di ANNALISA ATZORI
“Notte de chelu es custa d’ogni sinu de allegria si sentit bundare, ca in sa grotta es nadu su Bambinu dae s’inferru pro nos liberare. Es nadu, es nadu…” (Notte celeste è questa, ogni cuore si sente abbondare di allegria perché nella grotta è nato il Bambino per liberarci. È nato, è nato…)
Con queste parole e lasciandosi trasportare dal suono arcaico delle launeddas di Alessio Masones (19enne, arrivato dal Conservatorio di Cagliari, dove studia pianoforte) la Presidente Francesca Sanna dell’Associazione “Sebastiano Satta” di Verona, introduce agli ospiti in sala l’argomento della serata, il Presepe, per proiettarci nel clima natalizio, nel tempo dell’attesa, delle emozioni, rievocando tradizioni e ricordi legati alla nostra Sardegna.
Gli ospiti e relatori dell’evento sono Don Antonio Scattolini (delegato vescovile per la Pastorale dell’Arte) e Suor Maria Grazia Papola (docente alla facoltà teologica di Milano e all’Istituto di Scienze Religiose S. Pietro Martire di Verona), nativa di Nuoro e biblista di fama nazionale. Il loro obiettivo è far riflettere sul Mistero del Natale commentando i principali personaggi del Presepio sia nella parte artistica (Don Antonio), sia nella parte evangelica (Suor M. Grazia).
Don Antonio spiega che l’atteggiamento fondamentale per guardare il Presepe è quello del pastore accorso ad ammirare il Bambino, che non porta doni ma resta a bocca aperta, estasiato per lo stupore davanti al mistero della nascita del Bambino.
La storia ci insegna che già per gli etruschi e poi per i latini esisteva in dicembre la festa sigillaria, durante la quale si era soliti utilizzare delle statuine e dare doni ai bambini. Troviamo le prime immagini legate alla Natività nelle catacombe (sec. III). La prima rappresentazione della Natività risale al 1223. E’ stata voluta da San Francesco, nel borgo di Greccio (Rieti). Era il primo presepe vivente della storia. Invece, il primo gruppo scultoreo raffigurante la Natività è opera di Arnolfo di Cambio (1290) e si trova presso la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, dove sarebbe custodita anche la vera mangiatoia di Betlemme. Altri pezzi importanti della storia della rappresentazione della Natività sono il presepe ligneo di Pietro e Giovanni Alemanno (1478) e la “Madonna della pappa” di Guido Mazzoni, in terracotta policroma (1480-1485).
Il Presepe napoletano moderno, che entra nelle case private e non più solo nelle Chiese, è invenzione di San Gaetano da Thiene (sec. XVI). E’ caratterizzato dalla partecipazione amorosa, come quella dei bambini, dallo stupore della meraviglia. Il Presepe napoletano porta il popolo dentro il Presepe, si rivolge all’intelletto e all’affettività. Rappresenta l’incontro di Dio con l’uomo, la terra, la natura, gli animali. Il Natale è di tutti, non solo di chi partecipa alla comunità religiosa. E’ dei credenti e dei non credenti. “Visitare” un presepe è questione di fede, di arte, di storia, di cultura.
Suor M. Grazia spiega che i riferimenti evangelici alla Natività sono da ricercarsi in Luca (2, 1-20) dove è sottolineata la presenza dei pastori e in Matteo (2, 1-12) che racconta della Stella e dei Magi.
Cosa osservare in un Presepe per poterlo comprendere veramente?
L’ambientazione: siamo a Betlemme di Giudea, in Palestina, a pochi km dalla ben più importante e famosa Gerusalemme. Paesaggio collinoso, a ridosso del deserto, ricco di tamerici e palme da dattero. Il clima in inverno è freddo e piovoso. Gesù è nato ebreo, abitante di una provincia remota occupata dai Romani: si realizza qualcosa di meraviglioso che è per tutti, partendo da un posto marginale.
Gerusalemme e Erode (castello): luogo di contrapposizione, secondo il vangelo di Matteo i Magi come prima cosa vanno al castello di Erode per cercare il Bambino. Il castello nel presepe è l’evocazione della strage degli innocenti, della minaccia che incombe sulla vita del Bambino. I pastori accolgono Gesù, il potere lo rifiuta.
