di GIANRAIMONDO FARINA
Il primo nodo cruciale a cui il c.d. “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”, traduzione italica del “recovery found”, sara’ quello che esso potra’ aiutare l’Italia solo se contribuira’ a far diminuire la disoccupazione. Questa e’ anche l’osservazione lucida di Giulio Sapelli, secondo cui gli anni futuri potrebbero essere decisici per lo sviluppo del nostro Paese. Per spiegare cio’ occorre partire da un assunto storico economico: l’Italia e’ un Paese a tardiva industrializzazione, oltreche’ una nazione a tardiva unificazione. Un Paese che, in particolar modo per i primi anni settanta del XX secolo, e’ riuscito a superare sacche di grande arretratezza, grazie ad alcuni fattori sostitutivi di crescita, ora non piu’ presenti. Questi fattori di crescita, nello specifico, erano sostanzialmente tre: le rimesse degli emigrati, a sostegno del debito estero, il capitalismo tipo “manchesteriano” del Nord Italia e quello di Stato sugli investimenti strutturati. Piu’ di tutti furono, pero’, fattore di crescito le grandi banche miste franco- tedesche, quelle di affari anglo americane ed, in particolare, le banche cooperative, molto legate al territorio ed al suo territorio. La storia italiana racconta e testimonia,poi, che, dopo la grande crisi del ’29,fu creato uno degli Stati imprenditori piu’ potente del mondo. Uno Stato aiutato, in particolar modo, dal prestito statunitense.
Prestito che si trasformo’, alla fine del secondo conflitto mondiale, nel c.d. “Piano Marshall” , intervento a sostegno della domanda e dell’industrializzazione. Questo “Piano”, assieme all’economia mista ed alle grandi imprese a partecipazione statale ed alle infrastrutture pubbliche fanfaniane, ha rappresentato il vero volano della crescita. Quando, pero’, la crescita perse il suo impulso negli anni Sessanta, ci baso’ sulla svalutazione monetaria. Questo provoco’ una disaffezione delle industrie private verso l’innovazione tecnologica e verso i salari, tranne che per il comparto manifatturiero medio- piccolo, che oggi rappresenta il nerbo dell’economia italiana. Con Maastricht ci fu’ l’inserimento dell’Italia all’interno del capitalismo estrattivo franco-tedesco a moneta unica, governato dai Trattatie dalla BCE, la cui funzione e’ tutto che meno quello di una banca centrale e che non fa altro che sostenere le banche con acquisti di titoli di Stato nazionali e regole di patrimonializzazione con l’aumento del costo di capitale e la riduzione della redditivita’ industriale dell’ istituto bancario, con tassi tendenti allo zero. Il sistema italico, gia’ stremato dalla crisi del 2007-2008 e dalla deflazione secolare, e’ stato ora colpito dalla pandemia. A questo si sta’ cercando di porre rimedio con un processo di mutualizzazione del debito adesso tradotto nel PNRR, un piano fondato su prestiti e fonti di sostegno che ogni governo nazionale deve sottoporre a quello dall’alto dell’UE, che fissa le regole e stabilisce gli strumenti per misurare i gradi di attrazione delle stesse. Lo stesso Sapelli osserva che, purtroppo, non si tratta del meccanismo governativo fondato su una solida costituzione europea, ma di un governo tecnocratico di fatto. Un PNRR particolare e’ quello portoghese che, pur bisognoso di investimenti, sceglie piu’ di puntare sui sostegni, rifiutando di fare ricorso ai prestiti. Per questo gli Stati nazionali vanno in ordine sparso. I denari, infatti, che, nello specifico, debbono giungere, non sfuggono solo alle regole dei trattati, ma anche a quelle del rapporto tra crescita del debito e crescita del Pil e dell’occupazione. Il piano predisposto dall’Italia e’ stato, certamente negoziato in anticipo con l’Ue, cui i diversi gruppi di pressione presenti in Parlamento fanno riferimento. La credibilita’ di Draghi, poi, renderebbe tutto piu’ sostenibile nel confronto con francesi ed americani, rendendo meno presente la pressione tedesco-cinese, piu’ attiva con il Conte 2. I problemi, pero’, rimangono: si tratta di un PNRR molto complesso, fondato su sinergia tra riforma della PA, ricorso al debito per investimenti, soprattutto nella transizione energetica, digitale ed educativa. Il sostegno alle imprese e’ incerto, non fondato piu’ su investimenti in capitali fissi tali da mettere in moto un’ondata che provochi un tasso di crescita piu’ forte di quello di indebitamento.
Solo in questo modo si potrebbe dare una svolta alla crescita italiana. E solo l’aumento del tasso di profitto e della massa salariale puo’ invertire la rotta. L’ulteriore e lucida analisi di Sapelli porta, poi, ad asserire che, se la rotta non si cambia, il risparmio andra’ verso la rendita. Questo trend potra’ potra’ solo cambiare con un grande piano nazionale di opere pubbliche e di edilizia sociale. Un altro nodo centrale riguarda la transizione energetica: se non si realizza con caratteri circolari, rischia di portare il Paese ancor piu’ nella disoccupazione e nella deflazione. L’altro aspetto cruciale dovrebbe essere, invece, quello di insistere sulla riproposizione di uno Stato imprenditore in grado di alimentare il lavoro in seno alla libera impresa, invece che insistere nella presenza pubblica in imprese decotte, con le dispense di risorse dinamiche, meglio impiegabili in altri settori. Imprese che, purtroppo, al momento, non hanno alcun accesso ai tavoli decisionali. Altra soluzione, poi, per uscire da questo “guado” sarebbe quella di procedere ad interventi piu’ decisivi sul corpo dello Stato con la riforma radicale del codice degli appalti ed il ritorno della Protezione Civile di stampo zanardelliano, con la riforma della giustizia e la separazione delle carriere. Un corretto utilizzo delle risorse non potra’ non prescindere dall’atavico problema italico della disoccupazione sia della popolazione potenzialmente attiva sia dei giovani propensi solo tardivamente al lavoro autonomo e dipendente. Insomma questo quadro, riguardante proprio l’utilizzo dei fondi del Recovery, per la sua applicazione, richiederebbe piu’ l’utilizzo di politici-poeti con la “P” ed una grande visione di Paese, che il lavoro ragionieristico e freddo, condotto nelle segrete stanze, da meri tecnici e burocrati di stampo draconiano.