di IRENE BOSU
Ci sono storie che meritano di essere raccontate. Ci sono poi storie che per la loro importanza meritano di essere regalate, perché devono essere conosciute da tutti. Ed è proprio questo che fa Christian Deiola, ricercatore e collaboratore dello Spazio Ilisso di Nuoro: attraverso FocusSardegna dona ai lettori la sua ricerca inedita sull’origine de La madre di Grazia Deledda, nel giorno in cui si celebra il centocinquantesimo anniversario dalla sua nascita, avvenuta il 27 settembre 1871, a Nuoro e registrata in Comune il giorno successivo.
Grazie ai suoi studi, Deiola ha individuato un aspetto non conosciuto di Grazia Deledda, di Lollove e di una leggenda che si era sempre pensato aver radici incerte e che invece ha contorni molto chiari, documentati. Radici forti che ci parlano di fatti realmente accaduti, di donne e uomini in carne ed ossa, protagonisti di eventi raccontati dalla scrittrice premio Nobel ne La madre. Deiola scopre che dietro questo romanzo immortale non c’è una storia inventata ma uno studio attento di documenti storici trasformati in un raffinato intreccio narrativo.
Ma andiamo con ordine.
La Madre di Grazia Deledda, com’è noto, è ambientato a Lollove. Il paese viene denominato “Aar” in tutto il racconto. Al tempo della sua pubblicazione (tra il 1919 e il 1920), il rimando era chiarissimo sia ai lettori di Nuoro che a quelli della sua frazione ma con il passare del tempo i riferimenti si sono persi, forse dimenticati intenzionalmente, rimanendo solo poche analogie a suggerirli. Tra questi il fatto che uno dei personaggi del romanzo, la madre del protagonista appunto, si chiami Maria Maddalena, così come la santa alla quale è intitolata la chiesa del borgo. La Madre è un romanzo di fede e di peccato, prostrazione e letizia, timori taciuti e passioni che irrompono incontrollate.
Facciamo un salto temporale e arriviamo al 2005, anno in cui è stato pubblicato il saggio Fui Rettore Satta Musio, biografia del parroco di Orune ucciso nel 1873, frutto delle ricerche di don Francesco Mariani, sociologo e giornalista, direttore del periodico diocesano L’Ortobene.
Tra i numerosi episodi narrati nella biografia uno è marginale rispetto alla figura del protagonista Satta Musio, ma non è tale per la storia recente della frazione nuorese. Si tratta della vicenda del caso del parroco di Lollove, Giovanni Pintori Nieddu. A suo carico ci furono delle dure accuse che lo videro implicato in un processo canonico che si svolse esattamente all‘interno della chiesa di Santa Maria Maddalena, ed è proprio qui che i testimoni furono ascoltati. I fatti narrati nel saggio sono tutti verificabili, estratti dal faldone numero 131 dell’archivio della Curia Vescovile di Nuoro e risalgono al 1873, due anni dopo la nascita della Deledda.
Tutto ha inizio da una ricerca di Deiola per il progetto “Santa Maria Maddalena di Lollove” (bando culture LAB Mousikè Nuoro). Ciò che ha portato alla luce i fatti appena descritti, deriva dalla contemporaneità della lettura del saggio di don Mariani con il romanzo della Nobel. Insomma, un tempismo perfetto. E, ad un secolo di distanza dalla pubblicazione de La Madre, l’analisi comparativa effettuata dal ricercatore tra il romanzo deleddiano con alcune pagine del saggio (171-72), ha fatto emergere dei riferimenti puntuali e storici che fanno luce sulla sua genesi.
«Andare a ritroso, alla ricerca dell’origine di una delle opere più riuscite della Deledda — afferma Deiola — è come fare esperienza, per qualche istante, dei meccanismi mentali all’interno della mente di un premio Nobel».
I riferimenti alla vicenda processuale sono talmente precisi e circostanziati da indurre a pensare che l’autrice abbia avuto accesso diretto alle carte. Infatti, emerge sorprendentemente una forte somiglianza, sia fisica che caratteriale, tra il parroco Giovanni Pintori Nieddu e l’antico parroco del romanzo.
