed industriale . Per il ministro delle finanze, che era anche dell’agricoltura, il problema vero fu centrato e rappresentato, appunto, dalla vastità dei beni demaniali incolti. Motivo per cui un deputato democratico e mazziniano come Sanna Sanna,proprio in questo caso e su questo tema, continuò ad avere verso la politica agricola ed economica cavouriana un atteggiamento non ostativo. La vastità, quindi, dei beni demaniali incolti e la loro distanza dai centri abitati e dalle autorità tutelatrici della proprietà, per Cavour, avrebbe richiesto che si fosse favorita non soltanto la coltivazione di piccoli spazi di terreno isolato,che non avessero tardato ad essere devastati dal bestiame vagante, ma anche la costruzione di stabilimenti e fabbricati destinati all’industria agricola ed all’abitazione dei coltivatori. “Ciò non sarebbe conseguibile”- chiuse il ministro- “se non per via di concessioni di terreni d’una rilevante estensione e mediante qualche piccolo favore”. Per capire chi fu veramente Cavour, delineandone la grande personalità politica, occorre, però,fare un piccolo passo indietro, ponendo “dei pilastri” sulla solida formazione dello statista piemontese che, poi, diverrà presidente del Consiglio dei ministri del Regno di Sardegna (1855-1861) e primo presidente del Consiglio dell’appena costituito Regno d’Italia (22 marzo- 6 giugno 1861),fino al giorno della prematura e drammatica morte. La lettura delle “Grandi Utopie sulla Sardegna” del nostro Giuseppe Sanna Sanna,proprio nella parte relativa alla grande questione demografica sarda, ci offre uno spaccato diverso del grande politico che, certamente, fu il capo parlamentare della maggioranza moderata uscita dalle elezioni del 9 dicembre 1849 dopo la disfatta di Novara, ma soprattutto fu, per parafrasare un ottimo libro fresco di recente stampa, di Franca Porciani, con prefazione di Nerio Nesi, “Cavour prima di Cavour”. La lettura, quindi, delle pagine critiche del politico anelese sono di fondamentale importanza storica perché, proprio in quel frangente (1871, anno in cui furono scritte) misero ben in evidenza la centralità ed il protagonismo assunto da Cavour quasi vent’anni prima non solo in politica economica generale, ma con particolare attenzione alla questione sarda. Perché Cavour si occupò di questioni demografiche ed agrarie sarde? Semplicemente perché Cavour, “prima di essere Cavour”,fu imprenditore agricolo. Ancora, “Le Grandi Utopie”, sebbene indirettamente,sanciscono che il progetto sulla concessione in enfiteusi dei beni demaniali sardi fu uno degli ultimi provvedimenti legislativi di cui Cavour si occupò come ministro delle finanze. Di lì a pochi giorni, infatti, il presidente del Consiglio D’Azeglio, contrario alla “politica del connubio” parlamentare fra cavouriani e centrosinistra (che, ai primi del 1852 , aveva portato all’elezione di Urbano Rattazzi a presidente della Camera), rassegnò le dimissioni ed il nuovo governo che ne scaturì, il 21 maggio dello stesso anno,sempre a guida D’Azeglio, fu assai debole non comprendendovi Cavour. Questi,prima di essere stato politico fu imprenditore agricolo e Sanna Sanna, molto probabilmente, da figlio di pastori quale lui era, questolo sapeva benissimo. Motivo per cui, proprio sull’annosa questione dei beni demaniali il nostro diede al grande politico piemontese, sebbene militando sul fronte opposto,un “beneficio d’inventario”. “Beneficio” che, peraltro, non possiamo negare neppure in queste pagine critiche. Cavour,dunque, “prima di Cavour” fu un imprenditore agricolo, impegnato su più fronti. L’ottimo libro di Porciani (Rubettino editore, 2021) evidenzia un aspetto essenziale di questa prima parte semisconosciuta della biografia di un Padre della Patria: imprenditori non si nasce, ma si diventa . E Cavour,figlio cadetto di un antico casato nobiliare,lo divenne con sacrificio ed impegno, nel momento in cui, giovanissimo, dal 1832 al 1849 fu anche sindaco del comune di Grinzane. Divenne imprenditore solo in parte “aiutato”dai beni e dal patrimonio familiare,trasferito in capo al fratello maggiore Gustavo , anche lui impegnato in politica e più volte deputato rappresentativo di qualche collegio sardo. Le particolari attenzioni di Cavour in campo agricolo furono dovute agli studi ed ai viaggi fatti in Francia,Svizzera, ed in Inghilterra, con cui strinse importanti amicizie che, poi, gli torneranno utili. L’attività agricola ed imprenditoriale cavouriana è tutta da conoscere e raccontare. Una volta divenuto importante possidente terriero, Cavour contribuì, nel maggio 1842, alla costituzione dell’ “Associazione agraria” che si propose di promuovere le migliori tecniche e politiche agrarie, per mezzo anche di un apposita Gazzetta scientifica. Fu molto impegnato soprattutto nella gestione della sua vasta
tenuta di Leri. Nell’autunno 1843, grazie alla collaborazione con Giacinto Corio, iniziò un’attività di miglioramento nei settori dell’allevamento del bestiame, dei concimi e delle macchine agricole. In sette anni (dal 1843 al 1850) la sua produzione di riso, frumento e latte crebbe sensibilmente, cosiccome quella di mais. A queste migliorie si aggiunsero le innovazioni della produzione agricola, per cui lo stesso dovette
intraprendere anche delle iniziative di carattere industriale con risultati più o meno buoni. Fra le iniziative più importanti figurò la partecipazione alla costituzione della “Società anonima dei molini anglo-americani” di Collegno nel 1850, di cui ne divenne, successivamente, il maggiore azionista e che ebbe, dopo l’Unità d’Italia, una posizione di primo piano nel Paese.Le estese relazioni d’affari a Torino, Chivasso e Genova e, soprattutto, l’amicizia dei banchieri De La Rüe, gli consentirono, inoltre, a di operare in un mercato più ampio rispetto a quello usuale degli agricoltori piemontesi, cogliendo importanti opportunità di guadagno.
