VIAGGIO NELLA TRADIZIONE: OSSI E I SUOI ABITI TIPICI CON L’ASSOCIAZIONE “SANTU BERTULU”

di LUCIA COSSU

Il Logudoro, la regione centro settentrionale della Sardegna, possiede una foggia di abiti tradizionali molto conosciuta e subito riconoscibile grazie alla sobria eleganza e alla preziosità di stoffe e ricami. Le particolari lavorazioni raccontano di mani sapienti, di ricchezza, di un popolo lavoratore e, al contempo, amante delle feste e del bello. Ogni centro del Logudoro esprime, pur nelle similitudini, abiti propri che si differenziano da paese a paese.

Un caratteristico centro logudorese è Ossi, incastonato tra dolci colline e vallate rese fertili dal riu Badde e dal riu Pizzinnu, che, oltre a caratterizzare la regione e a regalare pittoreschi paesaggi, hanno fatto sì che il territorio fosse abitato sin dall’antichità più remota. L’area è punteggiata di monumenti preistorici, quali le necropoli di Mesu ‘e Montes e di s’Adde ‘e Asile. Nel centro abitato troviamo la Chiesa patronale di San Bartolomeo del XVII secolo e il seicentesco palazzo baronale. La cittadina di quasi seimila abitanti ha mantenuto, nonostante la vicinanza con Sassari, che dista solo una decina di km, la parlata logudorese e tradizioni proprie.

Tra queste merita attenzione il ricco abbigliamento storico, che ha permesso ad Ossi di fare bella mostra di sé in tutte le manifestazioni dell’isola, grazie all’impegno e alle attività dei suoi gruppi folk. Antonio Mannu, appassionato di tradizioni popolari e nello specifico della moda vestiaria ossese, ha intuito l’importanza di mostrare in pubblico tutte le tipologie di questo grande patrimonio. Dopo ricerche e studi, nel 2017, ha fondato Ammentos de Ossi-Associazione Culturale Folkloristica Santu Bèrtulu, con la quale ha riportato in auge la grande varietà degli abiti presenti nella sua cittadina natale. La cura del dettaglio e la fedeltà agli usi e alla moda antica animano questo gruppo, che si distingue, in tutte le uscite pubbliche, per la grande compostezza, l’armonia e la bellezza dei singoli partecipanti e del gruppo nel suo insieme. Un colpo d’occhio di colore e raffinatezza. Con Antonio Mannu siamo andati alla scoperta della preziosità e della ricchezza degli abiti ossesi.

I vostri abiti tradizionali sono molto conosciuti, quanto è radicata a Ossi questa tradizione? Ossi, visto con occhi esterni, per la sua ubicazione, può sembrare un paese con poca cultura tradizionale, invece è proprio il contrario. Ha un immenso patrimonio storico e culturale, purtroppo, poco valorizzato. Per quanto riguarda gli abiti tradizionali, in ogni casa si trovano pezzi e abiti interi, molti, non sono stati ancora censiti. L’abito fino al 1970 veniva indossato ancora nei matrimoni o nelle feste paesane; oggi le donne anziane vestono un ibrido di quella foggia tradizionale. Ossi è tra i pochi centri del Coros/Logudoro ad avere questa fortuna. Quando sfiliamo in processione in paese, ti senti gli occhi puntati, che ti scrutano dalla testa ai piedi e puoi sentire i commenti su ciò che indossi. Questo, a mio avviso, è indice di una tradizione ancora radicata.

Ci sono molte testimonianze, pittoriche e fotografiche, della moda vestiaria ossese? L’abbigliamento tradizionale ossese è stato oggetto di ispirazione artistica per le opere di tanti viaggiatori, quali l’illustratore Gastone Vuillier, l’architetto e pittore Giuseppe Cominotti, il fotografo Adolphe Peuchet, Evaristo Mauri e il diplomatico e bibliografo spagnolo Eduard Toda i Güell. La ditta Cosseddu di Sassari aveva abbellito le scatole degli zolfanelli con due abiti ossesi. Nelle case sono conservati molti reperti fotografici, perché c’erano dei fotografi che facevano il giro dei paesi. Nel primo ventennio del Novecento, le famiglie e, anche molte donne andavano a Sassari, negli studi fotografici, per farsi fotografare. Mia nonna andava di nascosto a Sassari, abbiamo diverse foto che la ritraggono. La voglia di un ricordo era più forte del timore della diceria che la foto rubasse l’anima. Conserviamo in paese anche molte foto dei matrimoni. Era un lusso, non era certo per tutti.

