di GIOVANNI CARTA
La vicenda che voglio raccontarti è una storia di emigrazione, simile a tante altre di questa nostra bella Sardegna, ma è al tempo stesso la storia dei sogni di tanti giovani di ieri e di oggi che con una valigia in mano lasciano con dolore la casa che li ha visti nascere e che li vede partire
forse senza vederli tornare più. È anche la storia umana, tenerissima e dolce di due cuori che si incontrano, entrambi lontani dalle proprie case, trovando nell’amore la forza di credere nel futuro unendo le loro speranze ed i loro sogni. E’, alla fine , la storia della mia famiglia, la mia storia, che racconto per la prima volta, quasi a voler inviare a loro, che non sono più, in un simbolico abbraccio un pensiero di affetto infinito !
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Nel 1948 ad Alghero mio babbo Antonio Carta, ritornato da poco dalla prigionia patita dopo la seconda guerra mondiale è alla ricerca infruttuosa di un lavoro stabile.
Nato nel dicembre 1923 in una famiglia di ferrovieri, terzo di cinque figli, studia a Sassari dove frequenta le Scuole Medie.
A diciassette anni, dopo l’inizio del secondo conflitto mondiale, si arruola volontario nell’Esercito dove viene incorporato nell’Artiglieria Corazzata , specialità Carristi. Inviato nella spedizione Italiana di oltremare prende parte alla campagna militare in Africa Occidentale, riesce a evitare per puro caso la grande tragedia di El Alamein. Nel corso della campagna di Sicilia viene fatto prigioniero dagli Inglesi ed internato in un campo di prigionia. Dopo la liberazione, ritornato in Sardegna, bussa a tante porte alla ricerca di un lavoro che non c’è, solo occupazioni precarie e mal retribuite per un giovane di 24 anni con tante speranze e in tasca un diploma di autista/meccanico motorista.
La frustrazione, le fatiche inutili in una terra lo spingono a lasciare la sua Alghero, tra le lacrime della mamma, del babbo e della più piccola delle sorelle, di appena tredici anni.
Ma ora, come usano fare i romanzieri affermati, cambiamo scenario: a Biella, una città del Piemonte che nel dopoguerra sta vivendo un periodo di intenso sviluppo economico, sono molti gli emigrati dalla Sardegna, (negli anni 50 e 60 saranno poi anche molte comunità ad emigrare verso il capoluogo laniero dai paesi del Veneto e dell’Italia meridionale). La fama di serietà e di laboriosità delle genti Sarde è una garanzia di assoluta fiducia per le famiglie storiche della città, si pensi ad esempio alla grande famiglia dei Sella, dei Mosca ed altre che proprio nell’Isola hanno impiantato fiorenti aziende agricole e vitivinicole. A Biella appunto lavora come domestica e custode della grande casa padronale un “zia” di nome Maria, seconda cugina del babbo di Antonio, sposata con un altro Antonio, Antonio Basso, giardiniere e fac-totum della casa, emigrato pure lui dalle Langhe, altra terra afflitta in quegli anni da una cronica carenza di lavoro !
Ed è a questa “zia” che, dopo lunghi contatti epistolari (allora non esistevano i cellulari ed il telefono era ancora un oggetto di lusso riservato a pochissimi !) Antonio si rivolge chiedendo aiuto, aiuto che quasi inaspettatamente arriva dopo breve tempo: un’importante famiglia biellese cerca una persona di fiducia, giovane, con patente da autista e buone capacità da meccanico.
Si tratta della storica famiglia Trossi, il cui rappresentante più famoso è il conte Carlo Felice Trossi, con alle spalle un passato sportivo di altissimo livello, (Trossi insieme con Varzi e Vimille negli anni ‘30 e ‘40 hanno formato il più famoso trio di piloti della mitica Alfa Romeo, vincendo innumerevoli corse in Italia e all’estero!). Carlo Felice Trossi malauguratamente è però afflitto da una malattia per la quale soccomberà e che lo costringe a non poter fare a meno di un autista per gli spostamenti suoi e della sua nobile madre. Finalmente una vera occasione! Antonio accetta con entusiasmo e parte per la nuova avventura in terra biellese.
