di ROBERTA CARBONI
Una tragedia durissima che colpì gravemente la città e causò ferite profonde ed insanabili, perdite umane altissime e una distruzione di oltre il 70% del patrimonio edilizio cittadino.
Nei suoi vicoli, nelle sue piazze e nei suoi palazzi, alcuni ancora visibilmente sventrati, Cagliari mostra ancora oggi i segni di una tragedia: la Seconda Guerra Mondiale. In molte parti della città, soprattutto nel quartiere Castello, dove oggi ci sono insolite aree di parcheggio, piccoli slarghi e suggestivi affacci panoramici, prima dei bombardamenti c’erano palazzi settecenteschi, custodi di una storia di secoli.
Insieme a Napoli fu la città italiana più bombardata.
L’entrata ufficiale in guerra da parte dell’Italia il 10 giugno 1940 accanto alla Germania nazista aveva comportato inizialmente solo lievi disagi per i cagliaritani, quali il fastidioso suono degli allarmi, ritardi nella corrispondenza tra la città e il fronte. L’unica privazione degna di nota consisteva nel razionamento dei generi alimentari, che portò i cagliaritani a patire la fame, anche a causa della disorganizzazione che vigeva in città in materia di approvvigionamento dei beni.
Benché la Sardegna svolgesse il ruolo di “portaerei del Mediterraneo” nelle strategie militari delle potenze dell’Asse e già dal 1934 il Golfo di Cagliari avesse cominciato a dotarsi di postazioni militari e batterie a doppio compito lungo la linea di costa (il cosiddetto Fronte a Mare), la situazione faceva pensare che l’isola sarebbe rimasta ai margini del conflitto. A peggiorare le cose ci fu l’avanzata degli anglo-americani nel Nord Africa francese nel 1942 e la conseguente ascesa dell’isola a punto di riferimento per le operazioni aeronavali italo-tedesche. La posizione strategica di Cagliari in tal senso cambiò completamente il ruolo della Sardegna.
Le prime incursioni sul capoluogo sardo avvennero il 2 giugno 1942, quando alle ore 23:30 un bombardiere sorvolò il porto e, dopo aver lanciato numerosi bengala in modo da migliorare la visuale, attaccò le navi da guerra che vi erano ancorate. Il pronto azionamento dei congegni per il rilascio della nebbia artificiale permise alle navi di non riscontrare danni, mentre alcune bombe caddero sul Cimitero di Bonaria, causando due morti.
Un secondo bombardamento avvenne cinque giorni dopo, nella notte tra il 7 e l’8 giugno, anche questo ad opera dell’aviazione inglese. Stavolta fu colpito il centro della città, tra le vie Angioy, Sassari e il Largo Carlo Felice. particolare furono distrutti alcuni fabbricati di Largo Carlo Felice, via Angioy, via Sassari e alcuni fabbricati del quartiere Marina, aprendo una voragine nella zona adiacente al Banco di Napoli e alla Banca Commerciale; altri edifici rimasero danneggiati. Le stime sulle vittime variano da dodici a quattordici morti, i feriti invece furono quindici.
Nel Gennaio 1943ci fu un altro bombardamento su Elmas che provocò sei morti.
Il 7 febbraio 1943 fecero per la prima volta la loro comparsa gli aerei americani e la città fu sottoposta, per ben 5 volte, ad azioni esplorative della ricognizione avversaria ed a spezzonamenti in alcuni quartieri periferici e nel vicino aeroporto di Elmas, che fu attaccato da oltre 50 aerei.
Dieci giorni dopo, il 17 Febbraio,fu la volta di Cagliari con 105 aerei fra B17 e i caccia pesanti, Lightening P38 a doppia fusoliera. Alle 14.00 circa accadde l’inaspettato: gli aerei americani piombarono nel centro della città per sganciare a tappeto un gran numero di bombe di medio calibro e di spezzoni incendiari. In via Sant’Efisio, tra la chiesa di Sant’Anna e quella di Santa Restituta, avvenne la maggiore strage. Il bollettino ufficiale parlava di 100 morti e 255 feriti; ma i morti erano quasi 200: 96 a Cagliari, 8 a Quartu, 83 a Gonnosfanadiga, dove una improvvisa sequenza di spezzoni fece strage di bambini.
Il 26 febbraio alle 15,30 una ventina di B17 arrivò su Cagliari da Capo Carbonara rovesciando 50 tonnellate di bombe sulla direttrice Bonaria-Castello-Stampace. Il bollettino parlava di 73 morti e 286 feriti. Il Teatro Civico fu sfondato, il Bastione di Saint Remy colpito da 3 bombe, perdendo l’arco con parte delle scale.
