LA POESIA “PRO SOS CHIMBANT’ANNOS DE SU TITULU ITALIANU DE PUGILATO BINCHIDU DAE MARIO SANNA SU 18.08.1971”

poesia di GIUSEPPE FLORE; commento di GIANRAIMONDO FARINA

Vi e’ una dimensione profondamente familiare in questa bellissima e toccante poesia scritta per l’occasione dal caro Peppe Flore in ricordo dei 50 anni dal conseguimento del titolo nazionale professionistico di pugilato, sezione leggeri jr, dal nostro grande Mario Sanna “Mirello”. Un “incipit” familiare che si puo’ ben notare gia’ nella prima, bellissima, ed originale strofa. Ed il riferimento, in questo caso, allo zio di Peppe, il grande poeta Nicolino Pianu, e’ esplicito. Nella “casa della poesia”  dove lui (Nicolino) teneva le cose piu’ care , nascoste in un cassetto del tavolo, vi era, ben conservata,   una foto di ‘Mirello’ con la sua dedica, che ancora si leggeva (“In sa domo ‘e  sa poesia, ue teniat sas cosas, cosas regollidas (…) in unu cassetteddu sutta ‘e mesa, chin una dedica chi ancora si lezziada, mi est bennida in manu una fotografia”). Molto emblematica e bella  questa immagine della “Casa della poesia” ( ” Sa domo de sa poesia”) che e’ il luogo, primo del suo lavoro (era una ex macelleria) , poi appositamente trasformato dal grande Nicolino in luogo di cultura, in cui vi sono raccolti i libri di storia locale e sarda. Un luogo, per chi ama la cultura, che e’ anche, e soprattutto, un ‘luogo dell’anima’.

Da questo intimo quadro familiare, legato profondamente alla “casa della poesia”  anelese , che era di Nicolino, Peppe prende, poi, spunto per descrivere tutta la vita e l’ascesa sportiva ed umana di questo nostro compaesano.

A partire dal nome: Mario Sanna per gli amici “continentali”, “Mirello” per gli anelesi. E la sua e’ subito, fin dalla giovane eta’, una storia di emigrazione e di distacco. Una storia alla ricerca di speranza e fortuna (“movidu piseddu dae s’isola amena,  in chirca e bona sorte in terra anzena”). La terza strofa e’, un po’, il simbolo del componimento: in essa vi e’ la sofferenza del distacco di ‘Mirello’ dalla sua Anela, con il cuore palpitante (“lassende affettos chin su coro a toccheddu”) e la speranza di un futuro migliore, ben illustrata dall’immagine simbolica del treno. Il treno dell’emigrazione che, in questo caso, per noi sardi, e’ la nave. Il treno, immagine della speranza (” su trenu ‘e s’ispera”), che ritornera’ nella strofa finale. E non puo’ non essere piu’ puntuale il riferimento che Peppe fa al nostro grande Nicolino Pianu, in un certo senso “ispiratore” di questa poesia. 

Nicolino, inteso come il poeta di Anela (“su poeta de Anela”) che tanto, nei suoi versi immortali, aveva cantato di emigrazione  e che dell’emigrato ne ricorda perfino il parlare, la voce, talmente era alta la sua sensibilita’ al tema (basti leggere i profondi versi di “Sarda Zenia”).

 Una qualita’ che ha fatto grande  “Mirello” , importante per sfondare nel campo della nobile arte del pugilato era il coraggio (“s’ispreme”); quel coraggio che ti porta fino a rischiare, ad osare. E lui, data la sua difficile vita precedente, fatta di lavoro e campagna, di quelle virtu’ ne aveva da vendere. Oltre, naturalmente, a quella dell’onesta’, anch’essa ben messa in evidenza da Peppe (“Piseddu ‘e oro, garrigu ‘e onestade”). Tutte qualita’ e virtu’  che hanno contribuito ad accompagnarlo in tutto il cammino della sua vita, ma che aveva gia’ acquisito nel “focolare” di Anela.  Se, quindi, questa prima parte del comportamento riguarda, un po’, gli aspetti “intimi” e familiari, importanti per la formazione e la tempra del grande campione, con il non indifferente riferimento a Nicolino, la seconda parte, sapientemente costruita da Peppe, e’ un “continuum”, increscendo,  della carriera professionale pugilistica di “Mirello”, tutta fondata sul sacrificio e sul buon cuore: dalle prime affermazioni “italiane”nei novizi, al “guanto d’oro” , alla partecipazione alle Olimpiadi di Citta’ del Messico  del 1968, lui, anelese, figlio di pastori (“Chin sarcrifizios, triballu e bonu coro, de sos novizios a bestidu su tricolore. Su sessant’otto su guantu ‘e oro e in Messico de Olimpia s’isplendore”). Successi preliminari alla mitica notte di Castrovillari del 18 agosto 1971, di 50 anni fa’,  quella in cui Mirello si consacrera’  campione italiano professionisti per i pesi leggeri jr, portando Anela sul tetto dell’Italia pugilistica. Una notte memorabile in cui ha scritto veramente la storia.  Peppe tende sottolineare come un tale evento sia stato veramente eccezionale: dall’essere figlio di umile gente al diventare campione italiano nella sua prova piu’ grande, coronandosi di merito e gloria  (“Ma sa proa pius manna l’at fatta su die, cand’at iscritu in unu sero s’istoria, campione italianu de umile zente”). Le successive strofe, ben strutturate, sono una bellissima, toccante e coinvolgente rievocazione di quello  che  Mirello provava quella notte agostana di 50 anni fa e di come il suo amato  e lontano paese, allora, aveva vissuto il suo trionfo. Da un lato il Mirello “guerriero”, come i grandi lottatori nuragici, a simboleggiare anche la forte e radicata tradizione sarda del pugilato. Dall’alltro, Anela, un paese interamente coinvolto nell’euforia collettiva, ammantato dal tricolore, a seguito di una sfida veramente provante, combattuta e vinta contro il valido Ugo Poli dopo dodici lunghe ed estenuanti riprese (“Si l’at chin bratzos e mente, si l’at gherradu su tricolore. A bestidu sa idda e tottu sa zente…chin sos tres colores”). Il finale e’ un ricordo di un momento felice, magistralmente immortalato dal nostro Peppe in una magica, stellata, notte estiva che sembrava non finire mai, in cui perfino le stelle davano l’impressione di voler partecipare al trionfo del campione anelese emigrato (“Ancora oe in bidda t’ammentana, ammentana su notte e ammentana su die cando, allegru Austu  dae chelu, mandaiat isteddos pro festare a tie”). Un campione che, emigrato pastore, con grande senso di riscatto, ha sfidato la vita, prendendo, con determinazione, in mano, il proprio destino ed “imbarcandosi” con successo nel gia’ ricordato “treno della speranza” (“(…) imbarcadu piseddu dae sa idda ‘e Anela, imbarcadu piseddu in su trenu ‘e s’ispera”.  

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Un commento

  1. Per me leggere questi versi è stata una grande emozione. Sembra che. Pepe abbia Leto dentro il mio io. La mia anima.., che racconta i miei pensieri e le mie emozioni vissute spece nei primi anni dell’emigrazione. Col distacco dalla terra natia dalle mie abitudini dai parenti e amici e sopratutto dai miei zii. Ed è stata una guerra interiore per dimostrare le mie capacità fisiche e mentali… Grazie a. Pepe e a. Gianraimondo per aver ricordato questo bellissimo evento che in qualche modo ha segnato la mia vita…

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