di MICHELA GARAU
Ospite dell’Accademia d’Arte di Cagliari Lorenzo Scano, classe 1993, si è raccontato agli allievi del corso di Editing ed Editoria tenuto da Carmen Salis, che l’hanno intervistato dopo aver letto il suo ultimo romanzo Via Libera (Rizzoli Noir, 2021).
Qual è stata la genesi di ‘Via Libera’? Quando sono stato contattato dalla Rizzoli, stavo scrivendo un altro romanzo noir in cui i protagonisti erano degli adulti. A loro questa idea è piaciuta, ma avendo all’epoca 26 anni, volevano un libro giovane dedicato ai giovani. L’idea vera e propria di Via Libera è nata mentre viaggiavo sul pullman.
Cosa ti ha ispirato nella scrittura del romanzo? A me piacciono gli autori che raccontano la realtà, principalmente scrittori americani. Per capire come funziona il mercato, ultimamente leggo anche molti italiani. Bisogna farsi ispirare quanto più si può e poi riscrivere secondo il proprio stile.
Nello stile ti sei ispirato a Pasolini? No, ho letto poco di Pasolini. Per lo stile mi ha influenzato molto Carlo Castellaneta. In questo romanzo, infatti, ho abusato molto del discorso diretto libero, era il contesto che lo richiedeva.
Com’è nata l’idea di raccontare il quartiere del CEP? È stata una scelta doppia. Innanzitutto è un quartiere cagliaritano poco presente nella narrativa. Inoltre mio zio, che ci ha vissuto, mi ha sempre raccontato tante storie sul CEP. Ma per poter scrivere il romanzo mi ci sono recato tutti i giorni. Per documentarmi intervistavo le persone che incontravo per strada e che sono sempre state disponibili. Solo un’unica volta mi è stato detto di andarmene e così ho fatto.
Quindi il sopralluogo è importante per la stesura di un romanzo? Sì, l’importanza è molteplice. A me piace girare per i quartieri di Cagliari, dove scatto anche molte fotografie, perché vengo colto da atmosfere e suggestioni. Il bar de is amigusu, per esempio, esiste davvero e l’ho frequentato.
In Via Libera è presente l’utilizzo della lingua sarda. Inserirla è stata una tua scelta o una richiesta della casa editrice? È stata una mia scelta e alla casa editrice è piaciuta, era quello che volevano.
Come mai alcuni termini e/o modi di dire in sardo non sono stati tradotti, magari inserendo la traduzione nelle note? Perché quelle non tradotte erano parole ripetute tante volte all’interno del romanzo. Inoltre non sono state inserite le traduzioni in nota perché sarebbero risultate troppo didascaliche.
Come mai l’utilizzo del presente narrativo? È stata una scelta naturale. Il presente narrativo, se lo sai utilizzare bene, rende l’immediatezza e fa girare la pagina.
Ti sei ispirato a persone reali per la creazione dei personaggi? Per alcuni sì, come Marione. Chanel, per certi versi, è un po’ come ero io alla sua età.
Parli della tua scrittura come di un’ossessione. Sì, il pensiero della scrittura o della lettura occupa la mia quotidianità. Scrivo almeno otto ore al giorno, poi alcuni giorni riesco a scrivere di più, altri meno. Però se non scrivo, perché magari devo andare a una presentazione, leggo mentre sono in pullman.
Quando e come hai capito di voler fare lo scrittore di professione? Sono prima di tutto un lettore. Sin da bambino ero attratto da Piccoli Brividi e Stephen King. Il mio primo racconto, infatti, era un horror. Passavo pomeriggi a casa a scrivere, poi lo facevo leggere a mia madre che mi metteva i voti. Ho capito che quello dello scrittore era un vero mestiere ed era quello che volevo diventare.
Com’è cambiata la tua vita? Qualcosa è cambiato, per esempio adesso collaboro con L’Unione Sarda. Inoltre cambiano le conoscenze, soprattutto quelle legate all’editoria.
Quello del ghost writer è un altro lavoro legato alla scrittura e all’editoria. Lo faresti mai? No, non lo farei mai, anche per mancanza di tempo. Ma soprattutto perché so quali sono i miei limiti e so cosa sono capace di scrivere.
Scriveresti un libro a quattro mani? Non saprei, ci ho provato, ma non si è concluso nulla. Sono molto totalitario nella mia scrittura.
Brava Michela