di LUCIANA PUTZOLU
La vita a terra, nel mio piccolo paese mi sembra lontanissima, un’altra vita. So che presto rientrerò a casa e tornerà tutto alla normalità, ma so anche che questa esperienza rimarrà dentro di me e influenzerà il mio modo di affrontare la vita.
Queste alcune note del diario scritto da Marta Piras, 32 anni, di Ghilarza, a bordo della nave di ResQ People saving People, che ha come unico obiettivo quello di salvare i migranti che dalle coste africane partono alla ricerca di un futuro migliore.
Marta ha partecipato, come mediatrice culturale, alla seconda missione umanitaria della nave, dall’1 al 23 ottobre 2021. Partita da Ghilarza, dopo la laurea triennale a Sassari, la sua esperienza formativa si arricchisce a Torino, dove ha conseguito la laurea magistrale, a Venezia con un master alla Ca’Foscari, altre esperienze di studio e lavoro a Siviglia, Limerick, Haifa, Tangeri, Malta, Turchia. Quasi per caso leggo il suo racconto delle notti in mare aperto. I migranti salvati hanno un nome e un volto anche grazie a persone come Marta che rendono più bello il nostro mondo. La raggiungo per approfondire la sua appassionante esperienza…
In una società come la nostra che, spesso, vede negli altri la controparte ed estremizza il confronto, chi è l’altro per una mediatrice culturale? Noi tutti siamo l’Altro per qualcuno. Per me l’Altro è chiunque sia altro da me. L’Altro è il mio prossimo, indipendentemente dal colore della pelle, dalla provenienza, dalla religione o nazionalità, da tutte le etichette che di solito si mettono a coloro che sono semplicemente persone, e in quanto tali devono essere considerate uguali nei diritti e doveri e nelle opportunità di vita. L’Altro, chiunque esso sia, porta sempre con sé un bagaglio di cultura, esperienze, conoscenze diverse dalle mie; a volte è proprio questa specificità che spaventa e crea incomprensioni e litigi. Ma questa differenza, se siamo in grado di apprezzarla è un dono. L’incontro con l’Altro può essere il più delle volte fonte di apprendimento e arricchimento.
Aiutiamoli a casa loro è un’affermazione ricorrente a proposito di migranti… Tu hai scelto la strada opposta: nella tua recente missione li hai salvati dalla morte. Con quale animo hai affrontato il mare in quelle notti? Ho iniziato a lavorare con richiedenti asilo tempo fa, ho sentito tanti racconti di viaggio, della fuga dal proprio Paese, delle lunghe marce nel deserto, della Libia e del mare. Immaginavo il terrore e la disperazione che si può provare in mezzo all’infinità del mare, quando non sai nuotare, non sai dove ti trovi, né se arriverai in Europa, quando spesso mancano il cibo e l’acqua, o sei esposto al freddo. Nella missione di salvataggio io stavo dall’altra parte, sapevo dove mi trovavo, cosa dovevo fare, provavo per lo più entusiasmo, adrenalina, desiderio di aiutare, ma sentivo anche curiosità, voglia di sapere e di vedere. La prima volta che siamo scesi sul gommone dopo la segnalazione di una barca in pericolo, durante i preparativi, ansia e paura di quello che avremmo potuto incontrare hanno preso il sopravvento. Una volta avvistata la barchetta con 59 persone a bordo, ho sentito sollievo e gioia perché tutte le persone erano in buone condizioni.
Il secondo salvataggio è stato, purtroppo, meno fortunato… Nonostante la certezza che la cosiddetta guardia costiera libica sarebbe arrivata prima di noi e avrebbe riportato le 70 persone nell’inferno della Libia, siamo andati a cercare il loro gommone, consapevoli che lo avremmo trovato vuoto… Nell’animo sentivo una piccola speranza di trovare qualcuno ancora lì. Non è stato così. Il gommone nero galleggiava lì in mezzo al mare, a bordo qualche zaino, scarpe, bottiglie e altri oggetti lasciati dalle 70 persone. In quel momento ho provato una forte delusione e la tremenda frustrazione dell’impotenza, la speranza si è trasformata in tristezza per la sofferenza senza fine a cui queste persone sono condannate.
Quali sono gli errori che ancora oggi la politica internazionale commette sulla realtà dell’immigrazione? Se l’Unione Europea e gli Stati interessati dagli arrivi via mare attuassero una politica di salvataggio effettiva, non ci sarebbero così tante morti in mare e non dovrebbero essere le ONG, spesso autofinanziate e con personale volontario, a dover supplire alle funzioni degli Stati. L’Italia e l’Unione Europea continuano a finanziare l’inferno libico perché blocchi le partenze o riprenda le persone in mare, sapendo benissimo che verranno torturate, picchiate, stuprate e persino ammazzate. Le persone che abbiamo incontrato durante la missione hanno dichiarato che è preferibile morire in mare piuttosto che tornare in Libia. Da qui non mi sembra difficile capire che cosa si viva dall’altra parte del Mediterraneo, il mare nostrum.
Si parla di illegali… La politica internazionale non offre una modalità legale e sicura per arrivare in Europa. In alcuni Stati è quasi impossibile ottenere un visto regolare d’ingresso per i Paesi europei perciò l’unico modo per tentare di arrivare in Europa è rivolgersi ai trafficanti. Le persone che decidono di lasciare la loro patria a causa di guerre, conflitti, condizioni precarie e povertà, desiderano una vita migliore e trovano nel viaggio illegale una via più rapida o quasi sempre l’unica via per riprendersi la vita che spetta loro di diritto. Chi tra noi si rivolgerebbe ai trafficanti per fare il viaggio della morte se avesse la possibilità di viaggiare comodamente e regolarmente in aereo? Domanda fuori luogo perché noi possiamo avere tutto ciò facilmente! Io stessa ho potuto studiare e lavorare a Malta, in Spagna, in Marocco, in Turchia, senza problemi, accolta con grande rispetto perché sono italiana, e ho potuto decidere di tornare a casa in qualunque momento mi andasse. Un ragazzo del Ghana per esempio non può farlo. La differenza tra me e lui è che io sono nata dalla parte giusta del pianeta.
Quali sono i tuoi sogni per il futuro? Credo che tutti al mondo dovremmo avere lo stesso diritto di poter viaggiare, di poter scegliere dove andare, lavorare, dove costruirci una vita. Sogno un mondo in cui non ci sia una parte giusta o sbagliata dove nascere, nel quale non ci siano disuguaglianze e in cui tutti gli esseri umani, con un onesto progetto di vita possano spostarsi dove preferiscono e vivere una vita dignitosa dove desiderano. Mi piacerebbe che l’Italia migliorasse la politica di accoglienza e le leggi sull’immigrazione che chiaramente non funzionano; inoltre, sarebbe utile realizzare azioni concrete di educazione al rispetto e all’interculturalità, educazione al dialogo, quello vero, a partire dalle scuole ma anche per gli adulti. Solo un paese educato a decentrare il proprio punto di vista e a valorizzare le differenze può trasformare il fenomeno migratorio da problema a risorsa.