In Piazza Costituzione si formò una profonda voragine. In Castello, il bellissimo palazzo Pes di Villamarina fu sventrato, mentre la chiesa di San Giuseppe, vicino alla Torre dell’Elefante, crollò completamente. Di Sant’Anna rimase in piedi solo la facciata e, in piazza del Carmine, una bomba fece una buca larga 8 metri e molto profonda. Il Municipio conservava solo la facciata. Parecchie costruzioni del Largo, del Corso, della via Sassari, via Maddalena, via Malta e via Caprera diventarono cumuli di macerie.
Il 28 febbraio alle 12:55 85 aerei lanciarono 538 bombe per 123 tonnellate di esplosivo. Le sirene d’allarme, per mancanza di energia elettrica, erano ormai inservibili. L’incursione durò oltre 2 ore: furono distrutti il porto, il Palazzo della Dogana e la Stazione delle Ferrovie dello Stato. Quasi tutta la via Roma andò in rovina. I morti furono 200 secondo le cifre ufficiali e i feriti alcune centinaia. Il giornale d’Italia pubblicò i nomi di tutti i caduti nelle tre incursioni di Febbraio: erano 416.
A lasciare attonita la popolazione, quel giorno, fu soprattutto la crudele strage di inermi concittadini, che avevano sperato di trovare un rifugio inviolabile nella via S. Efisio, tra le chiese di Sant’Anna e di Santa Restituta.
In occasione del cinquantenario dell’eccidio l’amministrazione comunale appose un’epigrafe e tutti gli anni, il 17 febbraio, si celebra una piccola veglia alla presenza delle autorità civili e il parroco di Sant’Anna.
Ancora il 31 marzo i bombardamenti provocarono ulteriori danni al porto e molte vittime a Monserrato. Il bollettino parlava di 60 morti e 52 feriti. Tra gli edifici colpiti, la Chiesa del Carmine fu completamente distrutta.
Nel mese di Aprile le incursioni subirono un’improvvisa accelerata: Carloforte fu bombardata il 4 (12 morti e 30 feriti); l’aeroporto di Alghero il 17 (18 morti e 50 feriti); il 18 fu la volta di Porto Torres (5 morti); il 22 di Carloforte (2 morti); il 23 di Arbatax (12 morti e 6 feriti); il 25 fu bombardata Decimo; il 26 Sant’Antioco; il 27 Villacidro (con 16 morti e 56 feriti).
Il 13 Maggio, tra le 13:38 e le 14:30, 197 bombardieri e 186 caccia sganciarono 893 bombe su Cagliari: la città fu trasformata in poche ore in un cumulo di macerie. Il bollettino parlava di 10 morti e 56 feriti. La città era quasi deserta già da marzo, ma nella sola stazione delle ferrovie dello stato morirono 17 ferrovieri.
Il 14 Maggio tutta la Sardegna era sotto il mirino degli aerei alleati: Olbia con il porto e l’abitato (oltre 20 i morti), la linea ferroviaria e la stazione di Sassari (3 morti), l’aeroporto di Fertilia e la rada di Alghero (6 morti), Porto Torres, Abbasanta, Capo Frasca, Sant’Antioco, Calasetta, Santa Caterina.
Fra il 17 e il 18 Maggio si contarono 52 morti ad Alghero, 14 morti e 40 feriti in provincia di Sassari. Fino alla fine del mese non c’era giorno o notte senza incursioni.
Da giugno in poi gli obiettivi erano soprattutto militari: i porti di Olbia (6 bombardamenti), Cagliari (4 volte), Golfo Aranci (3), Alghero e il nodo ferroviario di Chilivani, gli aeroporti di Venafiorita, Decimo, Milis, Fertilia.
Nel Settembre la guerra per la Sardegna volgeva al termine; l’ultimo bombardamento fu il pomeriggio dell’8 settembre sull’aeroporto di Pabillonis.
Poche ore dopo il maresciallo Badoglio (capo del governo e maresciallo d’Italia) avrebbe annunciato l’uscita dal conflitto con un messaggio, letto alle 19:42 al microfono dell’EIAR.
Era la fine di un incubo, ma la ricostruzione fu lenta e complicata. La città era quasi deserta, il numero degli sfollati era sempre più alto e si prospettava lunga e difficile la ripresa di una vita normale. La guerra lasciò ferite profonde, difficili da rimarginare, nonché solitudine e disperazione.
La città era cambiata, le persone erano cambiate, la prospettiva di una ricostruzione appariva lontana, se non addirittura utopistica.
Per le gravissime perdite materiali e soprattutto umane sopportate, il 12 maggio 1950 il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi conferì alla città la medaglia d’oro al valore militare.
I sogni e le speranze che avevano caratterizzato il XIX secolo erano stati spazzati via o erano da qualche parte sotto le macerie. Era la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova, anche se qualcosa, nel profondo dell’animo umano, si era spento per sempre.