di CARMEN SALIS
Rita Murgia, sarda ma milanese d’adozione, ha presentato a Capoterra, suo paese d’origine, il secondo romanzo.
Dopo Un giro di Jack (2018 – Ediz. Amicolibro), ecco che ci regala un romanzo dove, nella stessa storia raccontata da due punti di vista diversi, i personaggi si specchiano nella realtà riflettendo verità e introspezioni sincere, inuna Milano frenetica e piena di vita.
Dual Sim (Ediz. Amicolibro), stupisce e appassiona, come se anche noi fossimo protagonisti e non solo spettatori.
Rita, Artemide e Marte chi sono? Potremmo essere noi umili umani che, a differenza degli dei dell’Olimpo, siamo esseri affascinanti e drammatici poiché abbiamo il coraggio di affrontare la vita da mortali. Artemide e Marte si sono affacciati nella mia mente con prepotenza forse giungendo dal subconscio e mi hanno spinto a creare per loro un sottotitolo al romanzo Dual SIM. Inizialmente mi chiedevo perché proprio Artemide e Marte e non Venere e Apollo… anche perché, diciamocelo, queste due divinità greche non si sono mai incontrate nel mito perché non hanno nulla da spartire l’una con l’altra. Poi mi sono imbattuta per caso nei libri della Bolen, psicologa junghiana, e ho capito che niente arriva per caso. Artemide era un modello nel quale ritrovavo parti di me e Marte (badate bene non il suo corrispettivo dio greco: non Ares) aveva qualcosa di mio marito Marco. Consiglio a tutti di cercare il proprio archetipo: aiuta a conoscere meglio se stessi.
Un esperimento ben riuscito, quello di utilizzare due punti di vista diversi. Dopo aver pubblicato – grazie ad Amicolibro – Un giro di Jack, la sfida era quella di scrivere qualcosa di diverso che comunque non tradisse me stessa e la tipologia di racconto che mi piace proporre. Volevo provare a scrivere un romanzo strutturato in atti, che seguisse regole cronologiche ferree e mi costringesse a utilizzare due registri lessicali molto differenti per rendere in maniera veritiera due diverse voci narranti. La dualità, la presenza di racconti che seguono distintamente ognuno la propria strada, oltre che donare profondità alla storia, rispecchiala normalità del quotidiano in cui accadono tanti fatti contemporaneamente. Ebbene, questi fatti a volte molto distanti da noi potrebbero in maniera imprevedibile, lambirci in qualche modo.
Tutto si svolge in una Milano che ti ha adottato, ma anche la tua Sardegna ha la sua luce in questa storia. La Sardegna ha una luce dentro di me: penso proprio che la parte di me che sorride e splende sia la parte sarda. Mi è piaciuto anche stavolta ambientare tratti del romanzo a Capoterra: Milano e Capoterra diverse per numero di abitanti, per stile di vita, per i colori; anche in questo caso emerge la dualità. E poi Capoterra per me è il luogo dove vivono ancora i miei genitori, zia Tina e zia Tore (cui dedico sempre un cammeo), dove riposano i miei ricordi d’infanzia… ad esempio il cinema di mia zia ma anche quelli della prima infatuazione giovanile.
L’amore è solo quello che si può raccontare o anche altro? L’amore è solo quello che si prova… e a volte non si è in grado di raccontarlo. Dal romanzo spero trapeli la sensazione di un caldo abbraccio di amici, l’amore genitoriale, l’amore e la passione per il lavoro che si svolge, per la città che lasci e per quella che trovi, per qualcuno che incontri e a cui starai vicina e per qualcuno che magari non c’è più ma che ricorderai.
Sei un avvocato affermato, scrivere è un bel sogno che ti vizia? Scrivere è sempre molto bello quando si pensa di sapere cosa dire: vale per un’argomentazione giuridica che poi ti fa vincere la causa e per un romanzo con il quale evadi dal presente. Dual SIM è stato scritto in parte durante la Pandemia: dopo i primi giorni di stupore trascorsi davanti alla televisione per documentarmi e capire cosa stava succedendo, mi sono ripresa dallo stordimento e mi è parso naturale rifugiarmi nella scrittura. Insieme alla rassegnazione per un presente inevitabile che ci stava travolgendo provavo la sensazione confortante di trascorrere il mio tempo senza distanziamento alcuno dai personaggi del romanzo che via via prendevano forma una riga dopo l’altra. Ero in compagnia dei miei amici (Giovanna, Chiara, Nicoletta e tutti i ragazzi del Cape Town Cafè) e del mio computer e non importava più il dove e il come.