“SA PITIRIACCA ‘E SA VIDA” IL SENTIERO DELLA VITA NELLE POESIE DI DON PEPPINO LINTAS

don Peppino Lintas

di TONINO OPPES

Le sue prediche in sardo sono sempre affollatissime. Pacato, voce soave che libera il suo bel logudorese semplice, don Peppino Lintas spiega a fedeli di ogni età i passi del Vangelo soprattutto in occasione delle grandi feste che si celebrano in onore della Madonna.

Originario di Giave, da anni parroco di Cossoine, oltre cinquant’anni di sacerdozio alle spalle, ha svolto la sua missione in numerosi centri del Logudoro dove è ricordato con affetto anche per il suo costante impegno per il sociale.

Ha curato oratori, diretto cori polifonici, fatto parte di giurie istituite per premi di poesia in lingua sarda e non disdegna di scrivere egli stesso.

La sua ultima raccolta Sa Pitiriacca ‘e sa vida è un insieme di versi e di contos de foghile.

Sfogliamo rapidamente Il sentiero della vita (che è spesso ricoperto di rovi) per scoprire che il volume, Sprint editrice Sassari, custodisce un grande messaggio: l’uomo che si incammina da solo, che si nasconde ed è geloso del proprio sapere, è un uomo perso. Nessuno può e deve restare da solo.

Le poesie di don Peppino Lintas affrontano i grandi temi della vita, quelli dell’uomo solo e della comunità: il primo pensiero è dedicato a su fizu emigrante, poi lo sguardo si tende verso la luna candida con la domanda: narami pruite semus sempre in gherra?

Ecco l’omaggio a San Francesco; riaffiorano volti e luoghi, le tante speranze, i ricordi lontani: nessuno può dimenticare sa janna e domo, ovvero la porta di casa quella che ognuno di noi ha varcato, tra timori e speranze, per incamminarsi nel sentiero della vita ed esplorare il mondo. Perché in fondo questo suggerisce sa vida cumpagna de caminu impedradu sempre nou… ma cun amore e ispera, intro su coro, sa vida restat lughe.

E come ogni poeta che guarda verso il mondo, e non vive solo di nostalgia, Peppino Lintas sa bene che non si può tacere di fronte ai grandi drammi dell’umanità, e allora ecco i versi dedicati alle genti di Paesi lontani: India, Vietnam, Cambogia dove guerre e fame hanno lasciato segni profondi.

A chiudere i contos de foghile e, tra questi, non può certamente mancare un riferimento a Sas fadas de pedra mendalza, la più nota leggenda di Giave che, come quella di Monte Oe, aPozzomaggiore, o quella di Mamuscone, a Cossoine, ha accompagnato la crescita di generazioni di uomini del Meilogu. Che non possono dimenticare.

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Un commento

  1. Caru don Peppina,
    spero chi ty’ammenbtes de me : siLuzianu Carta de Bolotana e nos semus connòschidos sessant’annos como.
    Mi ceppo cumplimentare cu tegus pro su fatto chi usa su logudorèsu nostra pure in sas prèigas: Eo iscrìo e die paga, non pro voluntàde mia, ma de sa famiglia, est istàdu prubbicadu su libero “Cola die ‘ona”, inde bi est sa curridpondentzia mia cun d’una carissimo amigu, mèigu in Tattari, che Deus si che Hat leàdu pazze annos comò. Tra paga spero de poter pubblicare su essicca bolotaèsu, chi che happo finìdu die paga. Si mi manda sa e-mail tua ti cj poto impedire cerchi cosa, gai, dando tennis cerchi minuti ‘e tempus die sos impinnos de su ministeri, podestà lezzare cerchi cosittèddha. Salùdos caro.
    Cola die ‘ona
    Lughiànu Carta

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