Una tradizione che non muore, che variante viene ancora utilizzata? Come avrai notato, l’abbigliamento ossese ha subito un’evoluzione, che è andata di pari passo con le mode del tempo, come in quasi tutti i centri isolani, e fortunatamente, ancora oggi, abbiamo anziane che indossano un ibrido dell’abito tradizionale; qualcuno le chiama “le resistenti”. Indossano delle gonne lunghe di tibèt a piegoni larghi e sopra maglioncini con lo scollo a v; nelle occasioni importanti, e d’estate, le più anziane indossano camicie scure a pieghettine, sempre sobrie; il grembiule nero in pizzo, in tibèt e in seta damascata. D’inverno si coprono con gli scialli di lana; nelle cerimonie usano quelli di tibèt, mentre, giornalmente usano su panneddu ‘e cobuddu, i grembiuli copricapo in fresco di lana nero.

Quali sono gli abiti più conosciuti di Ossi? Quarant’anni di folklore hanno fatto conoscere in tutta l’isola gli abiti tradizionali di Ossi rivisitati. La prima cosa che li ricorda è il colore nero: la foggia col fazzoletto in tibét nero ricamato, per capirci. Poi ci sono il costume nuziale con la gonna rossa e l’abito nero, da lutto. Da pochi anni, grazie al nostro lavoro di ricerca, hanno rivisto la luce le gonne di terziopelo, le gonne di velluto devorè, di caracù, di velluto e tante altre.

Santu Bèrtulu, com’è nata l’associazione che hai fondato e di cui sei il Presidente? Nel 1999 sono entrato a far parte del mondo del folklore, ma notavo che venivano utilizzate solo alcune varianti del repertorio etnografico. Noi abbiamo una grande varietà di abiti, testimoniata dai vestiti presenti nelle case, dalle fotografie e dalle interviste agli anziani. Ho deciso, dopo diversi anni di abbandonare, ma non del tutto, il folk e di continuare la ricerca, fino a quando non è arrivato il giorno di mostrare la grande varietà dei nostri abiti. Abbiamo deciso, insieme a diverse persone, che m’incoraggiavano, di formare una terza associazione folcloristica ossese, che abbiamo intitolato al nostro Santo patrono, San Bartolomeo apostolo. La data di fondazione è il 27 Luglio 2016, la prima uscita, fuori Ossi, è stata la sagra di Muravera nel 2017.

Quale è stata la prima uscita pubblica a Ossi? Prima di creare l’associazione, abbiamo formato un gruppo spontaneo che si è presentato, il 24 di Agosto 2015, alla processione per Santu Bértulu, un giorno speciale per me e per tutti gli ossesi vicini e lontani, che tornano in paese per il Santo patrono. Ecco, questo è stato il primo approccio con gli ossesi che ci osservavano curiosi e che ha potuto ricordare come ci si vestiva anticamente e hanno potuto apprezzare ancora di più gli abiti antichi che, fortunatamente, vengono conservati gelosamente nei cassetti di ogni abitazione. Abito che non erano mai stati indossati perché, fino a quel momento, non rispecchiavano l’interpretazione folk. E siamo stati apprezzati. La nostra felicità era questa e ci ha dato la grinta per continuare le ricerche e per perfezionarci sempre più. 

Una caratteristica del tuo gruppo è la grande varietà degli abiti con cui sfilate: ce li descrivi? Per quanto riguarda l’abbigliamento femminile, indossiamo il classico abito logudorese, che consta di uno o due copricapi di vario genere, in base all’epoca; s’imbustu, un bustino rigido rivestito di broccato, terziopelo o in raso di seta ricamato in seta policroma o solo in filo d’oro. Sa camija la camicia, lunga fino a metà polpaccio con delle fitte pieghettine o con del pizzo sangallo sullo sparato. Il colletto alto circa 1 cm o 1,5 cm, è ricamato con tralci e disegni floreali a punto nodo o punto croce, sulla bordatura superiore possono esserci degli archetti o bicos lavorati ad ago e filo, oppure ci può essere una sorta di pelliccia, realizzata dalla stramatura del cotone.

Gli esemplari di gala riportano sulle pieghettine dei polsi, sull’attaccatura superiore delle maniche e sull’increspature posteriore delle lavorazioni geometriche, chiamate tene e lassa, che equivale a su coro nelle camicie del Nuorese e a su punto vanu del Campidano. Sa punnedda, la gonna, che può essere confezionata con vari tessuti e, su panneddu ‘e nanti, il grembiule, di verso in base alle gonne, al gusto e all’uso.

