a cura di MASSIMILIANO PERLATO
Emilio Lussu nasce nel 1890 ad Armungia, in una casa racchiusa dalla cintura dei monti e dalla campagna. Per comprendere le radici lontane di quella sua capacità di critica schietta e coraggiosa, di individualismo libertario che hanno caratterizzato tutta l’attività dell’uomo politico e dello scrittore, ci si deve soffermare sui suoi ricordi e sulle sue rievocazioni delle prime esperienze in quella “collettività montanara di contadini fattori”. Dopo i primi studi, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Cagliari. Allo scoppio della Grande Guerra, appena laureato, Lussu si propone come interventista democratico; è favorevole all’entrata in guerra contro l’Austria con l’obiettivo sia di acquisire le terre irredente, sia di favorire la disgregazione dell’Impero austriaco e, di conseguenza, il raggiungimento dell’indipendenza e della sovranità da parte delle nazionalità non tedesche ancora sottoposte al governo di Vienna. Partecipa alla prima guerra mondiale come uno fra gli ufficiali di complemento della Brigata Sassari. A seguito della drammatica esperienza, c’è l’approdo a un pensiero più maturo.
Rientrato in Sardegna, nel 1919, partecipa, assieme a Camillo Bellieni, alla fondazione del Partito Sardo d’Azione, da porre in stretta relazione con l’esperienza della guerra, con il senso di solidarietà creatosi fra i soldati sardi al fronte, con la presa di coscienza politica che era avvenuta non solo in lui, ma anche in gran parte dei suoi compagni. Successivamente il P.S.d’Az. si configurerà come un generale movimento popolare, sociale e politico dei contadini e dei pastori sardi. Emilio Lussu viene eletto deputato nel 1921 e nel 1924. Il 31 ottobre 1926, quando ormai il fascismo sta imponendo la sua dittatura, lo scioglimento dei partiti e dei sindacati di ispirazione socialista e cattolica, l’abolizione della libertà di stampa, Lussu viene assalito nella sua casa a Cagliari da un gruppo di squadristi. Quello stesso giorno, a Bologna, c’era stato un attentato fallito contro Mussolini e i fascisti non perdono l’occasione per scatenarsi ovunque alla caccia degli oppositori. Per difendersi Lussu spara un colpo di pistola contro il primo squadrista che gli si presenta davanti e lo uccide.
Arrestato, assolto dai giudici in istruttoria per legittima difesa viene però condannato in via amministrativa da una commissione fascista, in base alle leggi eccezionali per la difesa dello Stato volute da Mussolini, a 5 anni di deportazione a Lipari. Nel 1929 riesce ad evadere e a giungere a Parigi. Un motoscafo, partito dalla Francia, arrivò a Lipari in una notte di fine luglio, entrò a motori spenti nel porto e prese a bordo Lussu, Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti, riaccese i motori di fronte agli stupefatti militi della polizia fascista che presidiavano l’isoletta e raggiunse in poche ore la Tunisia e, qualche giorno dopo, Marsiglia e Parigi. Inizia una fase intensissima della vita politica ed intellettuale: i rapporti con gli antifascisti italiani esuli in Francia.
Le vicende politiche del decennio 1919-1929 sono oggetto del libro “Marcia su Roma e dintorni”, una avvincente testimonianza autobiografica. Il libro, pubblicato a Parigi nel 1939, è uno dei più grandi ed emozionanti libri che siano stati scritti sulla prima guerra mondiale. Un libro contro la guerra. A Parigi Lussu, insieme ad altri emigrati politici, dà vita a “Giustizia e Libertà”, un movimento antifascista che si proponeva di individuare e promuovere metodi di lotta di tipo rivoluzionario per abbattere la dittatura fascista.