Quelle che seguono sono solo alcune delle trascrizioni di alcune delle testimonianze saggio Fui Rettore Satta Musio
“È eccessivo sia nel vino che nella lingua”,
Il parroco è: “uomo inconsolabile per la sua superbia, arroganza tracotanza.
Certifica però di averlo veduto entro il paese secolarmente vestito, ed armato di fucile nel ritornare in campagna, come anche in un chiusetto sull’orlo del villaggio zappare le fave.
Gioca alle carte e beve smoderatamente alle bettole senza alcun riguardo al Carattere Sacerdotale (…) che ubriaco sia stato portato processionalmente cantando…
Quella che segue è invece la trascrizione del passaggio nel quale c’è la prima menzione, per bocca della protagonista, nel romanzo La madre del personaggio identificato con l’appellativo de “l’antico parroco”:
Gli dirò “Monsignore, lei sa che la parrocchia di Aar oltre all’essere la più povera del Regno, è colpita di maledizione. Per quasi cento anni è stata senza parroco e gli abitanti s’erano dimenticati di Dio, poi ce ne andò uno finalmente, di parroco, ma Monsignore sa che uomo fu quello. Buono e santo fino ai cinquant’anni: riedificò la parrocchia e la chiesa, fece costruire un ponte sul fiume, a spese sue: e andava a caccia e faceva vita comune coi pastori e i cacciatori. D’un tratto cambiò.
Divenne cattivo come il diavolo. Faceva stregonerie. Cominciò a bere, diventò prepotente e manesco. Fumava la pipa, bestemmiava e sedere per terra a giocare le carte coi peggiori mascalzoni del paese: che perciò lo amavano e lo proteggevano; mentre gli altri lo rispettavano appunto per questo.
E dicono che la celebrasse ubriaco.
Però i superstiziosi dicevano bene: malanno incoglierà al nuovo parroco perché lo spirito dell’altro regna ancora nella parrocchia. Alcuni dicono che non è neppure morto; che vive qui in una abitazione sotterranea comunicante col fiume. Dico la verità, io non ho mai creduto a queste cose, né mai ho sentito rumori. Sette anni siamo qui, col mio Paulo, come in un piccolo convento. Fino a qualche tempo fa Paulo viveva ancora come un bambino (…)
«Il confronto tra i due testi — sottolinea ancora il ricercatore — rende esplicito che Grazia Deledda ha utilizzato le fondamenta eccellenti della storia di Giovanni Pintori Nieddu per sviluppare il suo intreccio. La parola “intreccio” è quanto mai pertinente nel caso della Deledda perché ricorda molto da vicino l’operazione alla quale lavoravano le donne sarde durante la tessitura: dal mondo pastorale arrivava una matassa di lana informe, sporca di un anno di vita delle pecore, maleodorante. Le donne prendevano questa materia, la lavavano, la cardavano, la filavano e la trasformavano in tessuti dentro i quali inserivano disegni e linguaggi. Questo ha fatto la Deledda: ha preso un fatto di cronaca senza forma e l’ha trasfigurato, l’ha sublimato, fino a farlo diventare opera d’arte. Giovanni Pintori Nieddu diventa l’antico parroco. Nella finzione letteraria il suo personaggio non ha un nome proprio. Forse la Deledda ha omesso persino di inventare uno a sua tutela»
La figura de l’antico parroco è solo in apparenza un personaggio minore, in realtà è il più strategico e fondamentale per lo sviluppo dell’intreccio: è a seguito della maledizione della quale anche lui è vittima che ha origine, significato e senso l’intera storia. Il confronto tra il materiale processuale e la sua traduzione letteraria compiuta da Deiola è molto utile perché ci fa scoprire il processo creativo che ha vissuto la Deledda nella stesura di questo romanzo, ma verosimilmente anche di altri dei quali ancora non è emersa la sorgente.
Deiola con questo suo lavoro getta una nuova luce sul modo di scrivere di Grazia Deledda e pone le basi per un nuovo filone di ricerca: ricercare, capire se anche in altre opere la Nobel nuorese abbia attinto a vicende realmente accadute. Sarebbe il modo migliore per celebrare questo anno deleddiano.