Nel frattempo a Biella, in casa del fratello Antonio Basso e della cognata Maria, provenendo dalla cittadina di Bra nelle Langhe ha trovato ospitalità la sorella minore Maria, anche lei emigrata nella città laniera in cerca di lavoro. Maria trova impiego presso uno studio dentistico cittadino, con la mansione che oggi si definisce come “assistente alla poltrona”, un incarico umile e poco retribuito ma è in ogni modo qualcosa per iniziare. Un’esistenza tranquilla, divisa tra il lavoro e l’aiuto quotidiano nella famiglia del fratello dove crescono due nipotini, con una speranza in un futuro che sembra così lontano e perciò bellissimo.
Ancora non sanno, Maria e Antonio, che il “destino” sta predisponendosi a mettere in scena qualcosa di particolare che cambierà le sorti di due persone e darà modo a chi oggi scrive di lasciare ai suoi eredi il ricordo perenne di un sentimento durato una vita.
E infatti quel giorno Antonio si presenta a Biella all’indirizzo della “zia Maria”, che non conosce di persona, bussa alla loro porta e alla giovane donna che si presenta all’uscio chiede: “ sei tu Maria Basso?” lei risponde di sì. Lei è la vera Maria Basso; ma la cognata Maria, che Antonio cercava, era la Maria Basso che aveva preso il cognome del marito!
Senza accorgersi dell’equivoco Antonio abbraccia e bacia con calore Maria, ma quando alle loro spalle compare la “zia Maria” dei precedenti contatti epistolari spiegando il malinteso, tra la confusione ed il rossore dei due giovani, la reciproca simpatia ha già acceso la scintilla che presto si trasformerà in quell’amore che solo la morte di mamma Maria interromperà.
Dopo un breve fidanzamento Antonio e Maria nel 1950 si sposano a Biella e nello stesso anno nasce il figlio Giovanni che oggi con rinnovata commozione ricorda questa storia della sua famiglia.
Per lunghi anni Antonio svolge il lavoro di meccanico e di autista di auto e di pullman, mentre Maria lavora a servizio di importanti famiglie biellesi. Antonio però ha sempre nel cuore la sua amata Sardegna che con grande rimpianto ha dovuto lasciare per cercare di realizzare i sogni della vita! In questi anni sono innumerevoli le volte in cui ritornerà ad Alghero con Maria ed il figlio piccolo al quale far conoscere la sua famiglia di origine e la terra natia. Non è dunque per caso che l’amore e l’attaccamento alla Sardegna alle sue tradizioni ed alla sua gente si siano radicati con tanta forza nell’animo di chi scrive.
A metà degli anni 60, dopo tanto girovagare per l’Italia, decide di fermarsi e cambia attività : infatti apre un bar- degustazione nel rione San Paolo a Biella. Sempre affezionato alle tradizioni isolane inizia a far arrivare per la sua clientela, sarda e non, i prodotti tipici dell’isola: vini, formaggi dolci, molti prodotti dell’artigianato sardo e l’immancabile “pane carasau”.
Il bar di Antonio Carta diventa così ben presto il luogo dove amano ritrovarsi i Sardi che a Biella vivono e lavorano e dove hanno dato vita ad una colonia laboriosa ed unita nella cultura della tradizione e dei costumi di Sardegna.
Nei primi anni settanta, il 28 maggio 1974, un male tremendo si porta via l’amata Maria, e questo duro colpo segnerà in maniera indelebile la vita del figlio tanto desiderato e di Antonio.
Qualche anno dopo, verso la fine degli anni settanta, un gruppo di Sardi si riunisce proprio nel bar di sua proprietà per realizzare il desiderio, lungamente e fortemente voluto, di dare vita ad un’organizzazione che consenta loro di perpetuare e di diffondere in terra Biellese la cultura e le tradizioni dell’amata Sardegna. È questa la prima Sede di quello che diventerà poi l’attuale Circolo Culturale Sardo “Su Nuraghe”.
Seppure tra le difficoltà dell’età avanzata e le sofferenze degli ultimi tempi Antonio ha sempre conservato in cuore l’amore profondo per la sua terra e le sue tradizioni, tradizioni che ha portato e diffuso anche nel Triverese dove ha dimorato negli anni più recenti.
Antonio Carta, Socio Cofondatore del Circolo “Su Nuraghe“ di Biella, si è spento, dopo breve malattia, il 4 maggio del 2011.
Scritto molto bene e con molta enfasi . Complimenti! Grazie e Forza Paris al Circolo Su Nuraghe! Dada Carta.
Semplice, vera e perciò bella la storia tua di zio Tonino e di zia Maria, la conoscevo più o meno così. Grazie di averla condivisa con tutti noi. A nos biere. A mos veure
Tore Riu