RESTARE PER SEMPRE: L’IMMORTALITA’ DI ZIZZU ROSEDDU NELLA SUA SCRITTURA

di MATTEO PORRU

Scano di Montiferro non arriva a duemila anime. Una di queste non è mai morta. No, non è un miracolo e nemmeno magia nera. È una storia che continua a esistere, è un ricordo che dà forma a un fantasma. Un uomo senza nome, non uno certo almeno, e senza una data di nascita o di morte. Della sua vita non si sa nulla, dei suoi avi ancora meno.

Che ha fatto, Zizzu Roseddu, per essere immortale? Ha scritto.

E i suoi frammenti sono tutto quello che abbiamo. Le sue rime, di occasione, sono tutto quello che resta. Eppure ci ha provato, con ambizione, a diventare qualcuno. Tutto comincia con una ristampa, delle Poesias Criticas di Migheli, noto poeta di Osilo, del 1874, che è di fatto un manifesto protestante in versi e che aveva avuto, negli anni, una diffusione di proporzioni notevoli, anche nelle piccole (o piccolissime) realtà locali. Succede che fra chi la finanzia, quella ristampa, ci sono anche due scanesi, Gerolamo Piras e Antioco Contini che, appena ricevono il volume fresco di stampa da Bosa, lo girano a Zizzu Rosseddu, che lo legge e lo disprezza.

Nel 1913, a Scano ne circola un altro, di testo, e l’ha scritto lui. Si intitola “Sa fide cristiana” ed è un attacco diretto a Migheli e alle sue teorie, un poema di esaltazione della dottrina cattolica di una lunghezza spaventosa diviso in proemio, sette canti e conclusione, tutto rigorosamente in ottave. Ma c’è un problema. Anzi, ce ne sono tre: il primo è che l’autore si firma con un’infinità di nomi diversi (Franziscu Derosas, Francesco Rosas, Francesco Rosa Marras sono i tre più ricorrenti); il secondo è che di contenuto ce n’è poco e lo stile non è granché; il terzo è che l’opera non è mai stata pubblicata, ma per questo ultimo punto un motivo forse c’è e si chiama Santa Madre Chiesa, che non aveva gradito né l’opera madre né le critiche che, di fatto, alimentavano un fuoco che la curia voleva spento, e pure in fretta. Quello che resta dell’opera lo si deve alle mani che l’hanno copiata più volte e in segreto, poco meno di un migliaio di versi. Ma la trascrizione non cambia la sostanza delle cose e la natura di un’opera immensa, scritta per restare e per dare gloria all’autore ma che, come tante, nessuno ricorda.

Perchè Zizzu Roseddu, a Scano, è rimasto grazie ai versi piccanti, veri, alla satira attenta della gente di paese.

Lo ricordano grazie ai versi per le persone, come in “A Zuanne Battista Pes”. È rimasto per le poesie di occasione, per le feste e per le morti, per i ricordi sinceri. “Pro sa morte de su Poeta Sabastianu Morette”, una delle poche poesie integrali, è un lungo e stupendo elogio della vita e dei ricordi che hanno attraversato la vita del defunto. Zizzu Rosseddu non è mai morto e forse non morirà mai. Resterà sempre in paese, nelle teste della gente, a raccontare in versi. Resterà il suo piglio, il suo sguardo attento, e non l’opera monumentale per la fama tanto agognata. Resterà la genuinità. È quella che lo rende immortale.

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