di GIAN LUISA CARRACOI
Bari Sardo, comune appartenente al sinuoso anfiteatro ogliastrino lungo la costa orientale della Sardegna, si trova incastonato come una gemma tra la rigogliosa macchia mediterranea dell’altopiano basaltico di Teccu, nato dal magma di antichissime eruzioni plio-quaternarie e le dolci verdi alture di Su Pranu, Su Crastu e Pizzu ‘e Monti.
L’attuale borgo riconosce le sue arcaiche origini in un primigenio passato che parla una lingua fatta di pietra.
Le prime attestazioni di presenza umana nel territorio sono riconducibili al Neolitico Recente (3500-2800 a.C.) e sono documentate dalla presenza di numerose tombe ipogeiche.
Esse sono testimonianza diretta dell’uomo che ha vissuto e in qualche modo trasformato per le sue esigenze il luogo di riferimento in un determinato periodo della lunga preistoria.
Nelle carte catastali ottocentesche di Barì (toponimo precedente al 1862), nella zona oggi conosciuta come Funtana ‘e su Rettore, compare il toponimo Is Gruttas de su pranu, evidente riferimento a ciò che oggi chiamiamo domus de janas.
Dalle zone più vicine alla costa fino alle dolci alture che circondano l’attuale nucleo abitativo, esse esprimono la profonda sensibilità religiosa dei nostri avi e ci offrono il fascino di strutture realizzate per il culto dei morti e l’eterna corrispondenza d’amorosi sensi instillata nell’intimo umano dalla divinità creatrice.
Le domus de janas, chiamate comunemente in Sardegna “case delle fate” o “case delle streghe” attorno alle quali sono nate e ancora si tramandano numerose leggende, sono in realtà una tipologia di sepoltura che, per alcune caratteristiche ricorre lungo tutte le coste del Mediterraneo, dall’Egitto alla Frigia, dalla Siria alla Sicilia, da Malta all’Etruria fino alle Baleari; numerose anche quelle menzionate nell’Antico Testamento.
Anche il termine janna – porta, in lingua sarda – ha certamente una forte valenza simbolica in quella che nell’architettura della sepoltura viene definita la “falsa porta”, luogo di passaggio attraverso il quale l’anima del defunto doveva necessariamente transitare.
Risulta anche affascinante come nell’etimologia del vocabolo suddetto ci siano delle corrispondenze con il culto romano di Janus (Giano), la divinità bifronte capace di scrutare insieme il passato e il futuro, preposto alle porte, le ianuae di cui custodiva l’entrata e l’uscita, protettore di tutto ciò che presentava un inizio ed una fine.
Il sepolcro ipogeico aveva certamente una funzione funeraria strettamente legata alla visione di una nuova vita dopo la morte. Al suo interno, come nell’utero materno, è attestato che i corpi venissero deposti in posizione fetale per propiziare il ritorno all’esistenza, velati di ocra rossa, simbolo della calda linfa vitale. Forte spiritualità che si può leggere anche nell’usanza di accompagnare il defunto al suo interno con monili e utensili della vita quotidiana, così come attraverso la deposizione dell’immagine rassicurante della Madre Terra, colei che contiene, protegge e nutre la vita, archetipo del continuo morire per rinascere.
Nel’agro bariese la struttura delle tombe ipogeiche risulta abbastanza semplice rispetto ad altre necropoli presenti in varie parti dell’isola. La loro planimetria è composta da uno o più ambienti e quindi classificata dagli archeologi in monocellulare, bicellulare o pluricellulare.
L’ampiezza e la forma degli interni sono strettamente legati al tipo di roccia nella quale sono state ricavate, lo scavo veniva infatti effettuato con strumenti litici grossolanamente appuntiti e più duri rispetto alla roccia che doveva ospitare la sepoltura stessa.
Le domus de janas presenti sono conosciute e censite con i toponimi di Funtana ‘e su Rettòre, Pirarba, Ibba Manna, Giba ‘e skorca e Pizzu ‘e Monti, localizzate prevalentemente dove era più propizia la possibilità di praticare attività agricole integrate con la caccia e l’allevamento e vicine al luogo in cui dovette sorgere il villaggio cui erano pertinenti.
Il complesso funerario di Funtana ‘e su Rettòre, circondato da una vegetazione di mirti e lentisco, è situato sulla collina di Su Pranu, a 234 m s.l.m. Esso è scavato in una parete di porfido rosso, alle cui pendici scorre un ruscello. Consta di tre domus bicellulari, con anticella – luogo probabilmente deputato allo svolgimento dei cerimoniali per i defunti – disposte sulla parete più o meno allo stesso livello di quota. Le tombe presentano uno stato di conservazione buono e vi si può accedere attraverso un sentiero che si arrampica sul costone roccioso.
