di GIANRAIMONDO FARINA
Da quanto si può notare in questi giorni sul conflitto russo-ucraino, dal punto di vista prettamente militare, una cosa sarebbe chiara: la Russia starebbe procedendo ad una classica operazione militare, con la distruzione delle opere infrastrutturali ucraine. Purtroppo occorre precisare quanto alcuni analisti dicevano da tempo: in conseguenza del ritiro militare americano dall’ Afghanistan neanche i mercati finanziari avrebbero creduto a questa occupazione. Perché la Russia, dunque, sta’ occupando l’Ucraina? Perché, senza dubbio, vi sono accordi strategici con la Cina e perché, forse, Putin avrebbe previsto che “nessuno sarebbe morto per Kiev”. Per capire il significato strategico-miltare dell’invasione ucraina (da Mosca definito “intervento militare speciale”), occorre procedere ad una precisa ed opportuna disamina delle indecisioni ed incomprensioni messe su da Nato ed Usa in questi ultimi decenni. Ossia, una possibile minaccia nucleare. Ai tempi di Carter, nel 1979, venivano installati in Europa missili a medio e lungo raggio,in un numero pari a quelli russi orientati verso le capitali europee. Senza dimenticare il famoso “raid” israeliano su Entebbe, la questione anglo-argentina delle Malvinas che furono, sostanzialmente, una ripresa della politica occidentale di difesa dopo le due crisi di Cuba del 1962 e petrolifera del 1973. Un’ altra data storica da ricordare: 1991, Trattato per la proibizione del riarmo nucleare. Negli anni successivi, però, la politica estera fu condotta in base al principio del cosiddetto “rispetto dei diritti umani”. Dall’ Iraq alla Siria, alla Libia. Sia da una parte (USA), sia dall’altra (Russia). Con l’assenza totale dell’UE. Ecco, quindi, spiegata, da questo punto di vista, la crisi ucraina. Nel 2019, poi, una riunione del Consiglio Nato-Russia, cosa che si sa’ poco, fu teatro di reciproche accuse fra americani e russi. Esse riguardarono il “sistema Shield” europeo e lo sviluppo del Navotor 9M729 missile russo. L’entrata in servizio di questo missile portò all’ uscita americana dal Trattato Inf. del 1976, prorogato per 25 anni, poi esteso a tempo indefinito nel 1995 e firmato da 191 Paesi, tra cui i cinque Paesi del Consiglio di Sicurezza ONU, tutti dotati di nucleare. Questo Trattato è, dunque, l’unico strumento globale in materia di disarmo: il che fa’ capire l’abisso morale raggiunto in questi giorni, da tutte le parti. Alla base della situazione strategico-militare-internazionale riferita alla guerra in corso vi è questo inscindibile pregresso. Pregresso che ben spiega i recenti accadimenti. A partire dall’ultimo Consiglio di Sicurezza ONU, con la Russia presidente di turno, in cui, esplicitamente, si era parlato di “operazione speciale in Ucraina” (coniazione, senza dubbio, russa, ma già nota da qualche tempo negli ambienti internazionali) e di “pericolo per la Russia che questo Paese avesse armi nucleari tattiche”. E di seguito, allora, ben si spiegano, nell’ inerzia totale dell’UE, quelle due parole che, a chi non conosce lo spirito russo (purtroppo, in molti, oggi, quasi, che la parte occidentale del Mondo fosse caduta, etero diretta, in una “damnatio memoriae”): denazificare e smilitarizzare l’Ucraina (punti mai applicati dei Trattati di Minsk del 2015), dopo aver protetto e messo in sicurezza le popolazioni del Donbass, da otto anni vittime di genocidio latente. Per gli esperti la minaccia di Putin di “conseguenze mai viste” si riferirebbe, quindi, all’ utilizzo del potente missile ipersonico KINZHAR, i cui sistemi di sicurezza sono ben custoditi in un’area centroasiatica della Russia. Scelta che, non a caso, orienterebbe il Paese sempre più ad Est, diventandone zona esclusiva dei suoi interessi. E luogo ideale di un inevitabile accordo con la Cina, candidata da tutti a fungere da futura mediatrice fra USA, UE, Nato e Russia sulla questione ucraina. Senza dimenticare Israele ed il suo atteggiamento assunto, di recente, in merito alla guerra. Sebbene, in generale, a parole, si condanna l’invasione (per Mosca “operazione militare speciale”); tuttavia, e’ da riconsiderare il recente di Bennet a Mosca (sabato 5 marzo, in deroga perfino allo “Sabbath” ebraico). Certamente, per via dei rapporti storici e della cooperazione militare (basti vedere gli accordi russo-israeliani sugli spazi aerei in senso anti-iraniano. Senza dubbio, però, alla luce dei Trattati ancora in corso a Vienna per il rinnovo del nucleare iraniano. E qui “casca l’asino”, visto che poca stampa occidentale ha considerato ciò e visto che la Russia ha un ruolo da mediatore non indifferente fra USA ed Iran, da un lato, e fra lo stesso Iran ed Israele, dall’altro. Motivo per cui sull’ isolamento politico-internazionale di Putin occorrerebbe “andarci con i piedi di piombo”. “In soldoni”, al tavolo di Vienna, Lavrov, ministro degli esteri russo, degno successore di Molotov, ha posto come condizione che “le recenti sanzioni americane contro la Russia non dovranno influire sul regime delle relazioni commerciali, economiche e d’investimento previste sul programma nucleare iraniano. Si tratta, nello specifico, dello JCPOA, Piano d’azione globale congiunti. La Russia, in tal senso, ha chiesto queste garanzie agli USA: queste sanzioni non dovranno interferire con la cooperazione economica e tecnico-militare con l’Iran. E le garanzie americane dovranno essere date e fornite, questa volta, per iscritto, non dimenticando gli antecedenti, avvenuti trent’anni fa sulla questione dell’espansionismo NATO ad Est. E motivo per cui la possibile mediazione di uno Stato come Israele nella crisi ucraina, pienamente (ed indirettamente) coinvolto (fra Russia ed USA, con l’Iran sullo sfondo) sarebbe, forse, più auspicabile.