di MATTEO PORRU
Quando le dicono che è un maschietto, Anna Maria Frau sorride. Non ha una mano da stringere, una bocca da baciare, un uomo da guardare che il neonato, un domani, chiamerà papà. Il nome lo deve scegliere da sola. Anzi, l’ha già scelto. Si chiamerà Angelino. Lo sente piangere, lo vede sorridere, gli conta le dita aprendogli i pugni, pensa alla vita che lo aspetta, che darà il meglio per lui. Ma non riuscirà, Anna Maria, a vederlo grande: la morte la porta via senza rumore e lo fa veloce, due anni più tardi. Le dà solo il tempo di sistemare il bambino, di darlo a una coppia di paese, di Bortigali. Ne avranno cura.
Angelino lavora in campagna e studia per ottenere la licenza elementare. A crescerlo, ci ha già pensato la vita, che lo ha fatto abbastanza possente e agile da fargli passare, con poche difficoltà, le prove e gli esami per entrare nell’Arma. Ma la storia corre in fretta: Angelino ha diciannove anni e sta iniziando il ’41 e servono forze giovani per la campagna di Russia e lui ci va. E torna intero, senza un graffio. Fuori, almeno.
Passato il settembre del ’43, si schiera con l’Esercito di Liberazione Nazionale, ha il sangue partigiano.
La fine della guerra, per Angelino, è una città e la città è Cagliari. Ci vive per poco, qualche mese, il tempo necessario a capire che non fa per lui, a fare un bilancio della sua esistenza da ventitreenne e a lasciare per sempre la divisa. Torna a Bortigali per ricominciare da zero. Fonda una società di produzione alimentare, la SFMS – Panificio e Mulino. E per qualche tempo, la amministra pure. In effetti, il campo gestionale ad Angelino va parecchio a genio: in pochi mesi, gli vengono dati altri due mandati, l’ultimo come presidente della Sezione Comunale Combattenti e Reduci. In pratica, è il primo a dover rimarginare le ferite di guerra. Ma Frau ne ha altre, di ferite, e ben più profonde. E per guarirle, inizia a scrivere e lo fa con assiduità dagli anni Cinquanta. Sia in sardo che in italiano. Sia articoli che poesie.
Studia per mesi la metrica, la grammatica, lo stile e gli schemi. Racconta la cosa più profonda, la più pesante che porta con sé: il dolore per una vita mozzata; per “s’orfania”, – come la definisce lui – il trovarsi solo appena venuto al mondo ed essere figlio di una madre che non ricorda più e di nessun altro: nessuno l’ha mai riconosciuto oltre lei. È proprio A mamma una delle sue poesie più belle e struggenti, insieme a Mudas feridas e Dia cherrer bolare.
Pubblica come giornalista e come poeta su diverse riviste locali, “S’ischiglia” su tutte. Non ha una famiglia. Quindi, la mette su. Sposa Luigia Idilli, mette al mondo quattro figli che sono quattro bocche da sfamare e le acque in cui navigano non sono delle migliori. Fanno la scommessa della vita e si trasferiscono a Forbach, alla ricerca di un nuovo mondo. Angelino Frau ha le spalle larghe e, pur di portare il pane in tavola, lavora come minatore, con turni estenuanti, dopo i quali fa da corrispondente per il consolato italiano di Metz.
La scommessa sembra vinta e nel francese che ha imparato in fretta ci si ritrova. E inizia a scrivere le prime riflessioni e a proporle alle testate del posto. Ma il destino ha un conto in sospeso con Angelino Frau e lo chiude con la stessa amarezza con cui l’ha aperto trentasette anni prima. Un incidente. In macchina. Frau muore sul colpo. Lascia Luigia sola, con quattro figli. Quegli stessi figli che, diventati grandi, raccolgono le poesie del padre e le pubblicano (per Aipsa: “Poesias”, 2013), un atto d’amore immenso sostenuto anche dalla comunità di Bortigali, che Angelino no, non può dimenticarlo. Per dargli la vita che non ha vissuto, il tempo che non ha avuto. E strapparlo al dolore. E regalarlo al domani.