di LUISA SABA
Quella impronta di sandalo, misteriosa quanto l’Isola di Atlante, la storia dei Shardana, quante interpretazioni su un popolo che non si identificò mai con nessuno…
Stufa di sardi, sardi sardisti, sardi incompresi, sardi vittime perenni di conquistatori venuti da fuori, Stefania si sente come in cattività, vuole essere libera, un pesce che naviga in acque aperte, finalmente varca il mare e arriva in Continente, si ritrova a Bologna, dove succede un fatto straordinario: per la prima volta Stefania non sente di fuggire dalla sua terra d’origine, si sente anzi orgogliosa e fiera delle sue origini, di una insularità che rimarrà segno distintivo, se non esclusivo, della sua traiettoria personale e artistica.
“Io ho abbandonato la Sardegna, sono scappata per non restarne prigioniera. Lei però non ha abbandonato me”, confessa l’attrice che quel viaggio lo percorrerà all’interno dell’anima chissà quante volte, in un senso e nell’altro. Prende così il via la narrazione di Stefania Masala, musicalmente accompagnata dalla dolcezza e complicità del chitarrista Giovanni Martinelli. Ci offre una interpretazione da grande attrice, intensa, emozionante, coinvolgente che porta il pubblico, sardo e no, nell’eterno tema odisseo del fascino di varcare nuovi mari e nello stesso tempo del richiamo del viaggiatore alle proprie origini.
E ci parla dei suoi inizi di musicista e attrice sarda, di Sassari, che dal Conservatorio di musica Canepa della sua città arriva a Bologna, si perfeziona negli studi chitarristici e si laurea in musicologia presso la Facoltà di filosofia. Intraprende una densa e luminosa carriera di concerti in formazioni da camera come il Guitar Ensemble, vince numerosi e prestigiosi premi, studia recitazione, si diploma in Arte Drammatica presso la scuola romana Teatro Azione e inizia a calcare i palcoscenici teatrali. Diventa l’allieva prediletta del grande Giorgio Albertazzi e da quel momento sua compagna di scena in diverse performance: Memorie di Adriano, Il Mercante di Venezia… fino alla morte del Maestro.
Con le musiche originali di Cristiano Porqueddu e la regia di Patrick Rossi Castaldi interpreta e recita il suo testo che racconta come comincia e tuttora continua il suo viaggio da e per la Sardegna. Un avvincente monologo che scandisce i temi centrali di un percorso conoscitivo nella pluralità delle dimensioni che rappresentano la composita realtà insulare. Realtà complesse che in genere la vulgata politica, la retorica sociale riducono a binomi contrapposti, isola come archetipo di isolamento, continente come archetipo di spazio aperto e vitale, isola come luogo di culture rigide e tradizionali, continente come luogo di incontro tra diverse culture, isola come conservazione dei valori identitari, oltremare che apre a contaminazioni feconde e creative.
Stefania supera questi dualismi e guarda la sua Sardegna attraverso gli occhi del viaggiatore che la attraversa per conoscerne la bellezza e i costumi con un approccio ancora lontano da visioni turistico mercantili, e di chi, come lei, cerca di capirla trovando elementi condivisibili e paragonabili con esperienze classiche e mitteleuropee, come quelle di Elio Vittorini e Virginio Lilli, che descrivono la Sardegna come terra di elegantissima ruvidità, con un presente simile al passato, con il vasaio che usa le stesse forme da sempre , con le parole di Lawrence che considera i sardi selvatici e quelle di Valery che vede le donne sarde come principesse di Velasquez e poi Pascarella, Scarfoglio, D’Annunzio, Salvatore Cambosu che contesta il Vate.
Il suo viaggio interseca di continuo e si confronta con i racconti dei viaggi in Sardegna dei grandi personaggi letterari di varie epoche, di giornalisti, poeti, musicisti e romanzieri. E non dimentica rendendoci particolarmente felici il grandissimo pensatore d’eccellenza sardo, vittima del carcere non per infamia, ma per aver tenuta dritta la schiena di fronte al regime fascista: Antonio Gramsci, che raccomanda alla sorella Teresina: lascia che i tuoi figli imparino e succhino tutto il sardo possibile… sarà per loro un arricchimento!
E nel suo racconto non dimentica la pietra. La pietra in Sardegna è memoria, è cifra poetica e storica, e lo sottolinea con forza e passione. Per i sardi la pietra è il principale luogo simbolico della memoria, dato che sono principalmente in pietra i segni più visibili della sua antichissima e misteriosa storia.
