di ANNA MARIA TURRA
Come fonte d’ispirazione la terra, le radici profonde nelle tradizioni, nei colori, nei luoghi della sua Sardegna
Barbara Pala, artista poliedrica con lavori senza un reale confine tra moda e arte, rispecchia nelle sue opere sia le proprie origini sia le contaminazioni esterne dalle quali si fa influenzare.
Fashion designer, con un marchio che porta il suo nome, ha trovato nelle forme e nei volumi delle dee madri di Costantino Nivola ispirazione per le camicie, una sorta di mono-prodotto delle sue creazioni declinato con tessuti naturali, lavorati, pieghettati o plissettati. La camicia, protagonista dei suoi lavori, diventa la liaison tra arte e tradizione: gli abiti del folklore, con taglio dei tessuti al vivo e lavorazioni moderne, si trasformano in qualcosa d’altro «Ad alcuni pezzi è stato sufficiente cambiare solo i tessuti – spiega Barbara Pala – perché avessero un aspetto diverso, una modernità estrema. Ci sono camicie, in particolare negli abiti maschili, alle quali è bastato dare la leggerezza del voile di cotone per ottenere un effetto desiderabile e attuale».
Una moda slow fashion dove la stagionalità non segue la tendenza dei grandi brand «La camicia che realizzo oggi si può usare anche il prossimo anno o quello dopo – spiega Barbara – non passa di moda, è un prodotto senza tempo, dinamico e con un’identità propria». Non a caso Endless, cioé “senza tempo”, è una delle tre parole chiave individuate da Barbara Pala per il suo lavoro, insieme a Dynamism che si evolve e Roots, “radici”, e rimanda all’appartenenza. Tutto questo senza dimenticare la sostenibilità e la tracciabilità che oggi sono requisiti fondamentali per la fashion industry.
Barbara Pala crea a Macomer, dove abita, e si fa produrre da Ibp- Idee brand platform che, con la piattaforma digitale Susteinable brand platform, tende a incrementare lo sviluppo sistematico e olistico dei procedimenti di sostenibilità in ambito moda e creatività, consentendo la conoscenza dell’intera filiera produttiva. Le opere di Barbara Pala si trovano nello showroom Tola Tola di via Vallarsa 11, a Milano.
«Fino allo scorso anno ho provato a produrre dalla Sardegna – spiega Barbara – ma è impossibile essere concorrenziali; i prezzi finali raggiungevano cifre importanti impedendoci di essere competitivi».
Nei lavori di Barbara Pala c’è la sua terra ma anche il resto del mondo. C’è il Giappone, che ama profondamente e che si rivela nei tagli e nelle forme delle camicie e poi l’America latina con i suoi colori. Nella linea di illustrazioni, detta Mie donnine tristi, con la quale produce stampe sia su carta che su tela, esiste un intero universo: «Sono donne fiere e coraggiose che hanno imparato l’arte di vivere. Donne che incontro ogni giorno – racconta – che leggo e che ascolto ininterrottamente».
Prendendo ispirazione dalle letture Memorie delle mie puttane tristi, di Gabriel Garcia Marquez, e L’albergo delle donne tristi di Marcela Serrano, i personaggi letterari si trasformano in oggetti-donna per il decoro della casa: ognuno ha una propria storia, differenti gioie e dolori «Mi piace pensare che la loro vita si tramuti in estetica che abbellirà un ambiente o un’altra donna», spiega.
Ma l’artista non smette di creare e, utilizzando gli scarti delle lavorazioni, dà vita a nuove combinazioni tessili che diventano quadri emozionali: i Berbos de tramas, suggestive soluzioni stilistiche che evocano l’energia di una terra in cui la magia è ovunque. «Impossibile non essere un po’ maghe in Sardegna – dice Barbara – Qui cresci con il tipo che cerca l’acqua con il bastoncino, ad esempio. Qui il carnevale è pieno di ritualità magiche. Qui la religione ha coperto molte cose, ma ti resta dentro un senso di “pagano” dal quale non potrai mai più prescindere».
Modernità e antichi retaggi, cultura e fascinazioni ancestrali, determinazione e creatività accompagnano l’opera di una donna il cui interesse verso l’espressione artistica non vuole trovare limiti di categoria né di definizioni: un’artista indipendente tranne che dalle proprie origini. Una creativa rivoluzionaria tranne che per la convinzione che il talento, se esiste, chiede da sempre di essere celebrato.