La necropoli di Pizzu’e Monti, a metà strada tra la linea di costa e il centro abitato, è costituita da due sepolture, anch’esse scavate su un affioramento di porfido quarzifero rosso. La prima è costituita da una anticella e da tre ambienti sepolcrali a sviluppo longitudinale; la seconda domus, situata poco più in alto, è invece una sepoltura ad ambiente unico.
L’area archeologica di Piràrba (Pira, pera; alba, bianca) si trova in una zona pianeggiante che confina con il territorio di Loceri, coltivata con uliveti, mandorli, erbai e vigneti, a quota 66 m. s.l.m. Ivi si trovano due sepolture, una accanto all’altra, scavate su due massi granitici di forma arrotondata. Entrambe di tipo monocellulare, presentano un ingresso inscritto in una cornice ben lavorata e una cella a pianta sub circolare.
Il sito archeologico in oggetto rivestiva certamente un ruolo particolarmente importante, sia per la fertilità dei terreni, sia per la breve distanza dal fiume. Alle spalle dei sepolcri è presente un masso granitico di forma quasi circolare, leggermente concavo, caratterizzato da una particolare composizione di cerchi concentrici e coppelle, la cui interpretazione lascia spazio a varie ipotesi, tra le quali la rappresentazione della ciclicità delle stagioni e il movimento degli astri nella volta celeste, ma il loro vero significato rimane ancora un mistero.
Oltre che dotarsi degli strumenti del culto, l’incidere sulla pietra era al tempo stesso una forma di preghiera e di devozione, di intima religiosità celebrata in luoghi non casuali ma scelti in modo oculato.
Nei terreni adiacenti al sito di Pirarba si possono osservare numerose schegge di ossidiana, il vetro nero proveniente dal Monte Arci utilizzato per la fabbricazione di strumenti da taglio, e piccoli frammenti ceramici fluitati che testimoniano la presenza di una vasta area di insediamento. In un campo da pascolo poco distante dalle stesse domus, si può invece ammirare un masso granitico di forma quasi trapezoidale, caratterizzato da due coppelle ovali profonde circa dieci centimetri e una solo leggermente accennata.
Si ipotizza che le coppelle fossero legate al culto ancestrale dell’acqua, cavità realizzate per raccogliere il sangue sacrificale o semplicemente dei contenitori per la preparazione di derrate alimentari.
A stupirci è in particolare la linea retta che idealmente par congiunga questa sorta di altare al rilievo di Ibba Manna, laddove è presente un’altra sepoltura ipogeica monocellulare scavata nel basalto. Molto interessante anche questa, soprattutto per la portata di significato religioso che l’accompagna: proprio lì dove il vulcano ha plasmato la giara realizzando un’architettura unica e suggestiva, il suo ingresso veglia sull’alba e sulla vita che eternamente rinasce.
Nella stessa roccia basaltica dell’altopiano di Teccu, ma sul versante che osserva il mare e l’arenile di Bucca ‘e Strumpu, si apre una ulteriore sepoltura monocellulare. É il sepolcro di Giba (gobba)‘e skorca (difesa), realizzato laddove il placido fiume Riu Mannu bramoso d’immensità si lascia abbracciare dall’azzurro pelago e il defunto è libero di rinascere ad ogni nuova lucerna.
Sono queste tutte preziose testimonianze di un antico passato, da custodire e valorizzare, radici di un popolo che fin dalla sua prima aurora ha perpetrato un’unica aspirazione: l’accompagnamento dell’anima all’incontro con la divinità e il desiderio di eternità.
Bellissima descrizione e molto interessante il luogo è la posizione delle Domus..Quanta bella storia antica nella nostra Sardegna
Meravigliose, da visitare prossimamente
Su pranu nei miei terreni
Sempre molto interessanti gli studi di Luisa. Complimenti
Complimenti
Luisa per la tua infaticabile opera di studio e divulgazione
Complimenti
Luisa, per il tuo articolo , che ci aiuta sempre meglio a conoscere il nostro territorio e le nostre radici.
Da commuovermi. Quando ero piccola , la domenica andavamo tutti in famiglia a raccogliere le olive a Pirarba. Ma appena potevo giocavo su questo masso di granito che conserva ancora le cavità perfettamente tondeggianti di cui Luisa tu parli. Il campo confinante con quello di mio padre, separato dalla siepe custodiva le domus de janas e il mistero che le circondava. Grazie Luisa e Massimiliano Perlato che attraverso Tottus in pari, diffondi la nostra storia.
Bellissimo articolo👏, brava Luisa
Complimenti
per l’articolo molto suggestivo😍
Molto interessante 😘 compliment