L’abito maschile è il classico abito logudorese? Anche l’abbigliamento maschile è il classico logudorese. Sa berrita, il copricapo di panno di lana; su bentone, la camicia in cotone con colletto alla coreana, che non presenta la chiusura con i classici bottoni sardi, ma in madreperla. Purtroppo, ancora, non abbiamo testimonianze del loro uso; sicuramente sono caduti in disuso già da metà Ottocento. Il corpetto, su cosso, in panno nero con lunghe asole, sos traucos, e due file di bottoni disposte a v. I bottoni sono di osso, di legno, o rivestiti di tessuto nero. Abbiamo la testimonianza di un cosso ruju, ma non abbiamo trovato nessun “reperto”; invece, ci sono fotografie di un corpetto chiuso da bottoni in lamina o filigrana. A su cosso si aggiunge su capotinu in orbace e velluto. Sos calzones, di lino o tela e un gonnellino, sas ragas, che, da ricerche fatte negli anni ‘70, risulta uguale alla vicina Ittiri e a Villanova Monteleone ma, per ora, non abbiamo nessun materiale fotografico che attesti la manifattura. I pantaloni neri, sos pantalones de fresi, hanno sostituito la foggia più antica.

Come vestivano i più piccoli, abbiamo delle testimonianze? Per quanto riguarda l’abbigliamento infantile non è rimasto moltissimo, probabilmente perché quando i bambini crescevano molti pezzi venivano modificati e successivamente buttati. Dalle foto e dal materiale ritrovato, per le bambine dai 5/6 anni in su, ci sono bustini in broccato o ricamati, camicie, bolerini, grembiuli e gonne di stoffe poco pregiate. Per i maschi, solo qualche camicia, ma per il resto niente, anche perché indossavano già gilet, giacchine e pantaloni e il berretto classico, sa cicia. Per i bambini più piccoli si usavano i camicioni, sempre di vario tessuto.

I gioielli, che impreziosiscono gli abiti ed evidenziano la ricchezza di chi li indossa, meritano un approfondimento a parte. Un ricco e completo corredo orafo, ad Ossi, come in tutti i centri isolani, apparteneva solo ed esclusivamente alle classi più abbienti e a chi se lo poteva permettere. In paese non mancano pezzi autentici. Erano in uso bottoni, orecchini spesso con pendente in corallo, collier dallo stile borbonico con il nodo d’amore, le collane di corallo con o senza vaghi d’oro, la catena saliscendi, chiamato da noi sa cadena emma, anelli, fermagli, i medaglioni e la bottoniera, propria de sos coritos antichi, con venti bottoni, dieci per manica; oppure, nei modelli più recenti, un solo bottone per manica. Sos butones de s’oro sono i due bottoni grandi della camicia, mentre sos butones de prata, in filigrana o traforati venivano utilizzati nella chiusura dei polsini.

Le collane di corallo sono un po’ il simbolo di questa tipologia di abito. Uno dei gioielli più caratteristici delle tipologie d’abito festivi e di gala è la collana di corallo con vaghi d’oro, sa collana ‘e coraddu. A metà/fine ‘800 non s’indossavano tutti quei gioielli che siamo abituati a vedere nelle foto più recenti. Di originario sardo c’è ben poco o quasi niente, solo i bottoni e la collana di corallo. Molti gioielli, come spille e medaglioni, provenivano dal Continente. Le ossesi erano sempre spinte a acquistare e indossare le novità e gli oggetti più particolari. Un gioiello a me caro è la collana di corallo con i vaghi d’oro, sas postas; nei paesi del Campidano vengono chiamati cannacas de bentu. Questa collana la ritroviamo in provincia di Sassari ad Ossi, a Sennori e a Thiesi. Ha sembianze di rosario: i grani dell’Ave Maria sono rappresentati dai barilotti di corallo sfaccettati e i Padre nostro da sas postas. Il corallo può avere una colorazione rossastra oppure rosso aranciato. Il corallo aranciato proveniva dall’isola emersa di Sciacca, in Sicilia. Questo materiale rappresenta il sangue di Cristo e funge da amuleto per scacciare via il malocchio. I vaghi sono formati da due lamine sferoidali, chiusi agli estremi da due cilindretti, recano incisioni o lavorazioni in filigrana. Anticamente si indossavano anche tre collane insieme.