Lo aveva già detto Vittorini, (isolano della Sicilia!) nel 1932 nel diario di viaggio Sardegna, come una infanzia. La nave che lo portava in Sardegna non era ancora approdata e già Cagliari appariva agli occhi di Vittorini come una Gerusalemme sarda, città sopra un monte, metà di roccia, metà case di roccia! Suoni di pietra, silenzi di pietra! “Io mi sento antica, mi sento pietra”, esclama con furore Stefania a un certo punto del suo monologo, ricordando che anche per lei, sassarese, il nuraghe di Santu Antine a Torralba, presenza misteriosa di pietre su pietre a forma iconica, faceva parte del paesaggio onirico della sua infanzia.
Anche il vocabolario dei nonni, ci ricorda con commozione, era di pietra, asciutto, essenziale, pieno di silenzi, ma Stefania non ha mai parlato il sardo che non è la lingua della sua fantasia. È questa carenza diventa in lei un cruccio, un rammarico, un senso di vuoto e di malinconia, di nostos, che spesso non riesce a contenere.
Oggi la lingua sarda, nelle sue varianti locali, è diventata la lingua della poesia, sorgente originaria dello spirito, come diceva Hegel, e nel linguaggio italiano di Stefania abbondano poesia e musicalità. Ma la lingua storica, quella che verbalizza il presente, di noi sardi, non è “sa limba comune”, tentativo artificioso e difficile da realizzare di salvare i patrimoni linguistici minoritari. Qualche divertente e apprezzata concessione dialettale il viaggio di Stefania lo fa, sotto forma di piccole provocazioni al suo compagno di chitarra: “pesadinde, cumpresu m’ asa”?(alzati, capito mi hai?) mentre quasi sacrale è la recitazione di “Tancas serradas a muru” la famosissima quartina composta dal poeta cieco, tragicamente scomparso di Macomer, Melchiorre Murenu, straordinario improvvisatore, poco dopo l’entrata in vigore dell’Editto sulle chiudende. Scandisce chiaro, con piglio e fierezza, Stefania: “tancas serradas a muru, a s’afferra, afferra, si su chelu fit in terra, l’haian serradu puru” (tanche chiuse con muro, fatte all’arraffa arraffa, se il cielo fosse in terra, avrebbero recintato pure quello). A buon intenditor poche parole… anzi pochi versi!
La lingua del Viaggio della nostra sardina in continente è armonia è poesia, una esperienza del parlare che evoca l’esperienza di chi ha affidato al teatro la sua voce e la possibilità di interpretare quel viaggio avventuroso che è la vita. Questo, è il grande merito di Stefania Masala: aver vinto la paura a parlare di se stessa, raccontando la storia del suo lungo continuo, ininterrotto, viaggio, dalla Sardegna in Continente, dal Continente al Mondo, un viaggio che l’allontana e la riporta, con mete che sempre cambiano, più impegnative dopo che il suo amato e venerato Maestro non c’è più e le traversate vanno affrontate in solitaria, con la forza e la passione che solo i grandi artisti dimostrano di avere. Come lei.
Un prezioso amuleto sta dentro la sacca della sardina viaggiatrice, un completo da scena che Antonio Marras, stilista algherese di gusto e fama internazionale, ha pensato e confezionato apposta per lei. Un bellissimo abito di foggia maschile, che rende ancor più bella la figura e la visibilità dell’attrice. Un’accurata lavorazione in nero con bianca camicia artigianale che sbuca dal corpetto (come nei costumi sardi) realizzata con la sapienza “de sos mastros de pannos” (dei maestri sarti) che reinterpretano modernamente codici e rifiniture legate alla tradizione locale e simbolo di quella elegantissima austerità che sa trasformare in uno morbido smoking il vecchio ruvido identitario completo di orbace.
Il Viaggio in Sardegna è stato ospitato per le prove e l’allestimento presso la sede del Gremio dei Sardi di Roma, la prestigiosa e storica Associazione della Comunità sarda nell’eterna Capitale, ha debuttato a Londra il 3 novembre di quest’anno al Toulouse Lautrec Jazz Club della City, per tornare, per l’appunto, a Roma in via Aldovrandi il 4 dicembre. Il testo dello spettacolo, insieme alle musiche originali, con la traduzione in inglese è stato pubblicato dalla casa editrice canadese “Les produtions d’Oz’’.
Uno spettacolo eccezionale, da non perdere, che sarà replicato in alcuni teatri di Roma, in Sardegna e in giro per l’Italia.
Grazie TOTTUS IN PARI e Luisa Saba !
Brava
Grande Stefania❤️
Ci abbiamo visto.giusto Stefania. I prossimi passi saranno ancora più eclatanti.
Gradissima 🍷🐟
Brava Cuginaaaa..