Tempo di Cesare Augusto (i ruderi): è un’epoca difficile per quella regione geografica, un tempo di personaggi ambigui e violenti. Il Figlio di Dio nasce proprio in quel contesto storico, per avere cura di tutti noi.
La notte: nelle Scritture, la notte è il simbolo della paura, della guerra, della morte, del pericolo. La manifestazione di Dio avviene nella notte, come una luce folgorante. La Luce venuta per noi, per donare speranza, per darci la possibilità di distinguere, di non sentirsi più minacciati, è un cambio radicale e improvviso. Dio si offre come luce che squarcia il buio.
Stalla/mangiatoia oppure grotta: la più corretta da un punto di vista storico è la stalla. Le case a quel tempo erano costruite su due piani, al piano superiore si mangiava e si dormiva, al piano inferiore c’erano anche gli animali, era una sorta di magazzino/stalla/luogo di servizio. “Non c’era posto per loro…” si intende che non c’era posto al piano di sopra, quindi Giuseppe e Maria si accontentano del piano di sotto, dove sono anche gli animali. La grotta invece è un simbolo, evoca il grembo materno, l’utero, la nascita. E’ un riferimento al profeta Elia, che incontra Dio uscito dalla grotta. La grotta richiama anche il Sepolcro.
Angeli e Cori Celesti: nel Vangelo di Luca appaiono come annunciatori, come messaggeri. Gli Angeli accompagnano i racconti dell’infanzia di Gesù. Portano la buona notizia da parte di Dio. Sono compagni di viaggio degli uomini, una presenza benevola a nome di Dio.
La stella: è un richiamo all’antica profezia (Libro dei Numeri, 22, 15-17). Le stelle sono punti di riferimento legati a Dio. Segno di benevolenza.
I pastori: al tempo di Gesù, erano degli emarginati, che per il loro lavoro non potevano praticare il culto. La parola del Vangelo è rivolta a tutti, anche a chi è ai margini, a chi non rispetta le regole.
Il gregge, le pecore: simboleggia il popolo di Dio, accompagnati, guidati, alla ricerca del pascolo. Chi ha bisogno di cure.
I Magi: sono simbolicamente tre, come i doni che portavano. I loro diversi tratti somatici rappresentano l’Europa, l’Asia e l’Africa. Sono dei sapienti che vengono da oriente, la rivelazione è per tutti, è per chi cerca la verità.
Il bue e l’asino: essendo animali obbedienti, rappresentano coloro che ascoltano. Sono una presenza positiva e anche che scalda.
Maria e Giuseppe: lui uomo giusto che cerca la verità, che cura le relazioni nella verità (non ripudia Maria, anche se incinta), è sempre in ascolto; lei, capace di ascoltare la Parola fino a generarla, non ha paura di riconoscere ciò che Dio ha creato.
Le fasce: avvolgono il Bambino. Sono un’anticipazione delle bende del Sepolcro. Un preludio della Passione. Il Bambino è destinato a morire.
Il bambino: si offre, senza imporsi. E’ fragile, non prevalica. E’ l’annuncio di una promessa che ci viene fatta. Non è realistico come neonato, con le braccia aperte… piuttosto è un Risorto in miniatura.
Francesca Sanna saluta i due relatori, ringraziandoli per averci fatti riflettere. Soprattutto in questo periodo…l’annuncio, la novità, la salvezza e la speranza sono messaggi molto favorevoli. Per tutti, non solo per i privilegiati.
Alessio torna a suonare le sue launeddas per chiudere la serata e riesce anche a spiegare con parole semplici il fascino di questo antico strumento, così difficile da suonare (ci vuole molto allenamento per praticare quella che si chiama “respirazione circolare”), così particolare nella sua costruzione (la canna più lunga si chiama tumbu, dà la tonalità allo strumento; la canna legata al tumbu si chiama mancosa, accompagna lo strumento; la canna più piccola, mancosedda, è libera ed è quella che fa la melodia) e così evocatore di emozioni ancestrali, antiche come la nostra Terra.