Nel 1936, viene ricoverato in un sanatorio in Svizzera dove è sottoposto ad un difficile intervento chirurgico ai polmoni in seguito all’aggravarsi di una malattia contratta nelle carceri fasciste. Qui scrive la “Teoria della insurrezione”, studi di teorizzazione sulle caratteristiche della guerra partigiana. Il rivoluzionarismo proletario di Emilio Lussu è ormai apertamente dichiarato: “Contro il fascismo italiano non v’è in prima linea che una classe, il proletariato”. In sanatorio Lussu, fra il 1936 e il 1937, scrive “Un anno sull’altipiano”.
Dopo oltre 5 anni trascorsi in vari paesi in una continua attività di organizzazione politica, Lussu rientra in Italia nell’agosto del 1943 e partecipa alla Resistenza. Firma a nome di “Giustizia e Libertà” patti d’azione con i partiti politici antifascisti fondendo le strategie dei Comitati di Liberazione.
Finita la guerra, Lussu entra a far parte, nel 1945, del governo Parri e del successivo primo governo De Gasperi. Nel 1946 viene eletto deputato alla Assemblea Costituente. Nel 1947, entra nel Partito Socialista, ma nel 1964, mostrando ancora una volta il suo temperamento rivoluzionario, partecipa alla costituzione del Partito Socialista di Unità Proletaria. Nel 1970 l’interesse si rivolge alla questione linguistica: in particolare, si sofferma sulla necessità d’intervenire in difesa della lingua sarda. Il popolo sardo, a suo dire, con questa politica di emigrazione in massa, si sta spegnendo. L’obiettivo era quello del riconoscimento della condizione di minoranza etnico-linguistica per la Sardegna e della lingua sarda come lingua “nazionale” della minoranza. Emilio Lussu muore il 5 marzo 1975. Colui che era stato un “capo tribù”, che guardava sempre lontano, oltre i tetti della sua casa di Armungia, tra i cespugli e i rampicanti e l’albero di limoni vicino al loggiato, oltre i crinali dei monti, verso l’orizzonte ampio del mondo, aveva chiuso la sua intensa esistenza senza mai dimenticare, ed è importante sottolinearlo, la terra dalla quale era partito.
Autunno 1932. Durante una visita al fratello Max, deportato a Ponza con l’accusa di far parte del gruppo romano di “Giustizia e Libertà”, alla giovane Joyce Salvadori viene affidato un incarico: deve portare un documento scritto fitto e contenente un progetto di evasione a Emilio Lussu e consegnarlo a lui e a lui soltanto. Joyce, ventenne, bellissima, alta, bionda, colta ed elegante, arrotola quella carta, la infila nel manico cavo della sua valigia in fibra e parte alla ricerca di mister Mill (questo il nome finto di Lussu che viveva da clandestino). Inizia proprio così, esattamente come un romanzo, o come un film, la storia fra Emilio e Joyce. A quell’epoca Emilio Lussu è un personaggio davvero “leggendario”. Joyce Salvadori proviene da una famiglia “anglo-marchigiana”. È nata a Firenze e da lì è scappata in Svizzera una sera del 1924, dopo che il padre e il fratello sono sopravvissuti miracolosamente a un pomeriggio di torture e violenze fasciste. Il padre Willie, infatti, uno dei primi laureati in Sociologia e libero docente all’Università, è vicino a posizioni socialiste nonostante la famiglia, costituita da ricchi proprietari terrieri di Porto San Giorgio, sia di orientamento opposto. Da quella terribile sera, la piccola Joyce, non ancora dodicenne, ha ricavato una radicale determinazione alla lotta contro la viltà e la violenza. Essere donna, si è detta, non è un privilegio o una scusa per non esporsi ai rischi e all’azione. Sulle rive del lago Lemano, Joyce frequenta la Fellowship School, un collegio libertario, cosmopolita e pacifista. Ogni tanto torna nelle Marche dai nonni, e a Fermo consegue la licenza liceale da privatista. Scrive poesie e, a 17 anni, conosce Benedetto Croce che la accoglie con amicizia e la incoraggia pubblicando i suoi scritti sulla “Critica”. Nel 1931 decide di andare ad Heidelberg per studiare filosofia, lavorando per mantenersi. Grande però è lo shock quando, in primavera, determinata assieme agli studenti di sinistra a fare un contraddittorio con Hitler arrivato per un comizio, vede dispiegarsi in piazza la potenza militare e violenta dei nazi inquadrati sotto il palco. I suoi professori sembrano non rendersi conto di quello che sta succedendo, hanno un atteggiamento di sufficienza ma Joyce, che viene dall’Italia fascista, sa. Capisce. Comprende che la filosofia in quel momento è inutile. Decide di partire.
