di ORNELLA DEMURU
Nel cimitero di Bonaria viene ritrovato assassinato il custode del camposanto. La mattina del 14 giugno del 1854 l’ingresso del cimitero di Bonaria era affollato di uomini in divisa, curiosi e frati del vicino convento. La notte aveva portato la morte nella terra dei morti.
L’anziano guardiano del cimitero cagliaritano era stato trovato la mattina presto privo di vita con il cranio fracassato. Il piccolo locale nel quale il custode viveva, una stanzetta situata all’ingresso del sepolcreto, era stato lo scenario di una violenza senza limiti, un accanimento che aveva lasciato ovunque chiazze di sangue.
Cosimo Lecca, anziano laico mercenario, era stato infatti rinvenuto dai becchini del cimitero orrendamente sfigurato, fatto oggetto di una violenza inaudita che contrastava con il carattere mite del custode.
Il fatto di sangue, tremendamente raccapricciante, trovò spazio nei giornali del tempo e nella guida alla città che il Canonico Giovanni Spano doveva scrivere di lì a poco.
Un omicidio inspiegabile, che sicuramente non avvenne per rapina ma che portò dietro di sé altro sangue e una pesante cappa di malvagità. Cosimo Lecca, originario di Sinnai, era conosciuto per la sua ammirevole pacatezza d’animo e chi lo frequentò ne descriveva l’animo inalterabile per qualsiasi evento.
I colpevoli, più di due a giudicare dalle diverse e numerose ferite inferte all’uomo, non vennero mai individuati: forse in termini troppo sbrigativi per la complessità del caso, il tutto venne ricondotto al tentativo di rapina finito in omicidio. In ogni caso l’esame della scena del delitto fece pensare ad un’aggressione veloce, avvenuta mentre Lecca era seduto di spalle alla porta, davanti al tavolo, intento a consumare una cena assai modesta.
Se gli assassini erano alla ricerca di oro o denaro come mai, si chiesero in molti, la catenina d’oro con l’effige della Madonna di Bonaria non era stata rubata?
Apparve altrettanto strano che l’abitazione del custode non presentasse nessun segno che facesse presagire la ricerca di monete e oggetti di valore. Lecca, a dispetto della propria età, era ancora in buona forma fisica ma viveva in condizioni economiche molto modeste tanto che, molto spesso, il pranzo o la cena gli erano offerti dai frati di Bonaria.
In città, per diverse settimane, il brutale omicidio fu argomento di discussione e di sconcerto: il temperamento bonario di Cosimo Lecca, la sua simpatia e la predisposizione ad aiutare il prossimo rendevano questa morte ancora più orribile. Così come quella tragica giornata del 14 giugno doveva riservare altre amare sorprese in un vortice di dicerie, supposizioni e verità nascoste. A poche ore di distanza dal ritrovamento del cadavere dell’anziano custode nel vicino convento di Bonaria veniva infatti rinvenuto il corpo privo di vita di frate Fedele Dessì, padre mercenario, valente predicatore e cappellano del Bagno Penale di San Bartolomeo.
I confratelli, allarmati dall’assenza del sacerdote alle preghiere mattutine, verso le 9 e trenta del mattino riuscirono ad aprire la porta della cella di frate Fedele, chiusa a più mandate dall’interno. Il predicatore giaceva in un angolo della stanza, soffocato da uno di quei cordoni bianchi che l’ordine monastico indossa sulle vesti.
Il cappio era stretto al collo e le mani dell’anziano erano legate dietro la schiena con l’estremità stessa del canapo. Gli occhi sbarrati, ad invocare un aiuto mai arrivato, e la bocca aperta che pareva urlare un muto grido d’orrore.
Un tacito accordo tra il superiore del convento ed i confratelli volle che il referto di morte fosse stilato da un medico compiacente che si incaricò di citare, come causa del decesso, un malore: la menzogna sulla fine di frate Fedele era ritenuta necessaria per mantenere il buon nome del monastero, soprattutto alla luce delle pesanti restrizioni che la Casa Savoia stava attuando nei confronti di beni di proprietà della Chiesa e a scapito di molti ordini religiosi.
Nonostante la fitta cappa di omertà che circondò la verità sull’omicidio del frate, in città iniziarono a filtrare le allusioni e le dicerie sul decesso, in un passaparola che alla fine rappresentava il vero quadro dell’evento.
Due omicidi nella stessa giornata, due persone che ben si conoscevano e si frequentavano, due tragiche sorti che ebbero come teatro un fazzoletto di terra rinchiuso tra le mura del cimitero e del convento di Bonaria.
Sebbene l’argomento tenesse banco per diversi giorni, la città sorniona accantonò ben presto l’evento, tornando alla normalità del vivere quotidiano, tra problemi reali e un caldo afoso del mese di giugno per niente smorzato dal vento umido di levante che soffiava su Cagliari da diversi giorni.
Si dice che a raccontare le modalità della sua morte sia stato il suo stesso spirito, vagante tra le tombe della terra consacrata, come sottratto al riposo eterno, in un limbo di rabbia.
L’anima in pena, per il tramite di un medium, raccontò di aver assistito ad un rito magico, officiato da un religioso ben noto in città e da dei frequentatori della vicina Chiesa di Bonaria.
Il guardiano osservava da un luogo nascosto le fiammelle delle lanterne poste intorno ad una tomba profanata. Ma la sorte volle che, scivolato a terra, attirò l’attenzione dei satanisti. E poi, fuggito via dal recinto del cimitero, vagò tutta la notte per la città.
La sera del 13 giugno 1854 fu data propizia per eseguire “il decreto di morte”. Ed il prelato, presunto celebrante del rito propiziatorio al maligno, lo stesso mandante del delitto, fu trovato morto nella sua cella.
Assassinato, anch’egli, la stessa notte, ma dichiarato “morto per cause naturali”, nonostante indizi precisi e incontrovertibili, che avrebbero portato su tutt’altra strada.
La cronaca, del mese di luglio, offre notizia di una quantomai inusuale cronaca nera prolungata: ben otto suicidi nell’arco di 24 ore, attribuiti alla calura estiva, portatrice di non meglio precisate crisi nervose.
A quanto pare, tutti i partecipanti del rito blasfemo si dettero appuntamento all’obitorio n Cimitero, per un ultimo ineri con la morte. Saranno solo voci e pettegolezzi di una notte estiva del 1854? Un cicaleccio insomma che a distanza di tanti anni ancora non si è sopito?
Fonti: Pierluigi Serra, in “Cagliari esoterica. Tra fantasmi, maghi, massoni e iniziati” Ed. La zattera 2015
Andrea Governi, Sardegna sotterranea