E’, quindi, abbastanza chiaro che, forte di questo bagaglio formativo, dopo la rielezione nel dicembre 1849, ed il “controllo parlamentare” perpetrato dalla “sua” maggioranza, che già lo indicava come “enfant prodige” del nuovo corso della politica sarda, Cavour potette aspirare ed ottenere l’allora importante nomina, nel 1850, a ministro dell’agricoltura nel governo D’Azeglio. Nomina che,un anno dopo, non a caso, cumulerà con quella,altrettanto centrale, di ministro delle finanze. Siamo nel primo governo D’Azeglio, durato dal 7 maggio 1849 al 21 maggio 1852, in assoluto il quinto della destra storica nell’era costituzionale del Regno di Sardegna. E’ in questo frangente che, a livello di politica generale,la sua azione politica si concentrò precipuamente nel pagamento delle indennità imposte dagli austriaci alla fine della prima guerra d’indipendenza. Cavour vi ovvio’ togliendo il governo sardo dal forte indebitamento con i Rothschild ed ottenendo un importante prestito dalla “Bank of Ham to”, istituto di credito più piccolo, con un’ erogazione di 3.6 milioni di sterline. In questo decisivo biennio ottenne altri risultati come una definizione effettiva del bilancio statale e l’aumento di capitale della Banca Nazionale degli Stati Sardi, avviando una collaborazione fra finanza pubblica e finanza privata. Con riferimento specifico alla Sardegna, che aveva comunque dimostrato di conoscere (aspetto non negato da Sanna Sanna), concesse all’armatore Raffaele Rubattino la linea di navigazione sovvenzionata tra Genova e Porto Torres,ed a gruppi genovesi l’esercizio di miniere e saline nell’isola.
Sanna Sanna, quindi, appena eletto parlamentare si trovò invischiato,da subito, nei “postumi” della lotta parlamentare che aveva portato al “connubio” e, soprattutto, una delle prime questioni in assoluto che dovette affrontare fu una vertenza sarda: quella, appunto,ancora irrisolta ed annosa, dei beni demaniali. Il suo atteggiamento, in questo primo “assaggio” parlamentare, fu fortemente pervaso da un anticavourismo “ab origine”, frutto delle precedenti battaglie giornalistiche isolane, condotte dalle pagine della “Gazzetta Popolare” e materializzatasi, successivamente, con l’incredibile tentativo, perpetrato ai suoi danni, di non convalidarne l’elezione per la IV legislatura, mettendolo in stato d’accusa per la sola questione della gerenza del giornale (capo d’imputazione messo su “ad hoc” dagli esponenti moderati della “camarilla” isolana) . Tuttavia, questa ostilità dovette, in parte, essere lenita proprio dall’aver assistito, alla presentazione alla Camera, del progetto di legge cavouriano sulla concessione in enfiteusi dei beni demaniali che alludeva anche, fra le altre cose,ad una possibile, migliore,ridefinizione della secolare questione demografica isolana, da non affrontare, però, più con i vetusti strumenti del popolazionismo sabaudo settecentesco. Questo portò il deputato anelese a scrivere, nel passaggio finale di tale contesto, sempre in senso profetico “come la libertà avesse fatto un gran passo,ma il Libro della Sibilla, inerente la Sardegna, si trovasse ancora e sempre aperto sul tappeto dei ministri”.
Molto interessante. Lo rileggerò più volte.