Col suo messaggio nascosto in valigia, Joyce gira a lungo prima di riuscire a trovare Emilio. Ha letto del famoso personaggio su tutti i giornali ma non sa che faccia abbia. Quando lui è passato da casa Salvadori in Svizzera, per portare una copia del suo libro “La Catena”, lei era all’estero. Ora lo cerca ovunque, a Parigi, in Belgio, in Alta Savoia. Alla fine, le fanno sapere che Lussu è in Svizzera. L’appuntamento è fissato a Ginevra, in casa del repubblicano marchigiano Chiostergi. L’incontro fra l’affascinante e “prestigioso rivoluzionario” e la ragazza “proletarizzata dalla lotta e dall’emarginazione economica e sociale” è assolutamente romantico e travolgente. L’amore era stato immediato e totale, il colpo di fulmine dei romanzi dell’Ottocento. Nella deflagrazione interiore innescata dal primo sguardo c’era già tutto: dall’intensa attrazione fisica al sincero rispetto, dal bisogno d’affetto alla passione politica. Una prima notte abbracciati in un letto a una piazza in una casa svizzera, un breve periodo insieme e poi la decisione di lasciarsi: Emilio non vuole, non può impegnarsi in un rapporto. È malato, ha 22 anni più di lei, è un rivoluzionario refrattario alla vita di famiglia.
Si lasciano ma Joyce è convinta di essere la donna adatta per lui. Continuerà a sentire un richiamo fortissimo per quell’uomo così interessante, così completo, anche da molto lontano. Anche se la separazione è assai lunga e i contatti praticamente impossibili. Passano 6 anni. Nel frattempo, Emilio è stato operato al polmone e ha trascorso molto tempo in sanatorio. Dopo essere stato in Spagna a combattere con la brigata Garibaldi, è rientrato a Parigi con Nenni per i funerali dei fratelli Rosselli, il 19 giugno 1937.
Joyce, non ha mai smesso di pensare a lui. In quei lunghi anni è stata in Africa, in Kenia e nel Tanganica, dove ha lavorato come operaia in un’industria per la brillatura del riso. Tornata in Europa, non potendo rientrare in Italia per via dei documenti scaduti, è stata in Svizzera e poi a Parigi dove si è iscritta alla Sorbona. Incontra Emilio e si rimettono insieme: stavolta per sempre e con l’obiettivo di costruire un tipo nuovo di unione, in cui la famiglia non sia una trappola ma semmai la base più solida anche per fare della robusta milizia.
Emilio, grazie alla compagnia di Joyce e alla sua collaborazione, poté svolgere in quegli anni una costante attività antifascista illegale. Celebrano una specie di “matrimonio politico” in casa di Emanuele Modigliani concedendosi anche un piccolo viaggio di nozze, nelle campagne vicino Parigi. Nel 1940, all’entrata dei nazisti nella capitale francese, Joyce ed Emilio escono di casa con una leggera borsa ciascuno e cominciano a camminare. Si trovano in un fiume spaventoso di gente disperata e in rotta: è una visione epica e terribile, Joyce è scoraggiata tanto da pensare di prendere la pillola di cianuro che si portano dietro per le peggiori eventualità. Emilio la rimprovera e insieme marciano fino a Tolosa. Da lì passano a Marsiglia dove mettono su un’organizzazione di espatrio clandestino. Emilio si occupa di contatti e problemi logistici, Joyce, curva in uno sgabuzzino, prepara decine di documenti falsi: grazie alla loro audacia e abilità tecnica, molti anarchici, repubblicani, socialisti e giellisti riescono a mettersi in salvo in Africa. Lussu, nel frattempo, lavora anche a un piano di sbarco in Sardegna e, per questo, decidono di partire per il Portogallo, paese neutrale. Lisbona è diventata un crocevia importante per le attività di diplomazia che Lussu deve imbastire con gli inglesi e i fuoriusciti italiani a New York. Joyce studia portoghese. Vivono sempre con nomi falsi e Joyce ha una doppia identità, quella vera per gli studi e quella falsa per girare.