Si utilizzavano alcuni oggetti come amuleti, com’erano e che uso ne veniva fatto? Esistono diversi tipi di amuleti, ma la funzione è sempre la stessa: allontanare o imprigionare le forze del male. Tra i tanti, ti cito “su pinnadellu”, chiamato molto spesso su cocu. È un manufatto di pietra onice o pasta vitrea incastonato tra lavorazioni in filigrana d’argento. Veniva realizzato dai maestri argentieri, che, secondo la credenza popolare, poiché avevano la capacità di trasformare i metalli, erano considerati degli alchimisti, “maiarzos”. Secondo tradizione, l’oggetto dev’essere regalato e non comprato da chi lo deve indossare. A volte, gli amuleti venivano portati dalle donne o dagli uomini che sapevano fare “sa meighina de s’oiu”. Per non perdere la capacità di proteggere il neonato, il bambino e l’adulto, su pinnadellu veniva nascosto negli abiti, non si doveva dire di averlo addosso e non si doveva farlo toccare da estranei. Quando questo amuleto “catturava” il male, si rompeva e di conseguenza bisognava rifarlo di nuovo.

Avete una grande varietà di gonne, ci descrivi qualche modello? Ossi ha il primato, se non quasi l’esclusiva tra i paesi del circondario, delle gonne interamente realizzate in terziopelo (velluto operato in seta) con l’aggiunta, nella parte bassa, di applicazioni in perline vitree e paillettes, chiamate in ossese “sas petzas”, che aumentano il lusso del capo. Queste gonne venivano indossate da donne di ceto sociale elevato, molto spesso anche ereditate da madri o nonne, sono indumenti di massima gala. Verso gli anni ‘50 del 900, purtroppo, il terziopelo di seta era difficilmente reperibile e le ossesi hanno continuato a indossare gonne di un terziopelo sintetico meno lussuoso del precedente, ma era pur sempre sinonimo di ricchezza. Un’altra gonna particolare è “sa punnedda de caracú”, un tessuto di astrakan sintetico, simile al velluto, peloso, con pieghe sciolte o “incannonadas” (piegoni realizzati, nel confezionamento, da tubi di medie dimensioni in carta di giornale). Un’altra tipologia sono le gonne in velluto di seta cremisi o ciclamino, con applicazioni floreali o l’aggiunta di una balza, in raso di seta, ricamata. Abbiamo gonne plissate in panno rosso, nuziali, anch’esse con balza in raso di seta ricamate a motivi floreali in sete policrome. Vi sono gonne denominate “a s’ittiresa”, realizzate da artigiane di Ittiri e usate sempre per i matrimoni, e tante altre. Abbiamo un gran tesoro etnografico fino a pochi anni fa poco valorizzato.

C’è qualche altra particolarità che può essere menzionata? Una particolarità che ti posso descrivere, tra le tante, è una variante di balza di gonna denominata a limbas de cane, che poteva essere applicata sia a una gonna in panno di lana rosso o nero. È caratterizzata da rombi formati dall’incrocio di nastri in velluto nero su un taffetà di seta sempre nero. Queste gonne possono avere una doppia balza, oppure una sola di varie altezze. In alto, la rifinitura è data da una passamaneria nera in seta con perline vitree tubolari e, alla distanza di circa 10 cm, una passamaneria di frange in seta e ciniglia, sempre nero su nero. Questo genere di balze le possiamo confrontare con la moda spagnola, come si vede nel dipinto di Francisco Goya della duchessa di Alba e nella raccolta spagnola “Historia del vestido” di Albert Racinet. Una balza simile è presente nel costume nero di Villanova Monteleone.

Quali sono le caratteristiche dei copricapo? Anche il copricapo varia secondo l’epoca, la moda e il gusto personale. Dal materiale fotografico reperito, ho riscontrato un copricapo simile a un manticello, credo di fine ‘700; su questo pezzo stiamo portando avanti ricerche più approfondite. Sotto il manticello veniva indossata una larga benda di tulle o mussolina abbastanza sottile, che è stata ridotta col tempo; sopra si è iniziato a portare un fazzoletto in seta damascata, annodato sotto il mento. Questa benda (tipo Osilo) cingeva il volto della donna e veniva poggiata sopra una semplice cuffia, “su liagabu” di lino o cotone, che raccoglieva l’acconciatura. Con l’evoluzione si è passati ad ampi veli in tulle ricamati a motivi floreali, che potevano essere indossati anche con un fazzoletto sottostante triangolare, su muncaloru a corru. Entrano a far parte del corredo vestimentario fazzoletti di fattura industriale neri in tibét ricamati con sete policrome e fazzoletti in seta avorio con tralci di vite o girasoli creati da fettuccine sottili di seta e ricami a punto catenella. Col tempo, non si riusciva più a reperirli nel mercato e quindi le ossesi hanno iniziato a cimentarsi nella realizzazione, ricamandoli a mano e a macchina, realizzando dei lavori traforati e a punto festone, chiamati “muncaloros festonados”.