Da Lisbona si spostano a Londra, e, mentre Emilio tratta col War Office, Joyce viene arruolata in un corso di addestramento. Apprende tecniche di guerriglia, l’uso degli esplosivi, impara l’alfabeto Morse e a trasmettere per radio. Tutte cose che verranno utili per fare la guerra partigiana. Nel 1942 sono di nuovo a Marsiglia, dove riprendono a organizzare l’azione verso l’Italia. Joyce ed Emilio capita anche che passino lunghi periodi separati, impegnati in missioni differenti. Emilio, per esempio, parte per New York su una bananiera. E succede che Joyce, dopo aver aiutato i coniugi Modigliani a passare la frontiera svizzera, venga arrestata da soldati italiani che la credono francese. Ma fra loro non si facevano mai ipotesi catastrofiche ed esisteva una sorta di telepatia che scaturiva dalla profonda conoscenza e dalla forte volontà di stare insieme. Ma, oltre che brava, è anche fortunata, la coppia Emilio-Joyce: durante un tentativo di passaggio in Svizzera per rientrare finalmente in Italia, vengono arrestati da una pattuglia tedesca e si salvano perché Joyce conosce la lingua e può smussare le contraddizioni dei loro interrogatori.
Alla fine, nel 1943, riescono a rientrare: Joyce prima, Emilio in seguito, dopo 14 anni di esilio. Nel giugno 1944, col falso nome, abitano a Roma. Joyce è incinta di 9 mesi. I nazisti erano stati cacciati dalla capitale. Ma ancora vigevano le leggi fasciste che imponevano il matrimonio, per poter riconoscere all’anagrafe il bambino. Così, alla presenza di un assessore della Giunta appena insediata in Campidoglio, essendo testimoni la portinaia dello stabile e un passante, vengono sposati coi loro veri nomi. Qualche giorno dopo nasce il piccolo Giovanni. E qui inizia un’altra storia. Altrettanto bella ed emozionante ma del tutto nuova: quella della famiglia Lussu. In un paese che deve essere ricostruito ma che è finalmente libero e democratico. Anche grazie ad Emilio e Joyce Lussu, che hanno dato un grande contributo, se si può dire senza ridondanze retoriche, all’intera umanità: insegnando a ricercare la pace e a criticare il potere. Hanno contribuito, in modo decisivo, a costruire il mondo moderno nel quale viviamo: l’Europa, l’Italia, e, con tutti i suoi limiti, la Sardegna.
Joyce Salvadori, studia filosofia a Heidelberg e si laurea prima in lettere alla Sorbona, poi in filosofia a Lisbona. Dal 1933 al 1938, intraprende rischiosi viaggi in Africa e compone le sue prime poesie, apprezzate anche da Benedetto Croce. Riceve la medaglia d’argento della Resistenza come staffetta partigiana. Il suo impegno continua con la scrittura, soprattutto a favore della conquista dei diritti civili delle culture più emarginate, come il popolo curdo. Traduce le opere del più grande poeta turco (Nazim Hikmet) e la poesia d’avanguardia africana e asiatica. Partecipa alla guerriglia angolana e visita i quartieri generali dei leaders Kurdi e Talebani. Cerca di diffondere soprattutto tra i giovani la memoria storica, base della consapevolezza e responsabilità morale. Muore nel 1998, lasciando oltre 20 opere sui temi che più l’hanno coinvolta e interessata.
La poesia, che l’accompagna per tutto il corso della sua lunga vita, è sempre concreta e lontana sia dai preziosismi formali sia dall’intimismo malinconico di tante correnti poetiche del nostro secolo. La sua poesia, attuale anche nell’invenzione del linguaggio, scorre armoniosamente dentro la sua nativa vena lirica, insieme alla sua tensione libertaria, al suo indubbio senso musicale e anche al suo sottile umorismo. Insomma, la figura di Joyce è quella di un’antica sibilla che ha traversato da fiera protagonista il Novecento, la quale non vuole che si dimentichi questo secolo di guerre e che si ricordi l’eredità di pace e di critica del potere che è stata di guida alla sua vita.
Emilio Lussu dedica il suo libro più conosciuto, “Un anno sull’altipiano”, alla Grande Guerra. Scritto fra il 1936 e il 1937, viene accolto da un grande successo. Fra tutte le sue opere è uno dei testi più disinteressati, meno politici. Ma questo realistico racconto autobiografico risulta essere un’analisi spregiudicata, una critica schietta e coraggiosa, un’alta accusa contro la guerra. Le esperienze belliche descritte portano Lussu a maturare un diverso atteggiamento, una nuova posizione ideologica che nasce da una graduale presa di coscienza. I fatti narrati abbracciano un periodo che va dalla fine del maggio 1916 (quando la sua Brigata lascia i monti del Carso, in Friuli Venezia Giulia, poco a nord di Trieste, per raggiungere l’altipiano di Asiago, ad est di Trento) al luglio 1917 (quando arriva l’ordine di partire per la Bainsizza, ad est di Udine): nello spazio di quest’anno, Lussu si trova a combattere gli Austriaci.
Alla narrazione di una prima fase di guerra di posizione e di trincea, che viene combattuta dai due eserciti attestati l’uno di fronte all’altro, su linee fortificate, dopo la grande offensiva russa in Galizia che costringe gli Imperi Centrali a rallentare le operazioni sul fronte italiano, segue quella di un periodo di guerra di movimento, quella che si combatte allo scoperto, con manovre tattiche e strategiche tendenti ad aggirare e distruggere le forze nemiche, nella quale pare che gli italiani abbiano il sopravvento. È un continuo logorio delle forze ed una continua perdita di vite umane. Innumerevoli morti vengono inoltre provocate dai tiri di artiglieria: vere e proprie stragi nelle quali i soldati vengono fatti uscire dalle trincee in massa, con l’ordine di conquistare quelle nemiche, e in tal modo sono esposti in pieno al fuoco nemico. L’ufficiale di complemento Lussu vede morire tutti i compagni del Carso, l’uno dopo l’altro, durante i ripetuti assalti sull’Altipiano. Si può affermare che la stupidità e la ferocia dei generali siano al centro del racconto di Emilio Lussu: gli alti comandi e gli ufficiali superiori sono quasi sempre impreparati dal punto di vista militare, commettono errori strategici e tattici, danno ordini scriteriati, assurdi, che rispondono molto più ad una logica di ambizione personale, di competizione interna fra i comandanti, che non all’obiettivo di conseguire i migliori risultati militari con il minore sacrificio possibile di uomini e mezzi. La rassegnazione, nell’interpretazione di Lussu scrittore ed ufficiale, è il tipico atteggiamento del soldato semplice. Questa prima Grande Guerra basata sulla coscrizione del cittadino mostrava quanto fosse ancora netto e risolutivo, all’interno di un’organizzazione fondata sulla forza, il primato dell’obbligo sulla coscienza. La rassegnazione dei soldati, per Lussu, è penosa, inquietante rivelazione, fonte di dolore e paura.
Che Donna❤❤
Storie da ricordare!
Oh storie belle, rare, d’altri mondi.
Joyce, la meravigliosa traduttrice di Hikmet…