Un’altra peculiarità presente nei vostri abiti sono le pettiere ricamate. Le pettiere ricamate (sas petieras) sono delle strisce di tessuto, ma venivano usati anche fazzoletti e sciarpe. Dalle ricerche si evince che un parroco, per coprire e camuffare le scollature delle camicie femminili, aveva fatto comprare a Sassari diversi fazzoletti e li aveva distribuiti ad ogni donna. Così questi fazzoletti sono entrati nell’uso e sono diventati un accessorio comune, arricchendo e impreziosendo ancora di più gli abiti. Successivamente sono subentrati altri accessori che avevano la stessa funzione: pettiere ricamate, sciarpine a maglie larghe in ciniglia (sas rebecas) di vari colori, dal verde bottiglia al bordeaux. Vi sono pettiere ricamate o realizzate in vari tessuti, orlate di passamanerie, frange ed applicazioni di vario genere. L’ultima evoluzione è una sciarpetta formata da due rettangoli uniti, che presenta un ricamo traforato, in seta e tulle, che veniva abbinato ai fazzoletti di testa “festonados”, già dalla fine degli anni ‘40 del 1900. Questo genere di accessorio è presente anche in altri centri vicini, come Tissi, Muros, Cargeghe, Florinas e Ploaghe e recentemente l’ho riscontrato nell’abito tradizionale di un paese laziale.

Abbiamo descritto finora l’abbigliamento festivo, com’era l’abbigliamento giornaliero? L’abbigliamento giornaliero aveva tessuti poco pregiati e constava di gonne di cotone stampato a pieghe sciolte, increspate in vita, grembiule semplici, la camicia, s’imbustu e la testa coperta anche in casa, su coritu per uscire.

Come erano le pettinature in uso a fine Ottocento e nella prima metà del Novecento? Le pettinature erano diverse. Si usava raccogliere i capelli con una treccia e poi fermarli in uno chignon basso (su mogno), oppure venivano pettinati con una riga in mezzo o da un lato con una o due trecce disposta a corona. In alcune foto troviamo, eccezionalmente, pettinature con due trecce avvolte sopra le orecchie, come usavano fare le Goceanine. Ovviamente negli anni ’20 del 1900 c’era anche la moda di cotonare i capelli.

Chi indossa un abito tradizionale ha la responsabilità di rappresentare il proprio Paese, grande dev’essere l’attenzione e la cura dei particolari. Quale è lo spirito che anima il gruppo Santu Bèrtulu? Essendo il presidente del gruppo, la responsabilità è grande. Prima di tutto, ho spiegato ad ogni componente la foggia e il periodo in cui il loro abito era in uso, perché sappiano cosa indossano. Ho detto ad ognuno tre parole fondamentali: compostezza, orgoglio e rispetto per ciò che s’indossa, per la nostra storia e per la nostra identità. Loro sanno quanto io ci tenga al fatto che il nostro Paese sia ben rappresentato nelle sue sfaccettature vestimentarie; ma non è solo questo, non è solo la bellezza di ogni singolo individuo, uomo o donna, ciò che è importante è la compostezza e il portamento, come l’abito viene indossato. Posso essere orgoglioso di aver trasmesso, anche a chi non l’aveva, la passione e le conoscenze che ho raccolto nelle mie ricerche e nelle frequentazioni con studiosi e appassionati di tradizioni popolari. La ricerca non finisce mai e il confronto anche con persone di altri luoghi dell’isola porta buoni frutti.

Come vi preparate per le sfilate e per le processioni? Quando l’Associazione riceve un invito per una sfilata o una processione, iniziamo subito a cercare i partecipanti, sia tra i soci, sia tra coloro che hanno l’abito e hanno piacere d’indossarlo. Chi non ha un’idea di come ci si debba vestire e di come si indossi un abito, ha bisogno di un piccolo aiuto, anche durante la vestizione. L’abbigliamento maschile è più semplice da indossare; il femminile è un po’ più complicato: legare il bustino e mettere fazzoletti, specialmente il primo. Il posizionamento corretto dei copricapi dipende dall’acconciatura dei capelli, se è fatta male, non si riesce a metterli bene. Il trucco dovrebbe essere leggero e le calzature idonee all’abito che si indossa. Alla fine di ogni evento, noto che tutti, anche se stanchi, sono felici e mi riferiscono gli apprezzamenti sentiti dal pubblico. I partecipanti mi ringraziano sempre e apprezzano ciò che faccio per Ossi. Rispondo sempre che l’unione fa la forza, io non sono nessuno senza di voi. Dico sempre loro che devono essere orgogliosi di ciò che indossano: è la nostra identità.

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